Fondazione Una e Federparchi al Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise lanciano un nuovo progetto per salvare l’orso marsicano dall’estinzione
Diffondere la giusta cultura della conservazione fra tutti i soggetti coinvolti, per rendere il territorio a misura della specie simbolo del Parco, l’orso bruno marsicano, anche al di fuori del perimetro dell’area protetta. A cent’anni dalla sua fondazione, è questa la sfida principale del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (PNALM): salvaguardare ed aumentare la popolazione dell’orso marsicano, una sottospecie endemica unica al mondo, minacciata dal vortice dell’estinzione.
Fondazione Una (Uomo, Natura, Ambiente) e Federparchi, dopo il primo appuntamento al Parco del Gran Paradiso, proseguono la loro collaborazione per il progetto di sensibilizzazione contro i fenomeni di bracconaggio e di attenzione sulla tutela delle specie protette al Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Qui le attività di avvistamento e sensibilizzazione si sono focalizzate principalmente sull’animale simbolo del Parco, salvato dall’estinzione proprio grazie alla sua azione di tutela. Le prime stime scientifiche della popolazione, eseguite nel 2008, hanno contato fra i 50 e i 60 esemplari. Una forbice che è rimasta pressoché invariata nelle rilevazioni successive, e che desta non poche preoccupazioni fra gli addetti ai lavori.
IL RUOLO DEI CACCIATORI
“La conservazione dell’orso bruno marsicano non riguarda solo il territorio del Parco, ma anche e soprattutto le aree esterne- sottolinea il direttore del PNALM Luciano Sammarone -, è perciò indispensabile rendere tutti i territori circostanti a misura d’orso. Per fare questo, stiamo lavorando con altri enti, a partire dalle Regioni Lazio, Abruzzo e Molise. Lavoriamo con le altre aree protette, con i Comuni e con le associazioni di categoria, con gli agricoltori e gli apicoltori. Ma anche con il mondo venatorio, perché è significativo l’impatto della caccia, condotta nella maniera ordinaria, sulla presenza e sulla distribuzione dell’orso”.
In particolare, su quest’ultimo punto c’è molta ideologia da superare, secondo il direttore del Parco. “Il mondo della caccia ha fatto un salto di qualità negli ultimi decenni – spiega Sammarone – Ma spesso chi vive in città non fa distinzione fra i bracconieri, che sono dei criminali, e i cacciatori regolari, che invece possono svolgere un ruolo importante nel processo di tutela e conservazione delle specie”. L’idea di posizionare la caccia come attività sostenibile e responsabile, lontana dal bracconaggio e a favore sia della tutela delle specie protette, sia della gestione condivisa del territorio, è uno dei valori fondativi di Fondazione Una, che crede nella figura del cacciatore come ‘paladino del territorio’, custode degli equilibri faunistici e naturali dell’ecosistema. L’attività venatoria è da intendersi, infatti, come elemento utile e positivo della sostenibilità ambientale, a garanzia del mantenimento degli equilibri naturali.
LA DIFESA DELLA BIODIVERSITÀ
Parallelamente ad una campagna di divulgazione sull’importanza della tutela delle specie protette, Fondazione Una metterà in campo le sue risorse per fare educazione alla stessa comunità dei cacciatori sull’importanza di adottare un modello di caccia sostenibile, pienamente rispettoso delle regole, e in contrasto a qualunque forma di bracconaggio. “La Fondazione ha come obiettivo la difesa della biodiversità in un’ottica ecosistemica, quindi dell’ambiente in tutte le sue relazioni – precisa la presidente del Comitato Scientifico di Fondazione Una, Renata Briano – insieme a Federparchi stiamo portando avanti questo progetto per la difesa della biodiversità, in particolare concentrandoci sull’esperienza dei Parchi per la difesa delle specie più a rischio”.
Nello specifico, l’esigua popolazione dell’orso bruno marsicano è minacciata da una serie di fattori concatenati, illustrati dalla dottoressa Roberta Latini, tecnico faunistico del PNALM: “Si tratta di una popolazione che è rimasta isolata per moltissimi secoli, ed è quindi impoverita geneticamente – spiega Latini – Solo la biodiversità genetica permette di variare e rispondere efficacemente ai cambiamenti. Questi esemplari hanno scarsa capacità riproduttiva, la prole spesso non sopravvive o non è fertile”.
La mancata crescita della popolazione può anche derivare dal raggiungimento della capacità portante del Parco, in cui si registra una densità di 4 orsi ogni 100km2. La vera sfida perciò, ancora una volta, si gioca al di fuori del suo perimetro: fare in modo che le femmine possano stabilirsi in un’altra area protetta, per poi popolarla. “La protezione dell’orso dipende da scelte collettive – conclude Latini – per incoraggiare l’espansione fuori dal Parco, il territorio deve diventare a misura d’orso. La sua prima causa di morte non naturale è dovuta all’uomo, in maniera diretta o indiretta, e non possiamo più accettarlo. Basti pensare che per sostituire ogni femmina uccisa ci vogliono almeno 12 anni”.
LE ALTRE SPECIE PROTETTE
Oltre all’Orso, l’iniziativa si è concentrata sulle altre specie protette, tra cui il lupo appenninico, animale storicamente vittima di bracconaggio che fortunatamente non è più a rischio d’estinzione, e il camoscio d’Abruzzo. Oggi, grazie alle attività a tutela della fauna e del territorio, anche queste specie sono tornate a proliferare e frequentare le aree dell’Appennino centrale e non solo. E tornando al presente, dopo questi 100 anni di storia gloriosa, di cosa ci sarebbe bisogno per preparare i parchi alle sfide del futuro?
Secondo il presidente di Federparchi Giampiero Sammauri, “bisogna soprattutto sburocratizzarne la gestione, verso una forma più manageriale come già si fa all’estero, con bilanci fatti per budget e non ingessati come quelli di adesso. E dovrebbero avere la possibilità, a risorse invariate, di potenziare il personale soprattutto di carattere tecnico. Queste semplici riforme consentirebbero ai parchi di andare avanti nel modo migliore”.