Fino al 31 luglio 2022, il Comune di Seravezza e la Fondazione Terre Medicee dedicano un’ampia antologica al Maestro versiliese Lorenzo D’Angiolo
Fino al 31 luglio 2022, il Comune di Seravezza e la Fondazione Terre Medicee dedicano un’ampia antologica al Maestro versiliese Lorenzo D’Angiolo dal titolo EPIFANIE DELLA LUCE. OPERE 1976 |2022, allestita nelle sale espositive del Palazzo Mediceo di Seravezza, sito Patrimonio Unesco dal 2013.
La mostra, curata da Nicola Micieli e con il coordinamento e l’organizzazione di Costantino Paolicchi, ripercorre la lunga carriera artistica di Lorenzo D’Angiolo e propone con uno sguardo attento e rigorosamente scientifico gli oltre quarant’anni di percorso creativo del Maestro. Dagli esordi alla maturità e fino alle opere più recenti che toccano il tema, più attuale che mai, della migrazione, EPIFANIE DELLA LUCE è il racconto del significativo contributo all’arte e alla fotografia di Lorenzo D’Angiolo.
Originario di Seravezza ma da molti anni residente a Lucca, Lorenzo D’Angiolo, classe 1939, dipinge fin dai primi anni ’60. Fotografo professionista dal 1985, riconosciuto e stimato anche all’estero, ha esposto anche a New York al Museo della Hostra University nel 1998 insieme al fotografo Enzo Cei. Viaggiatore instancabile, D’Angiolo trae ispirazione dalle culture del mondo: ha visitato le Americhe, la Cina, il Tibet, il Nepal, lo Yemen, l’India, l’Africa, un lungo viaggio intorno al mondo che ha ispirato la sua opera.
La mostra di Seravezza presenta sessanta opere pittoriche e sette fotografie di grandi dimensioni che documentano le progressive trasformazioni dell’opera di D’Angiolo e, soprattutto, la sua meditazione sulla luce. È la luce, così come racconta il titolo stesso della mostra, ad attrarre i soggetti delle opere di D’Angiolo nel cono del suo magnetico raggio, come a liberarli dal giogo della loro pesantezza terrestre.
Le tele e le fotografie di D’Angiolo sono pervase e rivelate dalla luce, appaiono sottoposte ad una sintesi iconica sempre più abbreviata quanto più intensa simbolicamente, come accade, cogliendo tutta l’energia che le pervade, in opere quali: “Il monte rosso”, “La luna nel pozzo”, Le luci del mattino”, dove si sente, oltre alla magia della luce che caratterizza le opere del maestro D’Angiolo, anche uno smisurato silenzio.
La perpetua seduzione della luce per Lorenzo D’Angiolo è un passaggio ininterrotto in tutta la sua storia. Il suo sogno, forse, è riuscire a catturarla e trascriverne le emozioni mentre, senza tregua, ne avverte il miracolo. È la luce stessa ad agire su di lui, con la sua carezza, con la sua forza, con la sua presenza. Ma è la capacità di Lorenzo D’Angiolo di registrare la tangibile evidenza della luce che stupisce lo spettatore in opere straordinarie come “Luci contrapposte”, “La grande nube” o “L’albero bianco”, uno dei momenti più felici di tutta la sua pittura, che racconta a quale francescana profondità di pensiero sia pervenuto l’artista.
Ciò che di più normale scorre negli occhi, il volo d’un aquilone, la distesa d’un campo di grano, il dorso d’un colle fiorito, nelle opere del Maestro D’Angiolo di colpo si trasfigura: la luce lo bruca, lo scorpora, lo riveste d’un alone insospettato, di un senso di eterea liquidità. I registri rosa violacei, i grigi cilestrini, i gialli virati di verde, i bianchi calcinati sono il “visibile” di quella materia già incorporea che caratterizza le sue tempere, tecnica privilegiata dal D’Angiolo.
Intorno al 1985, dopo un ventennio di pittura alle spalle, D’Angiolo scopre la fotografia. L’impatto con il nuovo mezzo, il riconoscimento delle sue potenzialità linguistiche in rapporto alle proprie esigenze espressive, fa sì che in breve la macchina fotografica conquisti sui pennelli una posizione dominante, ma tutt’altro che esclusiva. Di fatto, la natura documentativa del mezzo, unita alla vocazione dell’artista di fissare nell’immagine alcuni archetipi tra i più facilmente riconoscibili e ricorrenti nella produzione immaginativa di popoli e civiltà, consente all’autore una nuova narrativa, così, negli anni, il percorso pittorico e quello fotografico si sono intersecati e anche sovrapposti in più occasioni. Ciascuno con l’apporto di specifiche intuizioni poetiche e soluzioni visive, i due ambiti, la pittura e la fotografia, hanno egualmente concorso a delineare il mondo di un artista dalle molteplici aperture e dall’estrema coerenza.
Osservando le opere esposte a Palazzo Mediceo di Seravezza, si comprende come le immagini di D’Angiolo siano un repertorio ricchissimo di segni, di tracce, di impronte. Dalle figure architettoniche che compaiono nelle opere fino all’85 ai dipinti della ripresa creativa, si possono tracciare quelle forme che richiamano la linea biomorfica e sintetista della scultura moderna, da Brancusi e Arp sino al nostro Alberto Viani. Particolari ingigantiti si estendono oltre la superficie dipinta fino a produrre un effetto di straniamento, non dissimile da quello dei dipinti di Domenico Gnoli, si trovano in opere come “Figura in trono” o “Sciopero”.
L’artista toscano, seravezzino, che ha fatto della luce la sua musa ispiratrice creando grandi quadri in cui l’effetto luce è la vita del quadro stesso, nell’ultimo periodo ha lavorato sul tema dell’immigrazione, è in queste opere che si condensano, particolarmente, il D’Angiolo pittore e il fotografo, è in queste opere che si rivelano i riverberi di luci e ombre e il fascino delle civiltà, qui, purtroppo, ritratte nel dolore dell’attesa o nell’assenza di un destino. È quasi un capitolo a sé questa parte di mostra, che rivela la grandezza dell’artista e al contempo la sensibilità dell’uomo, come si può osservare nelle opere “L’attesa”, “La mensa dell’attesa”, “La Regina nera”.
La Mostra, che si avvale del patrocinio della Regione Toscana, della Provincia di Lucca e del Comune di Seravezza, è realizzata grazie al contributo finanziario di Henraux, Canniccia, 3M, VNE e ha come Sponsor la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e Giuseppe Nutarelli.