In Italia si stima un totale di circa 130mila pazienti affetti da patologie autoimmuni con difficoltà di accesso ai farmaci biologici
In Italia si stima un totale di circa 130mila pazienti affetti da patologie autoimmuni afferenti all’area della reumatologia, della gastroenterologia e della dermatologia che non accedono alle cure biologiche giudicate adeguate alla loro condizione clinica. Il dato è emerso nel corso del convegno “Accesso ai farmaci biologici: dal sottotrattamento al gain sharing”, organizzato a Roma dall’Italian Biosimilars Group di EGUALIA (associazione delle aziende produttrici di generici – equivalenti, biosimilari e Value added medicines), con la partecipazione delle società scientifiche SIR, IG-IBD e SIDeMaST, delle associazioni dei pazienti APMARR, ANMAR, AMICI E ADIPSO e di rappresentanti del mondo istituzionale.
L’evento ha rappresentato il punto di sintesi di un percorso avviato quattro anni fa dalle aziende rappresentate dall’Italian Biosimilar Group di EGUALIA per quantificare ed evidenziare i fenomeni di sotto trattamento con farmaci biologici esistenti nel nostro Paese in tre grandi aree terapeutiche: reuma, gastro e derma.
Punto di partenza del dibattito le analisi realizzate da CliCon – Health, Economics & Outcome Research, società di ricerca guidata dall’economista Luca Degli Esposti, specializzata nella progettazione e nella realizzazione di progetti di outcomes research basati su database clinici e amministrativi.
La realtà del sottotrattamento “L’analisi – ha spiegato proprio Luca Degli Esposti – è stata condotta su un campione rappresentativo e geograficamente distribuito di ASL con un numero di assistibili corrispondenti a circa l’11 per cento della popolazione nazionale. In particolare, per la reumatologia, prendendo in considerazione il 2017 è stato stimato – proiettando i risultati su scala nazionale – un numero di pazienti affetti da artrite reumatoide pari a 320mila unità, di cui 43mila trattati con farmaci biologici. Ma almeno il 10% dei restanti 275mila – circa 27 mila pazienti – presentano almeno uno dei criteri di eleggibilità previsti dalle linee guida scientifiche allo stesso trattamento”.
“Per la gastroenterologia, con la medesima metodologia di proiezione a livello nazionale – ha proseguito Degli Esposti – su un totale di circa 237mila diagnosi di Malattia di Crohn o Colite Ulcerosa, sono circa 20mila i pazienti trattati con farmaci biologici (12% del totale) contro una quota di circa il 28% pazienti affetti dalle patologie considerate ritenuto idoneo per un trattamento con farmaci biologici, per un totale di circa 68mila pazienti”.
“In campo dermatologico infine – ha concluso – su un totale di oltre 1.4 milioni di pazienti identificati con diagnosi di psoriasi, circa il 4% (ca 56mila) è in trattamento con farmaci biologici e ce ne sono quasi altrettanti – circa 54mila – potenzialmente eleggibili allo stesso trattamento”.
Fattore comune delle tre analisi l’evidenza numerica del fatto che esiste un’ampia platea di pazienti che non accede o accede con grave ritardo ad una categoria di medicinali capaci di rallentare o modificare l’evoluzione della malattia, garantendo una migliore qualità di vita e riducendo anche le ricadute economiche sul Ssn.
“L’analisi economica ha rivelato costi sostanzialmente sovrapponibili tra pazienti che fanno uso di farmaci biologici e pazienti che potrebbero farne ma non ne fanno uso – ha confermato Degli Esposti – a variare è però la composizione dei relativi costi: ad una maggiore spesa farmaceutica per i pazienti in trattamento con farmaci biologici si contrappone una maggiore spesa per ricoveri e prestazioni specialistiche nei pazienti che, pur eleggibili al biologico, non ne fanno uso”.
Di qui la proposta di un nuovo strumento di policy pensato per essere messo a disposizione delle amministrazioni sanitarie: il “gain sharing”. “È uno strumento che affianca ai tradizionali indicatori economici sull’utilizzo dei farmaci biologici a minor costo, un indicatore clinico in grado di misurare il numero di pazienti eleggibili all’uso del biologico per una specifica patologia, ma non trattati.
La lettura combinata dei due indicatori – ha concluso Degli Esposti – permetterà di programmare ex ante il reinvestimento delle risorse liberate per contenere il fenomeno del sotto trattamento”.
“In tutte le aree terapeutiche interessate i biosimilari hanno garantito l’accesso al trattamento a un numero sempre più ampio di pazienti ma non è abbastanza visti i numeri che sono emersi da quattro anni di indagini – ha commentato Stefano Collatina, coordinatore dell’Italian Biosimilars Group di EGUALIA, che ha commissionato gli studi.
Il risparmio generato dovrebbe consentire a più pazienti di essere trattati all’interno del budget esistente mentre grazie agli accordi di gain sharing gli ospedali ed i centri prescrittori potrebbero trattenere almeno parte del risparmio ottenuto grazie alla concorrenza generata dai farmaci biosimilari per destinarlo proprio ad incrementare l’accesso al trattamento nelle aree terapeutiche dove è stato generato e dove emergono evidenze di sotto trattamento. I relativi indicatori possono essere facilmente elaborati mediante una dashboard già messa a disposizione presso un campione di Aziende sanitarie locali, affiancando gli indicatori di monitoraggio della spesa. Il nostro obiettivo è quello di condividere i risultati ottenuti per far sì che questo strumento possa essere adottato a livello nazionale a beneficio di tutti i pazienti oggi non coinvolti nelle cure”.
“Per questo – ha concluso Collatina – vorremmo che l’Agenas ed il Ministero della Salute si facessero promotori di un osservatorio permanente di monitoraggio del fenomeno con le Regioni, affinché le best practices sul modello del gain sharing diventino la risposta concreta ai pazienti almeno in queste aree terapeutiche”.
Il mercato italiano dei biosimilari
Secondo l’ultimo Report dell’Ufficio Studi EGUALIA nel 2021 le 15 molecole biosimilari in commercio hanno assorbito il 43% dei consumi nazionali (35% nel 2020) contro il 57% (65% nel 2020) detenuto dai corrispondenti originatori.
Complessivamente nell’arco del 2021 i prodotti biosimilari hanno registrato una crescita dei consumi del 26,9% rispetto ai dodici mesi precedenti mentre si è registrata una contrazione del 13,5% delle vendite di tutti gli altri farmaci biologici. Cinque le molecole protagoniste del sorpasso nelle vendite di biosimilare rispetto al biologico originatore.
Primo in classifica Filgrastim biosimilare (farmaco essenziale per i pazienti in chemioterapia citotossica), i cui biosimilari in commercio hanno assorbito il 96,54% del mercato della molecola a volumi, contro un residuale 3,46% ancora detenuto dall’originator. Seguono gli anticorpi monoclonali Infliximab (93,42% del mercato a volumi) e Rituximab (93,08%), le Epoetine (91,34%) e Adalimumab (83,67%). Ampiamente diversificato il quadro dei consumi a livello regionale. Tenendo conto del mercato riferito alle nove molecole in commercio da almeno 3 anni (Enoxaparina, Epoetine, Etanercept, Filgrastim, Follitropina, Infliximab, Insulina Glargine, Rituximab, Somatropina), in testa ai consumi sono Valle d’Aosta e Piemonte (82,4%). Seguono Marche (77,8%), Basilicata (70,9%), Sicilia (68,3%), Emilia-Romagna (67,1%), Toscana (66,5%). Fanalino di coda Lombardia (29,4%), Puglia (32%), Trentino-Alto Adige (44,1%). Da segnalare che tutte le Regioni hanno adottato delibere prescrittive che indirizzano verso il biologico a minor costo tranne Abruzzo, Emilia e Liguria.