L’integrazione di vitamina D non riduce il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 nella popolazione generale con prediabete secondo un nuovo studio
L’integrazione di vitamina D non riduce il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 nella popolazione generale con prediabete, ma può essere di beneficio nelle persone con bassa secrezione di insulina, secondo quanto emerso in uno studio giapponese pubblicato sul British Medical Journal.
«Il trattamento per 3 anni con 0,75 μg/die di eldecalcitolo, un analogo attivo della vitamina D, non ha impedito la progressione dal prediabete al diabete di tipo 2, né ha migliorato il tasso di regressione verso la normoglicemia rispetto al placebo» hanno scritto il primo autore Tetsuya Kawahara e colleghi del Shin Komonji Hospital, Kitakyushu, Giappone. «Tuttavia abbiamo osservato un effetto preventivo sullo sviluppo del diabete di tipo 2 dopo l’aggiustamento per le covariabili, soprattutto tra i partecipanti con insufficienza insulinica».
I recettori della vitamina D sono stati trovati in vari tipi di cellule, comprese le cellule β del pancreas, e la vitamina D attiva sarebbe coinvolta nella biosintesi e nella secrezione di insulina. Studi osservazionali hanno mostrato un’associazione tra basse concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D e aumento dell’incidenza del diabete di tipo 2. Anche se diversi trial e una recente meta-analisi hanno suggerito che l’integrazione di vitamina D può avere un effetto benefico sul controllo glicemico, altre ricerche su scala relativamente ampia e altre metanalisi di studi clinici randomizzati non hanno supportato questo risultato, hanno premesso i ricercatori.
Possibile beneficio nei soggetti con maggiore resistenza all’insulina
Lo studio prospettico Diabetes Prevention With Active Vitamin D (DPVD), in doppio cieco, multicentrico, randomizzato e controllato con placebo, ha coinvolto oltre 1.200 partecipanti di almeno 30 anni di età con ridotta tolleranza al glucosio (con o senza alterata glicemia a digiuno) provenienti da 32 istituzioni in Giappone, randomizzati in rapporto 1:1 a ricevere eldecalcitolo 0,75 μg al giorno o placebo per 3 anni.
Durante questo periodo hanno sviluppato il diabete il 12,5% dei soggetti nel gruppo eldecalcitolo e il 14,2% di quelli nel gruppo placebo, con una differenza non significativa e un rapporto di rischio (HR) di 0,87 (P=0,39). Non vi era inoltre alcuna differenza nella regressione verso la normoglicemia, che si era verificata nel 23,0% del gruppo eldecalcitolo rispetto al 20,1% nel gruppo placebo entro la fine dello studio (P=0,21).
Tuttavia l’analogo della vitamina D si è dimostrato efficace nel prevenire lo sviluppo del diabete di tipo 2 dopo l’aggiustamento in base a variabili prespecificate, tra cui età, sesso, ipertensione, indice di massa corporea, storia familiare di diabete, glicemia a 2 ore, 25-idrossivitamina D e insulino-resistenza (HR 0,69, P=0,02).
In un’analisi post-hoc, eldecalcitolo ha impedito in misura significativamente inferiore lo sviluppo del diabete di tipo 2 tra i soggetti nel terzile più basso della valutazione del modello omeostatico della funzione delle cellule β (HOMA-β) (HR 0,35, P<0,001), HOMA-insulino-resistenza (HR 0,37, P=0,001) e insulina immunoreattiva a digiuno (HR 0,41, P=0,001), «risultati che indicano che l’analogo della vitamina D ha avuto un effetto benefico sull’insufficiente secrezione basale di insulina» hanno scritto Kawahara e colleghi.
Le interruzioni dovute a effetti collaterali si sono verificate nel 4,1% del gruppo eldecalcitolo e nel 3,4% del gruppo placebo (HR 1,23, P=0,47). Percentuali e tipologie di eventi avversi non differivano significativamente tra i due gruppi.
Diversi studi hanno fornito risultati molto simili
«Il nuovo studio è stato ben condotto, con criteri diagnostici rigorosamente definiti e testati e con una durata sufficiente, ma potrebbe essere stato sottodimensionato per poter rilevare un piccolo effetto» ha scritto in un editoriale di accompagnamento Tatiana Christides della Queen Mary University di Londra, Regno Unito. «Una recente metanalisi ha riscontrato una riduzione significativa del 10% del rischio di diabete di tipo 2 con l’integrazione di vitamina D, una differenza troppo piccola per essere rilevata da questo studio. Anche se si tratta di una riduzione modesta, può essere preziosa a livello di popolazione e giustifica ulteriori ricerche».
La riduzione relativa del rischio del 13% non significativa emersa dallo studio attuale è simile a quella riscontrata nel 2019 nel trial Vitamin D and Type 2 Diabetes (D2d) nel quale, anche in questo caso, veniva suggerito un beneficio in un sottoinsieme di persone, quelle carenti di vitamina D.
«I risultati sono molto simili a quelli di un terzo studio, condotto in Norvegia e pubblicato nel 2014, che ancora una volta ha riscontrato una riduzione relativa del rischio relativo del 13%» ha sottolineato il ricercatore capo di D2d Anastasios Pittas, responsabile della divisione di diabete, endocrinologia e metabolismo presso il Tufts Medical Center di Boston, Massachusetts. «Gli esiti quasi identici dei tre studi, che sono stati specificamente progettati e condotti per verificare se l’integrazione di vitamina D riduce il diabete, indica chiaramente un effetto benefico della vitamina D per la riduzione del rischio. Tuttavia l’effetto complessivo nelle persone non selezionate per l’insufficienza di vitamina D sembra essere inferiore a quanto ipotizzato in ogni studio».
Secondo Pittas alcuni pazienti con prediabete possono trarre beneficio dalla vitamina D, anche se l’effetto complessivo è modesto nei prediabetici non selezionati per carenza di vitamina D. «Considerata la prevalenza del prediabete e del diabete di tipo 2, medici e pazienti dovrebbero considerare l’integrazione di vitamina D in aggiunta alla perdita di peso per la prevenzione del diabete. Sulla base delle analisi dello studio D2d, le persone con prediabete con livelli bassi di vitamina D e che non sono obese traggono il massimo beneficio».
Ha comunque ricordato l’importanza di accertare il rapporto beneficio-danno per ogni singolo paziente, dato che le analisi secondarie del trial D2d suggeriscono che dosi supplementari elevate di Vitamina D potrebbero causare effetti collaterali muscolo-scheletrici negli anziani.
«Fino a quando non saranno disponibili ulteriori dati da studi randomizzati di alta qualità, gli operatori sanitari dovrebbero continuare a discutere con i pazienti i benefici per la salute muscolo-scheletrica della vitamina D e supportarli per ottenere e mantenere i cambiamenti nello stile di vita che, anche se sono difficili da sostenere, contrastano lo sviluppo del diabete» ha consigliato Christides.
Bibliografia
Kawahara T et al. Effect of active vitamin D treatment on development of type 2 diabetes: DPVD randomised controlled trial in Japanese population. BMJ 2022;377:e066222.