Nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 l’uso di inibitori SGLT2 nel trattamento di prima linea ha ridotto il rischio cardiovascolare
Nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 l’uso di inibitori SGLT2 nel trattamento di prima linea ha ridotto il rischio cardiovascolare, secondo uno studio osservazionale pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine.
Il rischio combinato a 12 mesi di infarto miocardico, ictus e decesso era simile tra quanti hanno iniziato la terapia antidiabetica con un SGLT2 inibitore e coloro che hanno utilizzato metformina (HR 0,9), hanno riferito il primo autore HoJin Shin e colleghi del Brigham and Women’s Hospital e della Harvard Medical School di Boston.
Tuttavia gli inibitori SGLT2 hanno mostrato un vantaggio nella gestione dell’insufficienza cardiaca. Il rischio combinato di ospedalizzazioni o mortalità per insufficienza cardiaca aveva una probabilità relativa del 20% inferiore con queste terapie rispetto alla metformina (HR 0,80) nel corso di un follow-up medio di 12 mesi.
Un risultato in linea con quello degli ampi trial clinici sugli esiti cardiovascolari imposti dalla Fda, nei quali queste molecole hanno ridotto il rischio di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca dal 27% al 35% rispetto al placebo, hanno affermato i ricercatori.
Conferme da diverse linee guida
Le linee guida per l’insufficienza cardiaca recentemente aggiornate raccomandano gli inibitori SGLT2 per i pazienti con diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari accertate o ad alto rischio, per prevenire l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca.
«Il vantaggio di ridurre i ricoveri per scompenso cardiaco emerso in questi studi riflette prevalentemente la prevenzione primaria dell’insufficienza cardiaca sintomatica, dal momento che solo il 10-14% circa dei partecipanti presentava scompenso al basale» hanno scritto gli autori delle linee guida. «I meccanismi per il miglioramento degli eventi di insufficienza cardiaca non sono stati completamente chiariti, ma sembrano essere indipendenti dall’abbassamento della glicemia. Tra questi ci sono le riduzioni del volume plasmatico, precarico e postcarico cardiaco, alterazioni del metabolismo cardiaco, ridotta rigidità arteriosa e interazione con gli scambiatori Na+/H+».
Secondo le linee guida per gli standard of care dell’American Diabetes Association «la terapia di prima linea dipende da comorbidità, fattori di trattamento incentrati sul paziente e esigenze di gestione, e generalmente include metformina e modifiche complete dello stile di vita». Hanno suggerito la terapia con GLP-1 agonisti o SGLT2 inibitori in base al fabbisogno glicemico, con o senza metformina, come terapia iniziale appropriata per i pazienti con diabete di tipo 2 con o ad alto rischio di malattia cardiovascolare aterosclerotica, insufficienza cardiaca e/o malattia renale cronica.
Un percorso decisionale di consenso di esperti dell’American College of Cardiology per i pazienti con diabete di tipo 2 ha raccomandato in modo simile di iniziare un SGLT2 inibitore o un GLP-1 agonista, senza privilegiare una delle due classi, in combinazione con altre terapie mediche raccomandate dalle linee guida per il controllo della glicemia e di altri fattori nei pazienti ad alto rischio e in quelli con malattie cardiache accertate.
Uno studio osservazionale sul primo utilizzo dei farmaci antidiabetici
Shin e colleghi hanno identificato il primo uso di farmaci antidiabetici nei database Optum Clinformatics Data Mart e IBM MarketScan per gli adulti a partire dai 18 anni di età con un’assicurazione sanitaria commerciale sponsorizzata dal datore di lavoro o un piano assicurativo Medicare Advantage per le persone di almeno 65 anni di età.
Nello studio osservazionale sono stati inclusi un totale di 8.613 pazienti che hanno assunto come farmaci di prima linea un SGLT2 inibitore tra canagliflozin, empagliflozin o dapagliflozin, abbinati per punteggio di propensione a oltre 17mila pazienti che hanno iniziato la terapia per il diabete di tipo 2 con metformina da aprile 2013 a marzo 2020.
Insieme al minor rischio di ospedalizzazioni per insufficienza cardiaca in quanti hanno assunto come terapia di prima linea un SGLT2 inibitore (HR 0,78), è stato rilevato un rischio numericamente inferiore ma non significativo di infarto del miocardio (HR 0,70). Ictus e rischio di mortalità erano simili tra i gruppi.
«Questi risultati sono in linea con quelli di una metanalisi del 2019 di tre studi sugli esiti cardiovascolari, in cui è emersa una riduzione relativa significativa dell’11% di infarto del miocardio, ma nessuna riduzione di ictus, suggerendo un effetto di precarico cardiaco con manifestazione relativamente precoce e spiegando la nostra scoperta di un rischio di infarto miocardico inferiore quando si confrontano gli inibitori SGLT2 e la metformina, in particolare tra i pazienti con malattie cardiovascolari esistenti» hanno fatto presente gli autori.
Come previsto dagli studi, quanti hanno iniziato la terapia antidiabetica con SGLT2 inibitori avevano un rischio più elevato di infezioni genitali (HR 2,19) ma, a parte questo, la sicurezza è risultata sovrapponibile a metformina.
«Anche se i nostri risultati possano supportare l’uso degli inibitori SGLT2 come trattamento di prima linea del diabete di tipo 2 per ridurre gli esiti cardiovascolari, sono necessarie ulteriori ricerche, ovvero uno studio clinico randomizzato, per stabilire evidenze più solide» hanno concluso.
Bibliografia
Shin H et al. Cardiovascular outcomes in patients initiating first-line treatment of type 2 diabetes with sodium-glucose cotransporter-2 inhibitors versus metformin: a cohort study. Ann Intern Med. 2022 May 24.