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Spiagge 2022 Legambiente: quelle libere sono sempre meno

Bagnino in spiaggia con mascherina, Covid

Legambiente: “Addio spiagge libere, 12.166 concessioni a canoni irrisori”. Intanto l’erosione interessa il 46% delle coste sabbiose, dato triplicato dal 1970

In Italia è sempre più difficile trovare una spiaggia libera. A pesare un mix di fattori: la crescita in questi anni delle concessioni balneari che toccano quota 12.166, l’aumento dell’erosione costiera che riguarda circa il 46% delle coste sabbiose, con i tratti di litorale soggetti ad erosione triplicati dal 1970, e il problema dell’inquinamento delle acque che riguarda il 7,2% della costa sabbiosa interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento. A fare il punto della situazione e dei cambiamenti in corso lungo le aree costiere è il nuovo rapporto di Legambiente ‘Spiagge 2022’, diffuso oggi a pochi giorni dall’approvazione del ddl Concorrenza che pone finalmente fine alla proroga infinita alle concessioni balneari fissando l’obbligo di messa a gara dal primo gennaio 2024, così come deciso dalla sentenza del Consiglio di Stato. Per quel che riguarda le 12.166 concessioni per stabilimenti balneari, secondo i dati del monitoraggio del Sistema informativo demanio marittimo (S.I.D.) di maggio 2021. In alcune Regioni troviamo dei “veri e propri record a livello europeo”, segnala Legambiente. Si tratta ad esempio della Liguria, dell’Emilia-Romagna e della Campania, dove quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari. Nel Comune di Gatteo, in Provincia di Forlì e Cesena, tutte le spiagge sono in concessione, ma anche a Pietrasanta (Lucca), Camaiore (Lucca), Montignoso (Messina), Laigueglia (Savona) e Diano Marina (Imperia) siamo sopra il 90%, precisa il dossier, “e rimangono liberi solo pochi metri spesso in prossimità degli scoli di torrenti in aree degradate”.

I NODI DA SCIOGLIERE

I nodi, raccontati nel report di Legambiente ‘Spiagge 2022’, da risolvere subito sono quelli della scarsa trasparenza sulle concessioni balneari, dei canoni per buona parte ancora irrisori, della non completezza dei dati sulle aree demaniali e soprattutto dell’assenza di un regolare e affidabile censimento delle concessioni balneari ed in generale di quelle sul Demanio marittimo. Tra i nervi scoperti nella situazione delle spiagge italiane c’è anche “la scarsa trasparenza dei canoni pagati per le concessioni e la non completezza dei dati sulle aree che appartengono al demanio dello Stato“, avverte il dossier di Legambiente.

Grazie però alla relazione della Corte dei Conti ‘La gestione delle entrate derivanti dai beni demaniali marittimi’ si scoprono però alcune cifre importanti. “Per il 2020 le previsioni definitive sull’ammontare dei canoni parlano di 104,8 milioni di euro in totale in Italia, ma di una cifra accertata di 94,8 milioni, di cui 92,5 milioni riscossi. Ricorda Legambiente. si tratta di un decremento del 12% rispetto al 2019, in parte, secondo la relazione ‘da ascriversi alla situazione straordinaria generatasi dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 e dai conseguenti numerosi provvedimenti normativi emanati per fronteggiarla’”. I dati della media 2016-2020 parlano di “entrate accertate per 103,9 milioni di euro annui, con 97,5 milioni riscossi”. A vedere questi numeri, senza confronto rispetto al giro d’affari del settore, “sembra quasi che allo Stato non interessino i canoni delle spiagge“, commenta Legambiente.

I PROCESSI DI EROSIONE COSTIERA

C’è poi il primo grande fenomeno che riguarda la crescita dei processi di erosione costiera, che riguardano circa il 46% delle coste sabbiose, con i tratti di litorale soggetti ad erosione triplicati dal 1970, spiega il dossier Legambiente, ed un numero impressionante di 40 milioni di metri quadrati di spiagge persi a causa dell’erosione costiera negli ultimi 50 anni. “Se si considera che uno stabilimento balneare italiano ha una grandezza media di 3.364 metri quadri, secondo i dati di Cna Balneatori, si può dire che in 50 anni siano scomparse spiagge pari a 11.900 stabilimenti balneari, quasi lo stesso numero di quelli presenti ad oggi”, segnala l’associazione ambientalista.

Uno dei problemi “è che continuiamo ad intervenire con opere rigide come pennelli e barriere frangiflutti, che interessano almeno 1.300 km di costa- avverte Legambiente- queste opere vengono realizzate a difesa di spiagge, ma anche porti ed edifici, oltre che di un settore, come il turismo, che ha un peso rilevantissimo per l’economia italiana”. Ma esiste “un problema di quantità della spesa pubblica e anche di qualità a fronte di interventi dai risultati quanto meno deludenti”, infatti “la spesa per questi interventi supera i 100 milioni di euro all’anno che non solo è meno di quanto lo Stato incassa dal le concessioni balneari, ma anche in larga parte inutile a fermare i processi”.

LA QUALITÀ DEL MARE

La qualità del mare lungo le coste italiane è un altro fattore cruciale per capire le condizioni in cui versano i litorali nel nostro Paese, ricorda Legambiente. Per capire le contraddizioni nel modo di gestire le spiagge in Italia e approfondire la situazione di inquinamento e i tratti di costa non balneabili basta accedere al Portale Acque del Ministero della Salute. “In molti casi gli stabilimenti balneari hanno di fronte tratti di mare dove è interdetta la balneazione perché i livelli di Escherichia Coli e/o Enterococchi superano i limiti di legge, quasi sempre per malfunzionamento o assenza di depuratori”, si legge nel dossier ‘Spiagge 2022’.

Il 7,2% dei tratti di coste sabbiose in Italia è di fatto interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento, in linea con lo 7,7% dello scorso anno. Questo dato viene fuori dall’analisi di numeri e immagini satellitari del Portale Acque del ministero della Salute sui tratti spiaggiosi non balneabili, escludendo dunque dal calcolo aree portuali, aeroportuali, industriali e le coste alte rocciose. Il numero delle aree interdette “è rilevante perché vi sono aree vietate alla balneazione per inquinamento (perché sono stati effettuati campionamenti che hanno dato esiti in tal senso)- segnala Legambiente. ma anche aree di fatto ‘abbandonate’, ossia non campionate, ma comunque non balneabili per motivi che non sono espliciti”. In alcuni casi sono foci di fiume e di torrenti, “ma in altri casi non si comprende perché non vengano più analizzate e ricomprese tra le aree non balneabili”, lamenta l’associazione. Per Legambiente, poi, “incredibile è la quantità di aree costiere interdette alla balneazione a causa dell’inquinamento, in special modo in Sicilia, Calabria e Campania, che in totale contano circa 65 km su 72 km interdetti a livello nazionale”. Il risultato è che “complessivamente la spiaggia libera e balneabile si riduce al 50% mediamente nel nostro Paese, ma con aree dove diventa perfino difficile trovare quelle al contempo libere e balneabili”, si legge nel dossier.

“In Italia- dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente- non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Un’anomalia tutta italiana a cui occorre porre rimedio. L’errore della discussione politica di questi anni sta nel fatto che si è concentrata tutta l’attenzione intorno alla Direttiva Bolkestein finendo per coprire tutte le questioni, senza distinguere tra bravi imprenditori e non, e senza guardare a come innovare e riqualificare. È un peccato che non si sia riusciti a definire le nuove regole in questa legislatura, in modo da togliere il tema dalla campagna elettorale. Occorre, infatti, dare seguito alle innumerevoli sentenze nazionali ed europee, altrimenti si arriverà presto a multe per il nostro Paese per violazione delle direttive comunitarie e, a questo punto, anche di una legge nazionale che stabilisce di affidarle tramite procedure ad evidenza pubblica a partire dal primo gennaio 2024″.

“Parlare di spiagge significa anche parlare di sostenibilità ambientale- spiega Sebastiano Venneri, responsabile territorio e innovazione di Legambiente- Occorre accelerare nella direzione della qualità e sostenibilità ambientale, replicando quelle esperienze virtuose e green messe in campo già da molti lidi e apprezzate sempre più dai cittadini che cercano qualità e rispetto dell’ambiente. A questo riguardo la Prassi UNI, nata dal lavoro di Legambiente insieme alle principali categorie di balneari, è un’esperienza preziosa e unica che definisce i criteri dei lidi sostenibili e accessibili e che spinge proprio in questa direzione. In più dal 2022 all’interno del Fondo previsto dalla Legge di Bilancio destinato alla realizzazione di interventi per l’accessibilità all’offerta turistica delle persone con disabilità, sono previsti finanziamenti per chi decide di accedere alla prassi UNI codificata grazie a Legambiente”.

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