Indagine PageGroup sul lavoro nel settore legale: gli avvocati ambiscono ad una carriera in-house. Parla Pier Francesco Mercanti
Il settore legale si dimostra, per certi versi, leggermente diverso da tutti gli altri. Abbiamo visto come il Covid-19 abbia spinto molti professionisti a lasciare la sicurezza del proprio lavoro per aprire una propria attività. Un discorso che, però, sembra non valere per gli avvocati.
“Da qualche tempo – precisa Pier Francesco Mercanti, Associate Executive Manager di Michael Page – stiamo assistendo a un fenomeno abbastanza particolare: molti professionisti, che magari hanno maturato alcuni anni di esperienza all’interno dei vari studi legali, ad un certo punto sentono il bisogno di spostarsi in azienda. Le motivazioni possono essere molteplici, ma ci sono due elementi ricorrenti: la ricerca di una maggiore sicurezza che un contratto da dipendente garantisce rispetto ad una Partiva IVA e la speranza di trovare un miglior bilanciamento tra lavoro e vita privata con orari più canonici e ritmi meno stressanti”.
Un passaggio, però, tutt’altro che semplice. Per un avvocato (il discorso vale anche per chi non ha ancora conseguito il titolo ma lavora comunque come praticante in uno studio) entrare a lavorare in azienda è complicato, principalmente per due motivi: domanda inferiore all’offerta e Secondment.
Dobbiamo considerare che la funzione legale rappresenta per le aziende un centro di costo, che le porta ad affidarsi a consulenti esterni. Ancora oggi, ad eccezione di quelle poche grandi realtà che hanno un dipartimento strutturato, gran parte degli uffici legali è di piccole dimensioni e con limitatissime prospettive di crescita. Di conseguenza si aprono poche posizioni in-house sul mercato e la domanda è nettamente inferiore all’offerta.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dai Secondment, grazie al quale uno studio legale presta un proprio collaboratore ad una certa azienda per un periodo di tempo limitato e stabilito. Può succedere, ma non è automatico, che l’impresa decida di assumere proprio quel professionista che conosce il business perché lo ha vissuto in prima persona.
“Quelli appena descritti – aggiunge Mercanti – rappresentano sicuramente degli ostacoli, non degli impedimenti. Se si hanno le carte in regola e la giusta determinazione è certamente possibile riuscire ad ottenere il lavoro. Ciò che invece a volte manca è una piena consapevolezza di cosa significhi, realmente, cambiare prospettiva. Questo è un aspetto determinante quando si valuta un cambio di questo genere, perché il rischio di commettere un errore è dietro l’angolo. In un mercato legale ormai fortemente caratterizzato dalle specializzazioni, infatti, lavorare in house comporta il più delle volte il ritorno ad un approccio generalista: il giurista d’impresa deve conoscere e saper gestire tematiche legali svariate (dalla contrattualistica alla segreteria societaria, dal precontenzioso alla compliance e alle operazioni straordinarie, giusto per citare alcuni esempi) e spesso questo può essere considerato una sorta di retrocessione e può essere, a lungo andare, motivo di frustrazione. In azienda, inoltre, la crescita professionale è più lenta e, in alcuni casi, anche la retribuzione può essere più bassa”.
Sebbene non esista il momento giusto per lasciare lo studio legale a favore di un’azienda, qualche anno di esperienza in studio (almeno 3 o 4 anni) può essere utile ai fini della formazione di un buon professionista in-house. In studio si impara a lavorare sotto stress e scadenze, ad affrontare questioni più o meno complesse, a gestire i rapporti con interlocutori diversi. Inoltre, più si riesce a posticipare il momento del passaggio, più si avranno le carte in regola per concorrere a posizioni con responsabilità maggiore e quindi meglio retribuite.
Per facilitare il passaggio, infine, è molto utile avere un solido background in materia di diritto societario e commerciale, in tutte le sue declinazioni. Le specializzazioni (ad esempio in diritto del lavoro, in diritto amministrativo, in IP) rappresentano certamente una carta vincente nel caso di grosse società con uffici legali complessi. Per gran parte delle realtà aziendali nel nostro paese, è preferibile avere una competenza corporate a 360°.
Per chi si occupa esclusivamente di contenzioso – un ambito che le aziende sono costrette ad esternalizzare – il salto di carriera è più complicato, ma certamente non impossibile.