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Covid: stop a test sierologico per prescrizione tixagevimab e cilgavimab

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Covid: la Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA ha modificato il registro relativo alla combinazione di anticorpi monoclonali tixagevimab e cilgavimab

La lotta al Covid non si ferma e da qualche settimana la Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA ha modificato il registro relativo alla combinazione di anticorpi monoclonali tixagevimab e cilgavimab, eliminando i blocchi nella scheda di eleggibilità, relativamente alla domanda “Sierologia (IgM, IgG, antiglicoproteina S) anti SARS-CoV-2”. In pratica, a seguito di questa modifica, sono eleggibili alla profilassi con tale combinazione anche i pazienti fragili che presentano una sierologia “positiva” o “non disponibile”in quanto non è più obbligatorio eseguire un test sierologico e mostrarne la negatività al fine della prescrizione della suddetta profilassi.

“Questo è un passo importante in avanti che semplifica la possibilità di somministrare la combinazione di tixagevimab e cilgavimab, che si è dimostrata molto utile per la profilassi da SARS-CoV-2 per i pazienti ad alto rischio; questa decisione è anche in linea con le raccomandazioni internazionali proprio perché viene data molta più importanza alla situazione clinica e, quindi, al fattore di rischio che è determinante sull’inizio della profilassi” precisa  il prof. Claudio Mastroianni, professore ordinario di Malattie Infettive all’Università Sapienza di Roma e presidente SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali).

“Noi come società scientifica -prosegue Mastroianni- riteniamo che le caratteristiche del profilo di rischio del paziente siano il criterio determinante per la scelta della profilassi anche perché non sappiamo realmente con la sierologia quanta attività neutralizzante contro il virus sia presente, anche in caso di test positivo: ciò vuol dire che non siamo certi che la presenza di anticorpi possa indicare una effettiva protezione del paziente  nei confronti del virus. Inoltre, non sappiamo se questa attività neutralizzante sia mantenuta o meno contro le attuali varianti del virus.”
Circa il 2% della popolazione mondiale è considerato ad alto rischio di risposta inadeguata alla vaccinazione contro il Covid-19 e può trarre particolare beneficio dalla profilassi pre-esposizione con la combinazione dei suddetti anticorpi monoclonali. Parliamo di persone immunocompromesse, come i pazienti oncologici ed onco-ematologici, i pazienti sottoposti a trapianto di organo solido o midollo osseo, e chiunque assuma farmaci immunosoppressori (pazienti con artrite reumatoide, sclerosi multipla, ecc.) o sia affetto da immunodeficienze primarie.

“La vaccinazione rappresenta un cardine nella lotta al CoVID-19 e va continuamente incentivata. Però, in questo momento storico abbiamo osservato una scarsa adesione alla quarta dose tra i soggetti fragili; fortunatamente abbiamo a disposizione un’altra strategia di profilassi efficace e sicura che si somministra facilmente per via intramuscolare, garantendoun una protezione contro la malattia per almeno 6 mesi dalla somministrazione. È necessario che gli specialisti che hanno in carico pazienti fragili e immunocompromessi a rischio di malattia grave, in linea con le indicazioni di AIFA, possano attivarsi per trattare i loro pazienti il prima possibile. Tra le classi di pazienti eleggibili identificate da AIFA  abbiamo malattie oncoematologiche, neoplasie ematologiche, persone che hanno effettuato un trapianto di midollo osseo, pazienti in chemioterapia attiva o che assumono farmaci che vanno a deprimere il sistema immunitario, soprattutto i linfociti B. Questa serie di terapie infatti ha un’azione sul sistema immunitario e non consente di sviluppare una adeguata risposta immunitaria. Quindi anche se la persona si sottopone al vaccino la risposta non supera il 40-50%. Sono pazienti esposti non solo all’infezione ma soprattutto alla malattia severa, pazienti dializzati o con immunodeficienze congenite o immunodeficienza acquisite come l’HIV, e persone sottoposte a trapianto di organo solido. Sono persone che purtroppo sono a rischio di sviluppare un Covid severo e vanno protette” aggiunge Mastroianni.

Tixagevimab (AZD8895) e cilgavimab (AZD1061) sono parte di una combinazione di due anticorpi monoclonali a lunga durata d’azione – derivati da cellule B donate da individui precedentemente infettati dal virus SARS-CoV-2. Scoperti dal Vanderbilt University Medical Center e concessi in licenza ad AstraZeneca nel giugno 2020, questi due anticorpi si legano a siti distinti della proteina spike di SARS-CoV-2 e sono stati ottimizzati da AstraZeneca con estensione dell’emivita e riduzione del legame con il recettore Fc e il complemento C1q. L’estensione dell’emivita triplica la durata della sua azione rispetto agli anticorpi convenzionali; i dati del trial PROVENT di fase III mostrano una protezione che dura almeno sei mesi.

“Questa profilassi è stata autorizzata a gennaio ma da analisi sul reale utilizzo si riscontra un po’ di eterogeneità di uso nelle varie regioni italiane. Ci vuole una certa sensibilità da parte degli specialisti che seguono queste persone. Noi infettivologi possiamo fare anche da supporto, da consulenti, ma è fondamentale che gli specialisti di riferimento come ematologi, oncologi, trapiantologi, reumatologi, nefrologi e quindi tutti coloro che seguono questi pazienti identifichino i loro pazienti per candidarli all’uso di questo farmaco” sottolinea Mastroianni.
Il medico di medicina generale o gli specialisti di riferimento, una volta identificato il paziente, compilano il modulo di valutazione di eleggibilità e lo inviano al centro prescrittore identificato a livello regionale che provvede alla validazione della richiesta e alla compilazione della scheda eleggibilità AIFA e alla prescrizione del farmaco.
“In aggiunta ai centri specialistici presso i quali i pazienti sono in carico, la terapia di profilassi con gli anticorpi monoclonali potrebbe essere semplicemente somministrata anche presso i centri che attualmente si occupano di trattamento dei pazienti Covid con anticorpi monoclonali. aggiunge Mastroianni.

La somministrazione può avvenire direttamente nel reparto specialistico o, su decisione specifica della struttura, può essere effettuato nel reparto d’infettivologia/medicina interna o altro reparto.
La combinazione viene somministrata come due iniezioni intramuscolari separate e sequenziali da 1,5 mL in siti diversi di iniezione, preferibilmente una in ciascuno dei muscoli glutei. Ogni confezione contiene due flaconcini, le due iniezioni sono costituite da: 150 mg di tixagevimab soluzione iniettabile (tappo del flaconcino di colore grigio scuro);  150 mg di cilgavimab soluzione iniettabile (tappo del flaconcino di colore bianco). In soggetti sottoposti a vaccinazione per COVID-19 questi anticorpi devono essere somministrati dopo almeno 2 settimane dalla somministrazione dell’ultima dose di vaccino.

E’ stato recentemente mostrato che tixagevimab più cilgavimab mantengono l’attività di neutralizzazione anche contro le varianti emergenti di Omicron BA.4 e BA.5 (BA.4/5), secondo i nuovi dati preclinici ottenuti dall’Università di Oxford su pseudovirus.
“È doveroso precisare che la profilassi non protegge dall’infezione ma dalla malattia grave, non compromettendo il percorso di cura; questo è un punto fondamentale per la migliore riuscita dei trattamenti ai quali le differenti tipologie di pazienti fragili sono sottoposti” conclude Mastroianni.

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