L’utilizzo dell’intelligenza artificiale per studiare gli embrioni creati in vitro nei laboratori di Procreazione medicalmente assistita permette di ottenere migliori risultati
L’utilizzo dell’intelligenza artificiale (AI) per studiare gli embrioni creati in vitro nei laboratori di Procreazione medicalmente assistita e ottimizzare i risultati delle procedure. E’ la nuova frontiera segnata da uno studio presentato dal gruppo GeneraLife al congresso della Società europea di Riproduzione umana ed embriologia (Eshre). In particolare, il lavoro si concentra sull’analisi di video in incubatori time-lapse, presenti nei laboratori più all’avanguardia, unita a software di AI, di embrioni coltivati fino al 7° giorno, allo stadio di blastocisti.
“Anche gli embrioni più lenti nel loro sviluppo, che raggiungono lo stadio di blastocisti in settima giornata di coltura in vitro – spiega Danilo Cimadomo, responsabile Ricerca e Sviluppo di GeneraLife – preservano, se congelati, buone chance di risultare in una gravidanza a termine. Questa scoperta ha un valore importante soprattutto in contesti normativi come quello italiano (dove la legge obbliga a utilizzare tutti gli embrioni evolutivi) e in pazienti di età materna avanzata, che devono ottimizzare le loro chance di gravidanza. Ma è un elemento rilevante anche in Paesi, come la Spagna o gli Stati Uniti, dove viene eseguita una selezione più rigida degli embrioni, perché dà valore a quelli che normalmente verrebbero scartati. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale in questo contesto ci ha aiutato a standardizzare e oggettivare questa analisi, e a slegarla dalla valutazione operatore-dipendente”.
Circa 2.000 blastocisti appartenenti a oltre 600 pazienti sono state studiate nell’arco di 7 anni. Tutti gli embrioni sono stati coltivati in incubatori time lapse, in grado di registrare video continui dello sviluppo preimpianto. Questi video sono stati analizzati attraverso software che sfruttano l’AI al fine di valutare la competenza delle blastocisti (tasso di normalità cromosomica o euploidia; tasso di impianto e tasso di aborto). “Se avessimo interrotto la coltura al 6° giorno, come si fa in molti Stati – prosegue Cimadomo – avremmo osservato una riduzione di oltre il 4% delle possibilità di gravidanza, un calo del 14% di embrioni sovrannumerari in pazienti che hanno ottenuto una prima gravidanza (utilizzabili per un secondo tentativo), e un 5% di riduzione delle chance di ottenere una gravidanza in pazienti con fallimenti da embrioni più ‘rapidi’ nello sviluppo”. Dallo studio emerge, in sintesi, come sia “una falsa credenza che gli embrioni più lenti nello sviluppo non siano competenti: è infatti meno probabile, ma non è impossibile, che portino a una gravidanza”.
Al congresso viene presentato anche un secondo studio basato sull’impiego di intelligenza artificiale, che si è concentrato sul fenomeno del ‘collassamento’ degli embrioni durante lo sviluppo pre-impianto. “Si tratta di un evento frequente – spiega Cimadomo, che firma anche questo lavoro e lo presenterà in oral alla platea dell’Eshre – e che consiste in una riduzione del volume dell’embrione umano, che ‘collassa’ su se stesso, per poi ri-espandersi. Queste dinamiche sono visibili solo mediante incubatori time lapse e analizzabili nel dettaglio mediante software di AI. Abbiamo rilevato che il collassamento è indice di minor competenza degli embrioni, ma non compromette le loro possibilità di impianto. Questi avanzamenti tecnologici e queste informazioni sono utilissime per valutare in modo oggettivo e standardizzato la qualità degli embrioni prodotti in vitro”.
Si tratta di ricerche complesse, altamente tecnologiche: “Avere a disposizione video degli embrioni e poter applicare dei tool di AI (la cosiddetta ‘computer vision’) che vanno a oggettivare e aumentare il livello di dettaglio, superiore a quello dell’occhio umano, incrementa la qualità e la quantità di informazioni che possiamo ottenere sugli embrioni. E aumentando le conoscenze a livello teorico, possiamo tradurre tutto questo in un miglioramento della pratica clinica: sapere sempre di più su come gli embrioni si comportano in vitro permette di valutare meglio quali sono quelli con le maggiori chance di risultare in una gravidanza a termine. In questo studio abbiamo evidenziato che il 50% delle blastocisti va incontro ad almeno un collassamento e riespansione. Questo spesso si associa a maggior rischio di degenerazione, aneuploidia cromosomica e a scarsa qualità morfologica”, conclude Cimadomo.