Tumore alla prostata: arrivano conferme di efficacia in termini di sopravvivenza per l’aggiunta di enzalutamide alla terapia di derivazione androgenica
L’aggiunta dell’anti-androgeno di nuova generazione enzalutamide alla soppressione del testosterone con la terapia di derivazione androgenica continua a mostrare anche a lungo termine un miglioramento clinicamente significativo della sopravvivenza globale (OS) rispetto a un anti-androgeno non steroideo convenzionale (NSAA) nei pazienti con carcinoma prostatico metastatico ormono-sensibile dello studio di fase 3 ENZAMET, di cui è stato presentato un importante aggiornamento al congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), a Chicago.
I dati a 6 anni (follow-up mediano di 68 mesi) mostrano che nella popolazione complessiva, l’OS mediana non è ancora stata raggiunta (NR) nel braccio trattato con enzalutamide, mentre è risultata di 73,2 mesi nel braccio di controllo, trattato con un NSAA, con una riduzione del rischio del rischio di decesso del 30% nel braccio sperimentale (HR, 0,70; IC 95%, 0,58-0,84; P < 0,0001). Inoltre, nel braccio enzalutamide i pazienti ancora in vita a 5 anni erano il 10% in più rispetto a quelli del braccio di controllo.
In particolare, si è visto che i pazienti con malattia a basso volume (oligometastatica) e quelli con malattia ad alto volume, già metastatica alla diagnosi (sincrona, M1) traggono benefici superiori da enzalutamide rispetto ad altri sottogruppi analizzati nello studio.
«I risultati dello studio ENZAMET vanno ad aggiungersi al corpus di conoscenze derivate da molti altri studi chiave e ora forniscono le informazioni per scegliere la migliore terapia per il carcinoma prostatico ormono-sensibile», ha affermato durante la presentazione dei dati Ian D. Davis, della Eastern Health Clinical School presso la Monash University di Box Hill, in Australia.
I presupposti dello studio
In precedenza, ha ricordato Davis, se sottoposti solo alla soppressione del testosterone i pazienti con carcinoma prostatico metastatico ormono-sensibile a basso volume mostravano outcome migliori di quelli con malattia ad alto volume, e lo stesso valeva per i pazienti con malattia metastatica metacrona (M0) rispetto a quella sincrona (M1).
Tuttavia, i trattamenti combinati hanno dimostrato di essere più vantaggiosi della sola soppressione del testosterone in diversi gruppi prognostici. Da qui, il razionale dello studio ENZAMET.
Lo studio ENZAMET
ENZAMET (NCT02446405) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, nel quale si è confrontata enzalutamide con un NSAA standard di cura come terapia di prima linea, in aggiunta alla deprivazione androgenica, in 1125 pazienti con carcinoma prostatico metastatico ormono-sensibile.
I partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con la soppressione del testosterone più un NSAA standard (bicalutamide, nilutamide o flutamide) (braccio A, di controllo) oppure enzalutamide 160 mg/die (braccio B).
In entrambi i bracci, i pazienti sono stati valutati ogni 12 settimane fino alla progressione. I fattori di stratificazione comprendevano il volume della malattia metastatica (elevato vs basso) e l’uso pianificato di docetaxel per uno o due cicli prima di entrare nello studio.
«Questo studio, come altri, ha valutato l’aggiunta di un farmaco ormonale di nuova generazione (come enzalutamide, ndr) alla terapia di deprivazione androgenica nei pazienti con malattia ‘castration-sensitive’ della prostata metastatica. Rispetto ad altri trial simili, la caratteristica distintiva dello studio ENZAMET era rappresentata dal fatto che i pazienti potevano aver ricevuto una chemioterapia con docetaxel prima dell’ingresso dello studio o in contemporanea», ha spiegato Caffo.
Già raggiunto l’endpoint primario
Al momento della prima analisi ad interim dell’end point primario dello studio, che era rappresentato appunto dall’OS, analisi pubblicata nel 2019 sul New England Journal of Medicine, nella coorte complessiva il trattamento con enzalutamide ha dimostrato di migliorare in modo significativo l’OS (HR 0,67; IC al 95% 0,52-0,86; P = 0,002).
Inoltre, si è osservato un miglioramento, a favore della tripletta rappresentata da enzalutamide, deprivazione androgenica e docetaxel, della sopravvivenza libera da progressione (PFS) dell’antigene prostatico specifico (PSA) e della PFS clinica, che erano endpoint secondari del trial. Il beneficio clinico, ha ricordato Davis, ha superato la tossicità aggiuntiva osservata con l’aggiunta di enzalutamide, secondo i risultati riportati dai pazienti.
«Era chiaro che sarebbe stato necessario un follow-up più lungo, comprendente, ove possibile, una valutazione delle differenze di effetto nei vari sottogruppi prognostici», ha detto Davis.
«La nuova analisi è importante perché attualmente c’è un grande discussione nella comunità scientifica sull’uso delle triplette. Un altro studio ha dimostrato che la combinazione della chemioterapia con un anti-androgeno di nuova generazione più la terapia di deprivazione androgenica dà un vantaggio ancora maggiore; quindi proprio perché lo studio ENZAMET ha arruolato anche pazienti che avevano ricevuto un trattamento combinato con la chemioterapia, questi risultati sono sicuramente rilevanti», ha commentato Caffo.
Valutazione nei diversi gruppi prognostici e in base all’uso di docetaxel
Dopo un follow-up mediano di 68 mesi, con un cut-off per l’analisi dei dati al 19 gennaio 2022, è stato raggiunto il numero di eventi (470) previsto dal piano statistico dello studio.
Il tasso di OS a 5 anni è risultato del 67% nel braccio enzalutamide contro 57% nel braccio di controllo.
Nell’analisi presentata al congresso, Davis e i colleghi hanno valutato l’effetto di enzalutamide a seconda del gruppo prognostico e dell’uso di docetaxel. In particolare, hanno analizzato i risultati a seconda della presenza o assenza di metastasi già al momento della diagnosi iniziale (malattia M1 vs M0) e, in ognuno dei due sottogruppi, hanno effettuato un’ulteriore stratificazione in base al trattamento con docetaxel prima o durante l’ingresso nello studio oppure no.
OS influenzata dalla terapia successiva
«L’OS, ovviamente è, influenzata dall’accesso e dal ricorso a una terapia successiva, al momento della progressione, oltre che dal trattamento in studio», ha spiegato Davis. «La principale differenza tra i due bracci per quanto riguarda le terapie successive è risultata un utilizzo molto maggiore di enzalutamide o abiraterone, dopo la progressione, nel gruppo di controllo. Al momento dell’analisi, infatti, il 76% dei pazienti progrediti nel braccio di controllo erano stati trattati con questi due agenti dopo la progressione rispetto al 26% nel braccio enzalutamide. Pertanto, i benefici di sopravvivenza associati a enzalutamide non sono da imputare alla mancanza di accesso a terapie efficaci nel gruppo di controllo».
Inoltre, nel braccio trattato con enzalutamide i pazienti hanno continuato il trattamento più a lungo, con una durata mediana di 57,8 mesi, a fronte di 22,6 mesi nel braccio trattato con l’NSAA e, a 5 anni, il 48% dei pazienti del braccio sperimentale era ancora in trattamento contro il 23% dei controlli.
Studio ENZAMET rappresentativo di più sottogruppi di pazienti
Durante la presentazione, Davis ha sottolineato che lo studio ENZAMET è rappresentativo (il trial è ancora in corso) di più sottogruppi di pazienti, tra cui quelli con malattia sincrona (M1) oppure metacrona (M0), quelli con malattia ad alto volume o a basso volume e quelli trattati o meno con docetaxel . L’uso di docetaxel era a discrezione dello sperimentatore e della valutazione della ’chemiofitness’ (cioè dell’idoneità alla chemioterapia) o del beneficio previsto dal trattamento.
Nel 45% dei pazienti è stato pianificato un trattamento concomitante con docetaxel per un massimo di 6 cicli e prima della randomizzazione 108 pazienti hanno effettuato un ciclo di chemioterapia con il taxano e 62 ne hanno fatti due.
Nessuna differenza significativa dell’effetto di enzalutamide nei vari sottogruppi
I risultati di OS nei sottogruppi e altri endpoint secondari sono stati valutati come analisi esplorativa e non con confronti formali, a causa dei numeri limitati di pazienti in ogni sottogruppo e dei potenziali fattori confondenti, ha spiegato Davis.
Complessivamente, 503 pazienti sono stati trattati con docetaxel, 602 avevano una malattia ad alto volume e 683 una malattia sincrona M1.
«Il messaggio è che non si è rilevata nessuna differenza significativa nell’effetto di enzalutamide a seconda delle caratteristiche di base», ha affermato Davis.
I pazienti con malattia a basso volume (trattati o meno con docetaxel) nell’analisi esplorativa sembrano aver tratto un beneficio relativo maggiore da enzalutamide rispetto a quelli con malattia ad alto volume, ma entrambi i gruppi ne hanno beneficiato. Da notare, che i pazienti trattati anche con docetaxel sono stati più numerosi nel sottogruppo con malattia ad alto volume rispetto a quelli con malattia a basso volume: 71% contro 37%.
Quando gli autori hanno analizzato i risultati a seconda del volume della malattia al basale, del momento di comparsa delle metastasi (M0 o M1) e del trattamento o meno con docetaxel, nei pazienti trattati con enzalutamide, non hanno trovato differenze significative nei tassi di OS a 5 anni.
Nel sottogruppo di pazienti trattati con docetaxel, l’OS a 5 anni è risultata del 54% nel braccio enzalutamide contro 51% nel braccio di controllo in quelli con un volume elevato di malattia, e rispettivamente, del 78% contro 67% in quelli con malattia a basso volume. Invece, nel sottogruppo non trattato con docetaxel, l’OS a 5 anni è risultata rispettivamente dell’81% contro 66% nei pazienti con malattia a basso volume e, rispettivamente, del 57% contro 47% in quelli con malattia ad alto volume.
Riguardo alla PFS, Davis ha riferito che dopo l’analisi iniziale molti pazienti non hanno mostrato una progressione del PSA e hanno, pertanto, continuato il trattamento nel braccio sperimentale, e che enzalutamide ha fornito un beneficio di PFS del PSA in tutti i sottogruppi valutati.
Punti di forza e limiti dello studio
«Questa analisi pianificata dopo 476 eventi, con un follow-up mediano di 68 mesi conferma i benefici di enzalutamide quando aggiunta allo standard of care», ha affermato Davis, sottolineando che i punti di forza dello studio ENZAMET erano rappresentati dal braccio di controllo attivo, l’uso di docetaxel, il mix di gruppi prognostici e l’endpoint primario costituito dall’OS. Fra i limiti dello studio, invece, l’autore ha citato l’assenza di randomizzazione per quanto riguarda l’uso di docetaxel e la potenza statistica non sufficiente per effettuare un’analisi formale dei sottogruppi.
«Questo follow-up a lungo termine ha confermato il beneficio di OS fornito da enzalutamide nei pazienti con carcinoma prostatico metastatico ormono-sensibile, in particolare per quelli con malattia a basso volume, in cui non è stato ritenuto necessario un trattamento con docetaxel. Tuttavia, il beneficio si è visto anche nei pazienti con malattia ad alto volume e metastasi sincrone, nei quali docetaxel è stato ritenuto necessario (nonostante l’OS relativamente alta, oltre 60 mesi, nel gruppo trattato con la soppressione del testosterone più un NSAA più docetaxel)» ha affermato Davis.
«Seppure con un’entità del beneficio differente, enzalutamide risulta essere attiva in tutti i sottogruppi di pazienti. È particolarmente vincente nei pazienti con malattia a basso volume, ma si è osservato un vantaggio, seppure più ridotto, anche nei pazienti a malattia ad alto volume sincrona, e che quindi hanno ricevuto anche docetaxel», ha ribadito Caffo.
Pertanto, ha concluso Davis, «enzalutamide dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i pazienti con malattia metastatica, specialmente quelli per i quali docetaxel è considerato inadatto o è improbabile che apporti un beneficio».
Bibliografia
I.D. Davis, et al. Updated overall survival outcomes in ENZAMET (ANZUP 1304), an international, cooperative group trial of enzalutamide in metastatic hormone-sensitive prostate cancer (mHSPC). J Clin Oncol. 2022;40(suppl 17):LBA5004. doi:10.1200/JCO.2022.40.17_suppl.LBA5004. Link