Leucemia mieloide acuta: con decitabina migliore tollerabilità e stessa efficacia della chemioterapia di induzione nei pazienti anziani
Pazienti anziani con leucemia mieloide acuta, in buone condizioni generali, pretrattati per 10 giorni con un regime a base di decitabina, prima del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, hanno mostrato tassi di sopravvivenza globale (OS) simile a quella dei pazienti sottoposti alla chemioterapia intensiva convenzionale, a fronte di una minore incidenza di eventi avversi, in uno studio di fase 3 i cui risultati sono stati presentati all’ultimo congresso della European Hematology Association (EHA), a Vienna.
In pratica, i tassi di OS sono risultati paragonabili in tutte le analisi, con un tasso di OS a 4 anni del 26% (IC al 95% 21%-32%) nel braccio trattato con decitabina, a fronte del 30% (IC al 95% 24%-35%) nel braccio assegnato alla chemioterapia di induzione standard (HR 1,04; IC al 95% 0,86-1,26; P = 0,68).
«Per i pazienti anziani in buone condizioni generali, la decitabina rappresenta un’alternativa alla chemioterapia aggressiva e risulta più tollerata, con tassi di trapianto di cellule staminali all’interno del protocollo e del conseguente trapianto simili. Abbiamo anche osservato tossicità inferiori, ospedalizzazioni più brevi e una migliore qualità di vita», ha dichiarato l’autore principale dello studio Michael Lübbert, dell’Università di Friburgo, durante la presentazione dei dati.
Le premesse dello studio
La leucemia mieloide acuta viene diagnosticata principalmente in soggetti di età superiore ai 65 anni, che, tuttavia, hanno una capacità di tollerare la tossicità della chemioterapia di induzione standard più bassa rispetto ai pazienti più giovani. In più, i pazienti anziani affetti da leucemia mieloide acuta trattati con la sola chemioterapia di induzione hanno una scarsa sopravvivenza a lungo termine se non vengono sottoposti al trapianto di cellule staminali ematopoietiche curativo.
Sulla base dei risultati degli studi condotti nell’ultimo decennio, gli agenti ipometilanti del DNA, come la decitabina, seppure in monoterapia non siano risultati curativi, sono stati considerati un’alternativa meglio tollerata dai pazienti non candidabili alla chemioterapia di induzione standard. Inoltre, in studi precedenti, un ciclo prolungato di 10 giorni di decitabina somministrato a pazienti anziani affetti da leucemia mieloide acuta ha mostrato un’efficacia promettente.
Partendo da queste premesse, gli sperimentatori hanno confrontato l’efficacia e la sicurezza della chemioterapia di induzione con decitabina, prima del trapianto di cellule staminali ematopoietiche, con la chemioterapia di induzione convenzionale in pazienti ‘fit’.
Lo studio
Lo studio (NCT02172872), randomizzato e in aperto, è stato condotto sotto l’egida dell’EORTC Leukemia Group e la collaborazione di CELG, della Fondazione GIMEMA e del gruppo di studio tedesco sulle SMD.
Il trial ha arruolato 606 pazienti con leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi o de novo o secondaria, non trattati in precedenza, di almeno 60 anni, idonei a ricevere la chemioterapia intensiva standard, cioè il regime 3+7. Al momento della randomizzazione, i pazienti dovevano presentare una conta dei globuli bianchi non superiore a 30 x 109/l.
I partecipanti sono stati assegnati in rapporto 1:1 al trattamento con un ciclo di 10 giorni di decitabina in monoterapia o chemioterapia intensiva standard a base di daunorubicina 60 mg/m2 per 3 giorni e citarabina 200 mg/m2 per 7 giorni, seguiti con cicli aggiuntivi di chemioterapia da uno a tre prima di procedere all’allotrapianto.
Coloro che dopo almeno un ciclo di trattamento mostravano almeno una stabilizzazione della malattia e per i quali era disponibile un donatore compatibile per l’antigene leucocitario umano venivano incoraggiati a sottoporsi al trapianto di cellule staminali.
Ai pazienti del braccio della decitabina che non sono stati sottoposti all’allotrapianto è stata somministrata una terapia di mantenimento, sempre con decitabina.
L’endpoint primario dello studio era l’OS, mentre gli endpoint secondari includevano la risposta completa e la risposta completa con recupero incompleto della conta ematica, la sopravvivenza libera da progressione (PFS), la sopravvivenza libera da malattia (DFS), il tasso di trapianto e l’esito del trapianto, la sicurezza, i costi sanitari, compresi i ricoveri e l’assistenza di supporto, e infine, la qualità della vita.
Le caratteristiche dei pazienti
Per quanto riguarda le caratteristiche di base dei pazienti, la maggior parte, nei due bracci, aveva un’età compresa tra 65 e 69 anni, un ECOG performance status pari a 0, una malattia a rischio intermedio secondo la stratificazione dello European LeukemiaNet del 2017 e un cariotipo normale.
Mutazioni di NPM1 erano presenti nel 23% dei pazienti trattati con decitabina contro il 14% del braccio del trattamento con la chemioterapia; in entrambi i bracci, invece, il 18% dei pazienti presentava mutazioni di TP53.
In termini di esposizione al trattamento, la maggior parte dei pazienti è stata trattata con due (25%) o tre (21%) cicli di decitabina contro uno (39%) e due (38%) cicli di chemioterapia.
Efficacia sovrapponibile
I tassi di OS sono risultati simili in ognuno dei momento di valutazione: 58% con la decitabina e 59% con la chemioterapia a un anno, rispettivamente 37% e 40% a 2 anni e 30% contro 33% a 3 anni.
L’incidenza di recidiva o progressione della malattia a 4 anni è risultata del 57% con la decitabina rispetto al 51% con la chemioterapia, mentre la mortalità correlata al trattamento a 4 anni è risultata del 21% contro 25%, rispettivamente.
L’analisi dei sottogruppi ha rivelato che la chemioterapia ha migliorato l’OS nei pazienti di età compresa tra 60 e 69 anni, in quelli con rischio favorevole o intermedio, in quelli con mutazioni di NPM1 e in quelli con cariotipo monosomico negativo.
Lo sperimentatore, durante la presentazione, ha sottolineato che i pazienti di 70 anni o più hanno mostrato un’OS migliore con decitabina (HR 0,84; IC al 95% 0,55-1,26), mentre i pazienti di età compresa tra 60 e 64 anni (HR 1,34; IC al 95% 0,79-2,28) e quelli con mutazioni di NPM1 (HR 2,0; IC al 95% 0,96-4,17) hanno raggiunto una OS più lunga con la chemioterapia standard.
In particolare, la percentuale di pazienti che hanno potuto effettuare il trapianto di cellule staminali ematopoietiche è risultata uguale nei due bracci (52%). Nel braccio trattato con decitabina, il 40% e il 12% dei pazienti è stato sottoposto a trapianto, rispettivamente on-protocol e off-protocol. Nel braccio trattato con la chemioterapia standard, questi tassi sono risultati rispettivamente del 39% e 13%.
I tassi di OS a 1, 2, 3 e 4 anni nei pazienti che hanno effettuato un trapianto on-protocol nel braccio sperimentale e in quello di confronto sono stati rispettivamente 66% contro 75%, 56% contro 58%, 50% contro 51% e 45% contro 47%.
L’incidenza della progressione della malattia a 4 anni è risultata del 24% nei pazienti trattati con decitabina rispetto al 22% nei pazienti assegnati alla chemioterapia standard, mentre la mortalità correlata al trattamento a 4 anni è risultata rispettivamente del 31% contro 33%.
Tuttavia, nel braccio sottoposto alla chemioterapia standard, una percentuale maggiore di pazienti ha raggiunto una risposta completa o la risposta completa con recupero incompleto della conta ematica (totale 67; di cui 61% con trapianto on-protocol e 6% con trapianto off-protocol) rispetto a quelli nel braccio assegnato alla decitabina (totale 60%; 48% con trapianto on-protocol, 13% con trapianto off-protocol).
Profilo di sicurezza migliore con decitabina
Durante il trattamento, nel braccio decitabina un minor numero di pazienti ha sviluppato un evento avverso di grado 3/5 rispetto al braccio della chemioterapia. In particolare, il trattamento con decitabina ha fatto registrare un’incidenza inferiore di eventi avversi comuni, tra cui le alterazioni ematiche e linfatiche, le infezioni e i disturbi gastrointestinali, sebbene l’incidenza degli eventi avversi di grado 5 correlati al trattamento dopo trapianto di cellule staminali sia risultata più alta con la decitabina: 25% contro 22%.
Inoltre, valutazioni di economia sanitaria, condotte durante i primi tre cicli di terapia previsti dal protocollo, in un sottogruppo di 173 pazienti, ha dimostrato che il trattamento con decitabina ha ridotto i giorni di ospedalizzazione (P = 0,007) e la necessità di antibiotici per via endovenosa (P < 0,001) e di trasfusioni di globuli rossi (P = 0,024) e piastrine (P < 0,001).
Lübbert ha concluso: «La terapia ponte [con decitabina] prima del trapianto è decisamente praticabile all’interno di questa rete europea di centri esperti».
Bibliografia
M. Lübbert, et al. 10-day decitabine versus conventional chemotherapy (“3+7”) followed by allografting in AML patients ≥60 years: a randomized phase III study of the EORTC Leukemia Group, CELG, GIMEMA and German MDS Study Group. EHA 2022, abstract S125. Link