C’è chi, una volta raggiunta la pensione, vuole continuare a lavorare. Ecco cosa prevede la legge per chi apre un’attività e per chi lavora alle dipendenze
C’è chi, una volta raggiunta la pensione, vuole continuare a lavorare. A molti potrebbe sembrare strano che una persona che finalmente può godersi il meritato riposo dopo anni di lavoro, decida ad esempio di aprire un’attività o, persino, lavorare come dipendente per qualcun altro.
In realtà è una situazione meno insolita di quanto si possa immaginare e le ragioni alla base di una tale scelta possono essere diverse, da quelle di natura economica a quelle più personali.
La domanda che bisogna porsi però è: esiste la possibilità di essere in pensione e continuare a lavorare? Dal 2009, infatti, è intervenuto un importante cambiamento in tal senso e vedremo nel corso dell’articolo cosa è effettivamente successo.
Di conseguenza, al nostro interrogativo ne segue un altro: qualora fosse possibile lavorare dopo la pensione, quest’ultima si può cumulare ad altri redditi?
Lavorare dopo la Pensione: si può fare?
Per ottenere il diritto alla pensione, si sa, è necessario aver raggiunto una certa età e aver accumulato un determinato numero di anni di contributi. Questa premessa è necessaria per capire quanto segue.
Abbiamo accennato al cambiamento nella legislazione avvenuto negli scorsi anni. Più nello specifico, fino all’entrata in vigore del decreto legge 112/2008 non era possibile intraprendere un’attività lavorativa dopo essere stato riconosciuto il diritto alla pensione. Si tratta, ovviamente, di una situazione diversa da quello di chi, pur raggiunta l’età pensionabile, decide di non presentare domanda di pensionamento e continuare invece a lavorare.
Nel nostro caso, con l’entrata in vigore del suddetto decreto è stata riconosciuta, in via generale, la cumulabilità di tutte le pensioni con i redditi da lavoro, ma con delle eccezioni legate alla tipologia pensionistica erogata, nel senso che rientrano in questa fattispecie le pensioni di anzianità, di vecchiaia e anticipate (tipo Quota 100 o Quota 102, anche se con delle limitazioni, come pure nel caso dei contributivi puri e dei percettori di assegno di invalidità o reversibilità), mentre ne restano escluse quelle per inabilità. Ci sono poi dei casi particolari, come Quota Donna, che vedremo meglio in seguito.
Analizziamo ora nel dettaglio cosa prevede il decreto per ciascuna di queste tipologie.
Pensione di Anzianità e Anticipata
La cumulabilità dei redditi da lavoro con quello da pensione, come abbiamo visto, è possibile per tutti coloro che, avendo iniziato a versare contributi prima del 31 dicembre 1995, vanno in pensione con il sistema retributivo (quello cioè basato sulla media degli stipendi degli ultimi anni di lavoro) o misto (un mix tra sistema retributivo e il nuovo sistema contributivo, ossia quello basato sulla somma dei contributi versati durante la carriera lavorativa).
Per chi ha iniziato a versare contributi dal 1 gennaio 1996, i cosiddetti ‘’contributivi puri’’, invece, è ammessa sempre la possibilità di cumulare redditi da lavoro e da pensione ma a date condizioni, ossia:
età di 60 anni le donne e 65 per gli uomini;
aver maturato 40 anni di contribuzione;
61 anni età e l’aver maturato 35 anni di contribuzione.
Quota 100 e 102, Pensioni di invalidità e di reversibilità
Per questi casi abbiamo parlato di limitazioni, anche se i termini più corretti da utilizzare sono vincoli e condizioni. Cerchiamo di capire meglio.
Quota 100 e Quota 102
I pensionamenti anticipati con Quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) e Quota 104 (64 anni di età e 38 di contribuzione) rappresentano dei casi particolari.
Il cumulo di reddito da lavoro e pensione è, infatti, possibile, ma con un’eccezione. In questi casi, infatti, vale il divieto di cumulo fino ai 67 anni, ossia fino al raggiungimento dell’età normalmente prevista per la pensione di vecchiaia.
In questo lasso di tempo il trattamento pensionistico viene sospeso, per poi riprendere secondo le normali procedure al raggiungimento del 67esimo anno, salvo l’ipotesi di redditi da lavoro occasionale, a patto che non vengano superati i 5 mila euro lordi l’anno. In questo caso il cumulo è permesso, ma si tratta dell’unica eccezione ammessa.
Assegno di invalidità
Anche per i percettori di assegno ordinario di invalidità INPS è possibile continuare a lavorare e cumulare l’assegno con i redditi da lavoro, ma in questo caso intervengono vere e proprie limitazioni la cui natura è di tipo reddituale.
Queste consistono in una riduzione dell’assegno nel caso in cui il reddito da lavoro prodotto superi una soglia minima fissata dall’INPS che, per il 2022, è pari a 542,35 euro al mese per 13 mensilità.
La decurtazione, nel dettaglio, quando applicata risulta essere:
del 25% se il reddito da lavoro prodotto supera di 4 volte il trattamento minimo INPS;
del 50% se lo supera di 5 volte.
Un’ulteriore decurtazione si applica sulla parte eccedente di un assegno ordinario di invalidità di importo superiore al minimo fissato dall’INPS nei casi in cui l’anzianità contributiva sia inferiore ai 40 anni e sarà pari al:
al 50 per cento della parte eccedente se si tratta di reddito da lavoro subordinato e viene applicata dal datore di lavoro (che provvede poi al versamento all’INPS);
al 30 per cento della quota eccedente se si tratta, invece, di redditi derivanti da lavoro autonomo ed è applicata direttamente dall’ente previdenziale.
Pensione di inabilità al lavoro
L’unico caso di divieto di cumulo di redditi riguarda il caso di pensione di inabilità, ossia la prestazione erogata a persone cui è stata certificato l’impedimento totale a svolgere qualsiasi attività lavorativa. Essendo questo il motivo e il fine dell’erogazione è evidente l’inconciliabilità della pensione col prestare l’attività lavorativa e dunque il cumulo dei redditi non ha ragion d’essere.
Pensione di reversibilità
Quale forma di sostegno pensionistico ai parenti (coniuge, figli ed equiparati) del pensionato deceduto, anche la pensione di reversibilità può essere cumulata al reddito da lavoro, ma come nel caso precedente, con decurtazioni calcolate sulla base dello stesso valore minimo fissato dall’INPS pari a 542, 35 euro, per cui la pensione si riduce:
del 25% se il reddito da lavoro del superstite è compreso tra le 3 e 4 volte l’importo del trattamento minimo;
del 40% se è superiore a 4 volte;
del 50% se superiore a 5 volte l’importo del trattamento minimo.
Non si applica nessuna decurtazione nei casi di contitolarità della pensione di reversibilità tra i superstiti dello stesso nucleo familiare e se tra questi ci sono minori, studenti (entro i limiti di legge) o inabili.
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Lavoro e Opzione Donna
Riservato alle lavoratrici dipendenti che abbiano maturato i requisiti di legge entro il 31 dicembre 2021, la pensione Opzione Donna ha sollevato alcuni dubbi in merito alla possibilità di cumulo con redditi da lavoro per via delle modalità di ricalcolo dell’assegno di pensione basato sul metodo contributivo.
Dato, tuttavia, che la legge non si esprime al riguardo, sembra non sorgere alcun impedimento alla possibilità di cumulo di questa pensione a redditi da lavoro, al pari delle altre prestazioni pensionistiche, dal momento che la particolarità di questo sistema attiene solo alle modalità di calcolo.
Supplemento di Pensione
Se il pensionato torna ad essere lavoratore, ciò significa che produrrà nuovi contributi. Ma che fine fanno?
Questi non vanno persi, ma vanno ad integrare l’importo dell’assegno pensionistico percepito, ossia vanno a costituire un supplemento di pensione. Affinché ciò avvenga, però, è necessario presentare apposita domanda all’INPS e questo si può fare solo 5 anni dopo la decorrenza della pensione.