Deficit di piruvato chinasi: esperti italiani hanno ideato un algoritmo per individuare prima la malattia rara
Il capitolo dell’ematologia dedicato ai difetti enzimatici dei globuli rossi è costituito da un vasto insieme di patologie accomunate dalla presenza di anemia emolitica non sferocitica acuta o cronica: nel momento in cui l’anemia emolitica cronica è conseguenza di un difetto nella via di produzione dell’ATP, gli enzimi coinvolti sono molti e vari. Fra di essi c’è la piruvato chinasi, protagonista dell’ultima tappa della glicolisi necessaria per il sostentamento energetico dei globuli rossi: senza questo enzima si produce la malattia nota appunto come deficit di piruvato chinasi (deficit di PK o PKD). Distinguere questa patologia da altre anemie emolitiche non è semplice, dal momento che proprio l’anemia e l’emolisi sono i sintomi costantemente presenti in questo tipo di condizioni.
Allo scopo di facilitare l’operazione diagnostica è stato recentemente sviluppato uno specifico strumento con cui il professionista ematologo può orientarsi nella giungla delle anemie emolitiche congenite. In uno sforzo congiunto, la Fondazione per la Ricerca sulle Anemie ed Emoglobinopatie in Italia (For Anemia) e la Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie (SITE) hanno deciso di redigere un documento di supporto per la diagnosi e l’inquadramento del deficit di PK: è nato così uno specifico algoritmo, liberamente accessibile a medici e pazienti, che ha l’obiettivo di rendere più lineare e rapido il percorso che conduce alla diagnosi del deficit di PK.
“Le anemie emolitiche congenite, al pari delle talassemie, sono tradizionalmente gestite dai pediatri ematologi quando la diagnosi viene eseguita durante l’infanzia, mentre in età adulta, in presenza di sintomi come splenomegalia (aumento di volume della milza) o anemia con interessamento epatico, è più immediato pensare a una patologia onco-ematologica”, spiega la dott.ssa Maddalena Casale, del Dipartimento della Donna, del Bambino e di Chirurgia Generale e Specialistica presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli. “Negli adulti in modo particolare, ma anche in età pediatrica, dati gli enormi cambiamenti che avvengono nella composizione emoglobinica e nell’assetto di membrana del globulo rosso durante il primo anno di vita, la diagnosi del deficit di PK può essere assai difficile da raggiungere, pertanto abbiamo pensato di realizzare un documento con un diagramma di flusso che supporti il professionista in questo arduo compito”.
Grazie a questa iniziativa, attraverso una serie di step diagnostici sarà dunque possibile escludere le cause più frequenti di anemia emolitica per giungere all’eventuale diagnosi di deficit di PK: il punto di forza del nuovo algoritmo consiste infatti nel raccomandare l’esecuzione di una rigorosa e analitica sequenza di test che, a seconda dei risultati, possono incanalare l’attenzione del medico verso l’una o l’altra forma di anemia emolitica. “La caratteristica che riunisce le diverse patologie è l’emolisi cronica e quindi un’anemia più o meno marcata. Tra i sintomi e segni di emolisi da considerare nelle anemie emolitiche e nel deficit di PK ci sono reticolocitosi, splenomegalia, aumento della bilirubina e degli indici di emolisi, ittero e calcolosi biliari”, prosegue Casale. “Insieme a un’attenta analisi anamnestica, il dosaggio della lattato deidrogenasi, della bilirubina indiretta e dell’aptoglobina e la conta dei reticolociti [questi ultimi rappresentano una forma immatura dei globuli rossi, N.d.R.] costituiscono il primo blocco di indagini per inquadrare un’anemia emolitica. A questi test vanno ad aggiungersi, in primo luogo, lo studio della morfologia eritrocitaria, il test di Coombs e l’elettroforesi delle emoglobine. Questi esami sono d’aiuto per indirizzare l’attenzione verso certe emoglobinopatie, verso le anemie emolitiche autoimmuni e quelle da difetto della membrana eritrocitaria”. Tuttavia, nel caso in cui tali esami di primo livello risultino negativi, e qualora siano già state scartate le forme di anemia emolitica da farmaci o le anemie emolitiche microangiopatiche, occorre passare a un secondo livello di indagini, comprensivo della valutazione dell’attività dell’enzima PK e dell’analisi delle mutazioni del gene PKLR.
“Ciò che l’algoritmo intende suggerire è dunque un metodo di interpretazione del quadro clinico del paziente a cui, passo dopo passo, vengono integrati i test diagnostici grazie a cui escludere le forme più comuni e frequenti di anemia emolitica cronica o di emolisi acuta”, conclude Casale. “Ad esempio, può essere difficile inquadrare un deficit di PK in un paziente adulto, in piena crisi emolitica acuta, che abbia avuto in passato solo alcuni episodi di anemia; tuttavia, partendo dagli esami di base e seguendo un percorso logico ben strutturato, si può arrivare all’obiettivo senza ritardi diagnostici, facendo anzi guadagnare al paziente del tempo prezioso”. Infatti, una conferma diagnostica celere ed accurata è il primo passo verso un trattamento efficace per il deficit di PK, somministrato da personale con una solida esperienza che operi nei centri di riferimento per la patologia. In questo senso, l’algoritmo diventa anche un modo per guidare i pazienti che sono ancora privi di una diagnosi, pur essendo già stati ricoverati o trattati per eventi emolitici acuti, verso specialisti che possano valutarli in maniera completa, dando loro le risposte che a lungo sono mancate.
Attraverso il servizio gratuito di OMaR “L’esperto risponde”, la dottoressa Maddalena Casale è disponibile a fornire il proprio parere a chiunque abbia bisogno di risposte o chiarimenti sul deficit di piruvato chinasi. Per poter usufruire del servizio è sufficiente recarsi alla pagina web dedicata e seguire le istruzioni.
FONTE: OSSERVATORIO MALATTIE RARE