Da gennaio a settembre 62 alluvioni: Italia sempre più soggetta ad eventi climatici estremi. I dati della mappa del rischio climatico diffusi da Legambiente
L’alluvione che ha colpito le Marche è l’ennesimo campanello d’allarme che il Pianeta ci sta inviando. Con la crisi climatica non si scherza, servono interventi non più rimandabili. Da gennaio a settembre 2022 l’Italia è stata colpita, senza considerare il prossimo autunno che aggraverà ulteriormente il bilancio, già da 62 alluvioni (inclusi allagamenti da piogge intense) contro le 88 del 2021. Preoccupante anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 ad oggi (settembre 2022) nella Penisola si sono registrate 510 alluvioni (e allagamenti da piogge intense che hanno provocato danni), di cui – se ci spostiamo nel Centro Italia – 57 nel Lazio, 36 in Toscana, 26 nelle Marche e 6 in Umbria. È quanto denuncia Legambiente che oggi diffonde i dati della mappa del rischio climatico del suo Osservatorio Città Clima, con un focus sulle alluvioni e sul Centro Italia, ribadendo quali siano gli interventi urgenti da mettere in campo a partire dal piano nazionale di adattamento alla crisi climatica, scomparso ormai da anni dall’agenda politica italiana.
ASSENTE UN PIANO DI ADATTAMENTO AL CLIMA
L’Italia è, infatti, rimasto l’unico grande Paese europeo senza un Piano di adattamento al clima, per cui continua a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione che vada a tutelare le aree urbanizzate e gli ambienti naturali delle aree di pianura e montane. “Non c’è più tempo da perdere – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Serve aggiornare e approvare entro fine anno il piano nazionale di adattamento alla crisi climatica, in stand by dal 2018, praticare serie politiche territoriali di prevenzione del rischio idrogeologico, con una legge nazionale contro il consumo di suolo e interventi di delocalizzazione, e promuovere campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone”.
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L’Italia è sempre più soggetta ad eventi climatici estremi: bombe d’acque, come quella marchigiana, ma anche trombe d’aria, ondate di calore, forti siccità, grandinate sono ormai in forte aumento, colpendo soprattutto le aree urbane e causando danni ai territori e rischi per la vita dei cittadini. Stando ai dati dell’Osservatorio Città Clima curato dall’associazione ambientalista, da gennaio a luglio 2022 si sono registrati in Italia 132 eventi climatici estremi, numero più alto della media annua dell’ultimo decennio. Preoccupante anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a luglio 2022 nella Penisola si sono verificati 1318 eventi estremi, con impatti molto rilevanti in 710 comuni italiani. Nonostante questi numeri preoccupanti a fronte dei quali l’Italia non si sta muovendo: sono trascorsi infatti più di 4 anni da quando l’allora ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti pubblicò in bozza il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
“Malgrado l’accelerazione evidente dell’emergenza climatica – aggiunge Ciafani – il Piano non è stato ancora approvato, nonostante siano passati nel frattempo 3 governi (Conte 1 e 2, Draghi) e 2 ministri (Sergio Costa e Roberto Cingolani). Se non si approva in tempi brevissimi il Piano rischiamo nei prossimi anni un disastroso impatto sociale, ambientale ed economico, e di sprecare anche le risorse del PNRR con opere non rispondenti alle urgenti politiche di adattamento”.
IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
Ma il clima non è l’unica causa di questa ennesima tragedia. Il rischio idrogeologico nel nostro Paese è noto, mappato e ci sono le conoscenze giuste per intervenire ma continua a non essere affrontato e gestito in maniera adeguata, anche in quelle aree in cui eventi analoghi si sono già verificati di recente come quella colpita nelle Marche. Per ridurre la fragilità del territorio servono interventi come le delocalizzazioni degli insediamenti residenziali e produttivi più a rischio. Per Legambiente occorre prevedere il divieto di edificazione nelle aree a rischio; la riapertura dei fossi e dei fiumi tombati nel passato; il recupero della permeabilità del suolo attraverso la diffusione di Sistemi di drenaggio sostenibile (SUDS) che sostituiscono l’asfalto e il cemento; lo stop al consumo di suolo con quella legge nazionale mai approvata nelle ultime legislature e il ripristino delle aree di esondazione naturale dei corsi d’acqua laddove possibile. Senza dimenticare che l’intensificarsi degli eventi estremi degli ultimi anni richiede anche un’attenzione straordinaria alla cultura di convivenza con il rischio per informare e formare i cittadini sui comportamenti da adottare in situazioni di emergenza, azione quest’ultima, che consente di evitare che disastri come questi si trasformino anche in tragedie umane.