Scoperta la causa del deficit di monossido di carbonio nei dischi protoplanetari: un nuovo studio rivoluziona quanto previsto dai modelli precedenti
Nelle regioni in cui si formano nuovi pianeti, gli astronomi sono soliti osservare il monossido di carbonio, un composto estremamente luminoso e comune nei dischi protoplanetari che rappresenta un obiettivo primario per gli scienziati. Ma nelle osservazioni degli ultimi dieci anni, secondo Diana Powell, Hubble Fellow della Nasa presso il Center for Astrophysics | Harvard e Smithsonian, qualcosa non torna: se le attuali previsioni sull’abbondanza di monossido di carbonio sono corrette, in tutte le osservazioni dei dischi ne manca un bel po’. «A seconda del sistema osservato, il monossido di carbonio è da 3 a 100 volte inferiore di quello che dovrebbe essere», spiega Powell.
Ora un nuovo modello, convalidato dalle osservazioni effettuate con l’Atacama Large Millimeter / submillimeter Array (Alma), ha risolto questo annoso mistero del monossido di carbonio mancante: il composto si è ben nascosto nelle formazioni di ghiaccio all’interno dei dischi. I risultati dello studio guidato da Powell sono descritti su Nature Astronomy.
Di fatto, questo mistero stava diventando un bel problema per gli astronomi: eventuali imprecisioni nella determinazione del monossido di carbonio potrebbero infatti avere enormi implicazioni per il campo dell’astrochimica. «Il monossido di carbonio viene essenzialmente utilizzato per tracciare tutto ciò che sappiamo sui dischi, come massa, composizione e temperatura», spiega Powell. «Questo potrebbe significare che molti dei nostri risultati per i dischi sono distorti e incerti perché non comprendiamo abbastanza bene il composto».
Incuriosita dal mistero sul monossido di carbonio mancante, Powell ha fatto affidamento sulla sua esperienza nella fisica che governa i cambiamenti di fase, quando la materia si trasforma da uno stato all’altro (come un gas che si trasforma in un solido, ad esempio). In base a una sua intuizione, Powell ha apportato modifiche a un modello astrofisico che attualmente viene utilizzato per studiare le nubi su esopianeti. «La cosa veramente speciale di questo modello è che è caratterizzato da una fisica dettagliata su come si forma il ghiaccio sulle particelle», spiega la ricercatrice. «Quindi, come il ghiaccio si raccoglie su piccole particelle e come si condensa. Il modello traccia accuratamente dove si trova il ghiaccio, su quale particella, quanto sono grandi le particelle, quanto sono piccole e poi come si muovono».
Powell ha applicato il modello adattato ai dischi planetari, sperando di arrivare a una comprensione approfondita di come il monossido di carbonio si evolve nel tempo nei vivai planetari. Per testare la validità del modello, ha quindi confrontato il suo output con le reali osservazioni di Alma del monossido di carbonio in quattro dischi ben studiati: Tw Hya, Hd 163296, Dm Tau e Im Lup. Il nuovo modello si è rivelato ben allineato con ciascuna delle osservazioni, dimostrando che ai quattro dischi non mancava affatto il monossido di carbonio: si era semplicemente trasformato in ghiaccio, che attualmente non è rilevabile con un telescopio. Gli osservatori radio come Alma consentono agli astronomi di osservare il monossido di carbonio nello spazio nella sua fase gassosa, ma il ghiaccio è molto più difficile da rilevare con la tecnologia attuale, in particolare le grandi formazioni di ghiaccio.
Il modello mostra che, a differenza di quanto si pensava precedentemente, il monossido di carbonio si sta formando su grandi particelle di ghiaccio, specialmente dopo un milione di anni. Prima di un milione di anni, il monossido di carbonio gassoso è abbondante e rilevabile nei dischi. «Questo cambia il modo in cui pensavamo che ghiaccio e gas fossero distribuiti nei dischi. Mostra anche che una modellazione dettagliata come questa è importante per comprendere i fondamenti di questi ambienti».
«La fisica della formazione del ghiaccio su piccola scala influenza la formazione e l’evoluzione del disco», conclude la ricercatrice, la quale spera che il suo modello possa essere ulteriormente convalidato utilizzando le osservazioni con il telescopio spaziale Webb della Nasa, che potrebbe essere abbastanza potente da rilevare finalmente il ghiaccio nei dischi.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Depletion of gaseous CO in protoplanetary disks by surface-energy-regulated ice formation” di Diana Powell, Peter Gao, Ruth Murray-Clay & Xi Zhang