La nuova immagine del buco nero supermassiccio svelato nel 2019 raffigura l’anello fotonico, composto da una serie di sottoanelli sempre più nitidi
Quando nel 2019 gli scienziati hanno svelato la prima storica immagine di un buco nero – raffigurante un nucleo oscuro circondato da un anello “infuocato” di materiale che cade verso di esso – sospettavano di poter estrapolare dai dati immagini e intuizioni ancora più ricche e interessanti. In base alle simulazioni, nascosto dietro il bagliore arancio dell’anello diffuso, dovrebbe infatti esserci un altro sottile e luminoso anello di luce generato dai fotoni lanciati nella parte posteriore del buco nero dalla sua intensa gravità. Quindi, con pazienza e tenacia, sono andati a caccia di questo secondo anello “setacciando” i dati del 2017.
Per farlo, il team di ricercatori guidato dall’astrofisico Avery Broderick ha utilizzato sofisticati algoritmi di imaging per “rimasterizzare” le immagini originali del buco nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87 (M87). «Abbiamo spento il faro per vedere le lucciole», afferma Broderick, del Perimeter Institute e dell’Università di Waterloo. «Siamo stati in grado di fare qualcosa di profondo: risolvere una fondamentale firma della gravità attorno a un buco nero».
In sostanza, “spellando” varie componenti delle immagini, spiega il coautore Hung-Yi Pu della National Taiwan Normal University, «l’ambiente attorno al buco nero può essere rivelato chiaramente». A tal fine, il team ha utilizzato un nuovo algoritmo di imaging all’interno del framework di analisi Themis di Eht (l’Event Horizon Telescope) per isolare ed estrarre la caratteristica dell’anello dalle osservazioni originali del buco nero di M87, oltre a rilevare l’impronta rivelatrice di un potente getto verso l’esterno che parte dal buco nero stesso. I risultati dei ricercatori confermano le previsioni teoriche e offrono nuovi modi per esplorare questi misteriosi oggetti, che si ritiene risiedano nel cuore della maggior parte delle galassie.
I buchi neri sono stati a lungo considerati invisibili fino a quando gli scienziati non li hanno “visti” con una rete di telescopi su scala globale, Eht. Utilizzando otto osservatori su quattro continenti, tutti puntati nello stesso punto nel cielo e collegati tra loro con un sincronismo dell’ordine dei nanosecondi, i ricercatori della collaborazione Eht hanno osservato due buchi neri nel 2017. La collaborazione Eht ha svelato per la prima volta il buco nero supermassiccio in M87 nel 2019 e poi, nel 2022, è stata la volta del buco nero relativamente piccolo ma ben più tumultuoso nel cuore della nostra galassia, Sagittario A* (o Sgr A*).
L’immagine di M87* che gli scienziati hanno svelato nel 2019 ha rappresentato una pietra miliare, ma i ricercatori hanno ritenuto di riuscire ad affinarla applicando nuove tecniche software per ricostruire i dati originali del 2017 alla ricerca di fenomeni che, secondo i modelli, potevano essere nascosti sotto la superficie. La nuova immagine risultante raffigura l’anello fotonico, composto da una serie di sottoanelli sempre più nitidi, che il team ha poi impilato per ottenere l’immagine completa.
«L’approccio che abbiamo adottato prevedeva di sfruttare la nostra comprensione teorica dell’aspetto di questi buchi neri per costruire un modello personalizzato per i dati Eht», spiega uno dei coautori dello studio, Dominic Pesce, del Center for Astrophysics | Harvard e Smithsonian. «Questo modello scompone l’immagine ricostruita nei due pezzi a cui teniamo di più, in modo che possiamo studiare entrambi i pezzi singolarmente anziché mescolati insieme».
A pochi giorni dalla pubblicazione dello studio su The Astrophysical Journal, Media Inaf ha raggiunto per un commento Chiara Ceccobello, ricercatrice al Chalmers University of Technology in Gothenburg, Svezia, durante la partecipazione a questo lavoro, del quale è coautrice. «Themis è uno strumento incredibilmente versatile che è stato creato proprio con lo scopo di permettere lo sviluppo continuo di nuove tecniche come questa», ha spiegato la ricercatrice, che fa parte della collaborazione da un anno e ha eseguito l’analisi dell’immagine ricostruita e di modelli geometrici con Themis. «Uno dei maggiori vantaggi dell’utilizzo di Themis è che possiamo fittare statisticamente un modello e ottenere una immagine ricostruita della sorgente allo stesso tempo, ottenendo una misura rigorosa delle incertezze».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “The Photon Ring in M87*” di Avery E. Broderick, Dominic W. Pesce, Roman Gold, Paul Tiede, Hung-Yi Pu , Richard Anantua, Silke Britzen, Chiara Ceccobello, Koushik Chatterjee, Yongjun Chen (陈永军), Nicholas S. Conroy, Geoffrey B. Crew, Alejandro Cruz-Osorio, Yuzhu Cui (崔玉竹), Sheperd S. Doeleman, Razieh Emami, Joseph Farah, Christian M. Fromm, Peter Galison, Boris Georgiev, Luis C. Ho (何子山), David J. James, Britton Jeter, Alejandra Jimenez-Rosales, Jun Yi Koay, Carsten Kramer, Thomas P. Krichbaum, Sang-Sung Lee, Michael Lindqvist, Iván Martí-Vidal, Karl M. Menten, Yosuke Mizuno, James M. Moran, Monika Moscibrodzka, Antonios Nathanail, Joey Neilsen, Chunchong Ni, Jongho Park, Vincent Piétu, Luciano Rezzolla, Angelo Ricarte, Bart Ripperda, Lijing Shao, Fumie Tazaki, Kenji Toma, Pablo Torne, Jonathan Weintroub, Maciek Wielgus, Feng Yuan (袁峰), Shan-Shan Zhao, and Shuo Zhang
FONTE: INAF