Trauma cranico lieve: nuovi test diagnostici riducono rischi TAC


Da esperti italiani di Medicina Emergenza/Urgenza arriva il documento “Colpi di testa – L’importanza dei test diagnostici nell’individuazione del trauma cranico lieve”

Svegliarsi con il mal di testa: può essere il cuscino? Molto spesso questi sintomi sono dovuti proprio ad un materasso inadeguato, vecchio o con avvallamenti

Si manifesta principalmente con stato confusionale, cefalea, amnesia e vomito non preceduto da nausea, è una patologia ad alto rischio che impatta significativamente sulla salute pubblica per gli elevati tassi di mortalità, morbilità e disabilità correlati e comporta un significativo impatto socioeconomico per le persone, le loro famiglie e per la società in generale. Stiamo parlando del trauma cranico, il disturbo neurologico più frequente che riguarda 69 milioni di persone ogni anno nel mondo.

Nel 90% dei casi le lesioni cerebrali vengono classificate come trauma cranico lieve e questa forma è circa 15 volte più frequente di quella moderata e 20 volte più di quella grave.

Sebbene quello lieve sia la forma meno grave di trauma cranico, l’immediatezza e l’accuratezza nella diagnosi e la gestione delle lesioni cerebrali traumatiche lievi, rappresentano ad oggi un importante bisogno insoddisfatto poiché spesso la condizione viene mal diagnosticata o non diagnosticata affatto e questo può portare a conseguenze neurologiche serie per il paziente.

Per fare il punto sul percorso diagnostico-terapeutico e far emergere le criticità e i bisogni insoddisfatti in questo ambito nel nostro Paese è stato messo a punto il documento “Colpi di testa – L’importanza dei test diagnostici nell’individuazione del trauma cranico lieve”, redatto da un team di importanti esperti italiani di medicina di Emergenza/Urgenza.

Il trauma cranico lieve
La classificazione del trauma cranico si effettua con una valutazione clinica del livello di coscienza, utilizzando il “Glasgow Coma Score” (GCS), che assegna allo stato di vigilanza-coscienza un punteggio da 3 a 15 mediante la valutazione di 3 indicatori: apertura degli occhi, produzione verbale e responsività del paziente a stimoli esterni come il dolore. Quanto più bassa è la risposta agli stimoli, tanto più grave è la compromissione della coscienza e tanto più basso è il punteggio.

Il punteggio GCS consente di suddividere i pazienti per rischio di ematoma cerebrale post traumatico, necessità di intervento neurochirurgico e prognosi: trauma cranico grave (GCS 3-8), trauma cranico moderato (GCS 9 -13), e trauma cranico lieve (GCS 14-15).

“Negli ultimi 20 anni l’incidenza del trauma cranico lieve ha subito una modifica, passando da 15 casi per 1000 abitanti nel mondo occidentale, con un picco di incidenza nelle persone con età tra i 20 e i 45 anni e negli anziani con oltre 65 anni, a 5-8 casi per 1000 abitanti, con una riduzione dell’incidenza nei giovani e un aumento nelle persone di età avanzata”, ha spiegato Andrea Fabbri Direttore del Pronto Soccorso Medicina d’urgenza, 118 di Forlì e Tesoriere della Società italiana di Medicina Emergenza-Urgenza (Simeu).

“Un evento particolarmente rischioso in seguito al trauma è il sanguinamento all’interno della scatola cranica, perché se non riconosciuto può avere conseguenze molto gravi, con esiti invalidanti fino ad arrivare al decesso, se non trattato per tempo. Un pericolo soprattutto per alcune categorie più a rischio, come gli anziani e i pazienti che assumono farmaci coagulanti e antiaggreganti che favoriscono il sanguinamento”, ha sottolineato Mario Guarino, Direttore della Summer-School della Società italiana di medicina emergenza-urgenza (Simeu) e responsabile dell’UO Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza CTO Azienda dei Colli di Napoli.

Il percorso diagnostico
Di fronte a un trauma cranico è necessario agire tempestivamente, già in Pronto Soccorso, per riconoscere i segni del peggioramento e capire chi necessita di un approfondimento diagnostico.

Le linee guida informano sull’uso appropriato della TAC per differenziare le lesioni cerebrali traumatiche lievi dalle lesioni cerebrali clinicamente importanti al fine di prevenire l’uso eccessivo della strumentazione. Tuttavia, l’uso della TAC sta crescendo rapidamente negli anni, esponendo potenzialmente i pazienti ai rischi delle radiazioni ionizzanti e generando costi evitabili.

Infatti, “solo circa il 10% dei pazienti che accedono al Pronto Soccorso con un punteggio GCS da 13 a 15, presenta effettivamente lesioni traumatiche alla TAC cranica e solo circa l’1% necessita di un intervento neurochirurgico”, ha sottolineato Guarino.

Il ruolo dei biomarcatori

“Ultimamente il percorso diagnostico del paziente si è avvantaggiato dal dosaggio di proteine che si liberano in seguito alla lesione e che sono indice di un danno delle cellule nervose”, ha spiegato Giuseppe Banfi Direttore Scientifico dell’IRCCS Galeazzi di Milano.

“Si tratta di alcune proteine cerebrali che nell’ultimo decennio sono emerse come potenziali biomarcatori diagnostici di trauma cranico cerebrale che potrebbero permettere di anticipare la diagnosi riducendo tempi e costi”, ha aggiunto Banfi.

Ad oggi sono stati studiati più di 20 biomarcatori, sette delle quali (S100 S100B, NSE, UCH-L1, GFAP, spettrina alfa-II e tau) hanno dimostrato un’accuratezza diagnostica per distinguere la commozione cerebrale dalla “non commozione cerebrale” o per predire i risultati della TAC al cranio.

I biomarcatori hanno fornito informazioni sui meccanismi patofisiologici, in particolare sul decorso dinamico del danno neuronale, assonale e astrogliale che derivano dal trauma. Numerose evidenze hanno dimostrato l’uso di biomarcatori circolanti come firme distintive per il trauma cranico, in grado di migliorare l’accuratezza diagnostica e il processo decisionale clinico al di là degli attuali standard pratici.

Due biomarcatori in particolare hanno dimostrato un’alta sensibilità e un valore predittivo negativo nel predire la lesione intracranica presente alla TAC del cranio in fase acuta.

Il primo, l’ubiquitina carbossi-terminale idrolasi L1 (UCH-L1) rilasciata dai neuroni, aumenta immediatamente dopo un’ora dal danno, l’altro, la proteina fibrillare acida della glia (GFAP) prodotta dalle cellule gliali, aumenta dopo dodici ore, consentendo di avere una finestra diagnostica ampia. I due marker possono essere misurati in pochi minuti tramite prelievo di sangue attraverso test specifici. Se negativo il test può evitare di eseguire una TAC cranica non necessaria, in caso di positività invece l’esame per supportare i medici nella valutazione.

Come si legge nel documento “Colpi di Testa”, ad oggi in Italia, il sovraffollamento dei reparti ospedalieri è una delle principali preoccupazioni associate alla sicurezza del paziente e all’efficienza delle cure. L’aumento della domanda, soprattutto a livello di Pronto Soccorso, spesso impone ai pazienti lunghi periodi di attesa e durante la pandemia questo problema si è fatto sempre più insistente. Pertanto, l’introduzione di strumenti in grado di ridurre i tempi di attesa e di osservazione durante la presa in carico dei pazienti in Pronto Soccorso, rappresenta un forte need nell’attuale contesto italiano. L’utilizzo dei biomarcatori pertanto potrebbe avere un impatto significativo sul tempo che il paziente trascorre al pronto soccorso, riducendo i tempi di attesa e velocizzando i tempi pre-trattamento. Inoltre, potrebbe migliorare l’efficacia e la produttività riducendo il tempo necessario per raccogliere, elaborare e riferire i risultati e infine potrebbe contribuire a fornire cure mirate incentrate sul paziente per migliorarne la presa in carico.