Un nuovo approccio per trattare il glioblastoma multiforme e le sue recidive: lo studio di un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e del Cnr
Sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science Advances i risultati di uno studio di un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Cnr-In), coordinati da Vania Broccoli e Alessandro Sessa. Nell’articolo è descritto un nuovo approccio terapeutico per il trattamento dei tumori cerebrali, in particolare il glioblastoma multiforme (GBM) e le sue recidive.
Studiando in coltura alcune cellule tumorali e cellule staminali del cancro, i ricercatori hanno sviluppato dei nuovi fattori antitumorali in grado di inattivare e silenziare particolari fattori pro-tumorali. Tale azione si verifica in modo specifico ed esclusivo nelle cellule tumorali cerebrali, impendendo così la crescita del tumore e l’insorgenza di recidive. Il trattamento si è dimostrato tanto efficace nelle cellule tumorali, quanto inerte – e quindi sicuro – in quelle sane, come per esempio nei neuroni.
La ricerca, svolta in vitro e in vivo in modelli sperimentali di glioblastoma e stata sostenuta dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), apre la strada allo sviluppo di nuove potenziali terapie per questo e altri tipi di tumore.
Il problema delle recidive nel glioblastoma multiforme – Il glioblastoma multiforme è una forma di tumore cerebrale molto aggressiva e ancora difficile da curare, anche a causa delle numerose recidive. I pazienti affetti da GBM vengono solitamente sottoposti a interventi chirurgici per la rimozione del tumore, a cui seguono radio e chemioterapia. Nonostante ciò, è difficile prevenire le recidive del tumore nella quasi totalità dei casi. Questo perché le poche cellule tumorali rimaste quiescenti nel tessuto sano dopo le terapie sono in grado di sviluppare resistenze ai trattamenti. “Con l’obiettivo di raggiungere una remissione di lunga durata per questo tipo di tumore, da anni siamo impegnati in laboratorio nello sviluppo di una strategia efficace per colpire sia le cellule malate residue sia le cellule staminali del cancro, e sopprimere la loro attività tumorale”, afferma Vania Broccoli, responsabile dell’unità Cellule Staminali e Neurogenesi dell’Ospedale San Raffaele e del Cnr-In.
Il nuovo approccio terapeutico sviluppato al San Raffaele – Le staminali del cancro, spesso quiescenti ma in grado di auto-rinnovarsi e riformare il tumore, per crescere e proliferare utilizzano particolari proteine chiamate “fattori di trascrizione”. Tra queste, la proteina SOX2 è prodotta a partire da un oncogene presente nella maggior parte dei tumori cerebrali, dei quali promuove lo sviluppo e l’aggressività. In laboratorio i ricercatori hanno bloccato l’attività oncogenica di SOX2, creandone una sua copia fedele ma con funzione opposta e quindi capace di inibire tutti i suoi geni bersaglio. Quindi, questo “avatar” genetico è capace di disattivare tutto la rete genetica a valle dell’oncogene SOX2.
“La nostra idea è stata di inattivare l’oncogene SOX2, che normalmente sostiene la malignità tumorale, attraverso la creazione di una copia antitetica, sviluppando così un vero e proprio fattore anti-tumorale. Per fare questo, abbiamo utilizzato una tecnica di terapia genica inserendo in vettori virali, inoculati direttamente nel punto interessato, il nuovo fattore antitumorale, chiamato SES (SOX2 Epigenetic Silencer). Siamo così stati in grado di eliminare o ridurre drasticamente la crescita tumorale in modelli di GBM sia in vitro sia in vivo”, afferma Alessandro Sessa, ricercatore del laboratorio Cellule Staminali e Neurogenesi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. “Il trattamento si è dimostrato efficace e specifico per le cellule tumorali e le cellule staminali del cancro. Ne abbiamo anche potuto costatare la sicurezza poiché non danneggia le altre cellule sane presenti nel tessuto cerebrale, come neuroni o glia”.
Future applicazioni – I risultati ottenuti dovranno ora essere confermati in ulteriori studi di laboratorio prima di poter essere valutati in sperimentazioni cliniche con i pazienti. “Speriamo che questo nuovo approccio possa presto affiancare le terapie attuali per il GBM. Il trattamento potrebbe essere svolto contestualmente alla rimozione chirurgica, senza che sia necessario sospendere chemio e radioterapie, oggi lo standard per questo tipo di tumori”, conclude Vania Broccoli.
I risultati di questo studio potrebbero inoltre essere applicati al trattamento di altri tipi di cancro. SOX2 è infatti presente in diversi tipi di tumore e in alcune metastasi al fegato. Inoltre la tecnica messa a punto è modulabile e versatile e potrebbe essere utilizzata, in linea di principio, per veicolare altri fattori antitumorali, con applicazioni contro tumori del polmone, della mammella, del fegato o dei reni.
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