Julian Assange tra i finalisti del premio Sakharov 2022. Le parole dell’ex console dell’Ecuador Narvaez che ospitò a Londra per sette anni il fondatore di Wikileaks
“Julian Assange è fra i tre finalisti del premio Sakharov 2022 per la libertà di pensiero. È una grande vittoria per i cittadini”. Così dichiara in una nota la delegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo. Il gruppo informa che le Commissioni per gli Affari esteri e quella per lo sviluppo e la sottocommissione per i diritti umani, in una riunione congiunta, hanno scelto i tre finalisti che oltre ad Assange sono il popolo ucraino e la Commissione Verità in Colombia.
“Questa votazione- prosegue la delegazione- rappresenta una grande vittoria politica contro l’indifferenza che da anni pesa sul destino del fondatore di Wikileaks che rischia fino a 175 anni di carcere negli Stati Uniti”. Per il Movimento 5 Stelle hanno votato Tiziana Beghin, Fabio Massimo Castaldo e Sabrina Pignedoli, promotrice della candidatura di Assange. “Questa- proseguono- è una vittoria di tutti i cittadini che hanno a cuore la verità, la stampa libera e la democrazia, ma la battaglia potrà essere vinta solo quando Julian Assange sarà un uomo libero e non dovrà fronteggiare quelle accuse ignobili”, concludono.
L’EX CONSOLE DELL’ECUADOR: È L’ORA DELLA SOLIDARIETÀ
“Nell’estate del 2012 ho aperto la porta dell’ambasciata ecuadoriana a Londra per proteggere Julian Assange dalla persecuzione del più grande impero economico e militare della storia: gli Stati Uniti. Ora che nessuna nazione lo protegge più, dipende dalla nostra solidarietà”. Inizia così un articolo che Fidel Narvaez, ex console dell’Ecuador a Londra, ha scritto per il libro su Julian Assange pubblicato dalla rivista Left in collaborazione con Pressenza, e che quest’ultima testata ha rilanciato in vista della 24 ore per la libertà di Assange che ha promosso per sabato 15 ottobre.
Juliane Assange, giornalista australiano e fondatore del portale di inchiesta Wikileaks, divenuto celebre per aver portato alla luce crimini di guerra commessi dalle truppe statunitensi nelle guerre in Iraq e Afghanistan e per le persecuzioni a danno di presunti affiliati a movimenti terroristi. Per il suo lavoro, nel 2010 Assange è stato incriminato per reati di spionaggio dal governo degli Stati Uniti ma prima dell’arresto, avvenuto a Londra nel 2019 ad opera delle autorità britanniche, l’attivista ha trascorso sette anni nell’ambasciata dell’Ecuador nella capitale britannica, da cui ha ottenuto asilo politico. Attualmente su di lui pende un mandato di estradizione che Londra ha accordato agli Stati Uniti e, se verrà processato, rischia una condanna ad oltre cento anni di reclusione.
Narvaez continua: “Gli Stati Uniti e, più specificamente, il cosiddetto ‘complesso militare industriale’ che è il vero potere, vogliono la testa di Julian come trofeo di guerra. Lo vogliono perché è la persona che più li ha messi in imbarazzo con le rivelazioni dei loro crimini di guerra, della tortura sistematica come pratica di Stato e dei panni sporchi della loro diplomazia nel mondo. Non è possibile avere un nemico più potente, né più vendicativo. Per questo motivo, da quando Julian Assange, attraverso Wikileaks, ha osato pubblicare ciò che la stampa corporativa ha paura di pubblicare, il suo destino era segnato. I criminali di guerra che Julian ha smascherato lo perseguiteranno fino alla fine dei suoi giorni”.
ASSANGE ABBANDONATO DA TUTTI
Narvaez continua: “Quando Julian ha bussato alla porta dell’Ecuador, tutte le altre porte gli erano già state chiuse. Il suo stesso Paese, l’Australia, lo aveva abbandonato. E il Regno Unito, l’alleato più remissivo degli americani, ha agito chiaramente per compiacere la grande potenza. Qual è il dovere degli uomini di buona volontà quando un giornalista viene minacciato di ergastolo e di morte, torturato psicologicamente, diffamato e perseguitato per aver pubblicato la verità? Qual è il dovere delle nazioni che affermano di difendere i diritti umani e la giustizia, quando un innocente ha un disperato bisogno di protezione? Perché nessun altro paese ha osato proteggere Julian Assange?”. Julian secondo il diplomatico “non ha scelto a caso la porta dell’ambasciata ecuadoriana. Nel 2012, il mio Paese aveva il governo più progressista della sua storia. La nostra politica internazionale aveva mostrato solidi segni di sovranità. Il governo del presidente Rafael Correa aveva già rimosso la più grande base militare statunitense in Sudamerica; aveva espulso diversi diplomatici americani per il loro diretto coinvolgimento con i nostri servizi di polizia e di intelligence; ci eravamo opposti con fermezza alle imprese transnazionali. L’Ecuador aveva espulso l’ambasciatore americano dal Paese, in seguito alle rivelazioni di WikiLeaks che hanno rivelato la sua mancanza di rispetto per il nostro Paese.
All’epoca, il mio Paese aveva una solida stabilità politica e il suo presidente godeva di grande popolarità e legittimità democratica. L’Ecuador è stato l’unico Paese a chiedere a WikiLeaks di pubblicare tutti i cablogrammi diplomatici che lo riguardano, senza eccezioni, in una dimostrazione di trasparenza che ha sicuramente contribuito a far sì che Julian vedesse l’Ecuador come un alleato fidato.
Quando i sistemi giudiziari non funzionano per proteggere i diritti, l’ultima risorsa è quella di chiedere asilo politico, un diritto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. L’Ecuador, fin dall’inizio, ha cercato di ottenere garanzie da Svezia e Regno Unito che Julian non sarebbe stato estradato negli Stati Uniti. Nessuno degli sforzi compiuti dall’Ecuador e dagli avvocati di Julian nei sette anni successivi ha avuto alcun effetto positivo, poiché nessuno di questi Paesi aveva il minimo interesse ad agire con giustizia”.