Secondo le stime della CGIA di Mestre al nuovo governo Meloni servono almeno 70 miliardi per salvare famiglie e imprese: si parte da una dote di 20 miliardi
È in arrivo uno degli inverni più difficili degli ultimi 50 anni. Per salvare i bilanci delle famiglie e delle imprese, infatti, sarà necessario impiegare entro la fine dell’anno almeno 70 miliardi di euro. Di questi, 35 per dimezzare il caro bollette e altrettanti, con la legge di Bilancio 2023, per non far decadere dal prossimo gennaio alcune misure introdotte dal governo uscente. La situazione è critica: il nuovo esecutivo dovrà fare l’impossibile per recuperare tutte queste risorse senza ricorrere ad un aumento del deficit, visto che, al massimo, potrà beneficiare su un “tesoretto” che potrebbe toccare i 25 miliardi di euro. Se non riuscirà a recuperarne altri 45, rischiamo un 2023 molto complicato. Secondo le ultime previsioni, infatti, ben 6 province su 10 registreranno una crescita negativa. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.
- Per dimezzare il caro energia servono almeno 35 miliardi
Secondo una stima dell’Ufficio studi della CGIA, per mitigare il caro energia il nuovo Governo dovrebbe trovare entro il prossimo 31 dicembre almeno 35 miliardi di euro per dimezzare gli aumenti di costo in capo a famiglie e imprese previsti nel 2022. Aumenti che, al netto dei 58 miliardi di aiuti erogati quest’anno contro il caro bollette, ammontano complessivamente a 70 miliardi di euro. Ecco perché, secondo la CGIA, sono necessari altri 30 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere 5 miliardi per estendere anche al prossimo mese di dicembre gli effetti contro il rincaro delle bollette introdotti con il decreto Aiuti ter.
- Una legge di Bilancio 2023 come minimo da 35 miliardi
Visti i tempi risicatissimi, anche approvare in tempo la prossima legge di Bilancio non sarà semplicissimo: per legge il voto definitivo dovrà avvenire entro il 31 dicembre, altrimenti potrebbe farsi strada l’esercizio provvisorio. Pertanto, i tempi a disposizione sono strettissimi e non sarà facile trovare tutte le risorse per confermare, anche per l’anno venturo, molti provvedimenti introdotti dal governo Draghi che, si stima, quantificabili in 35 miliardi di euro, così suddivisi:
- quasi 15 miliardi di euro per rinnovare nel primo trimestre le misure contro il caro energia previste dal decreto Aiuti ter;
- almeno 8,5 miliardi di euro per indicizzare le pensioni;
- almeno 5 miliardi per il rinnovo del contratto del pubblico impiego;
- 4,5 miliardi di euro per lo sconto contributivo del 2 per cento a carico dei lavoratori dipendenti con reddito fino a 35 mila euro;
- 2 miliardi di euro di spese indifferibili.
Sono risorse, quelle appena elencate, che non includono nessun altra misura; tanto meno quelle che sono state al centro della recentissima campagna elettorale. Come l’estensione della flat tax, le pensioni minime a 1.000 euro, il taglio del cuneo fiscale, etc.
- Il nuovo esecutivo può contare su un “tesoretto” da 25 miliardi
Il “tesoretto”, che il nuovo governo “erediterà” dal premier uscente Draghi, potrebbe essere di 20 miliardi di euro: 10 da usare subito e altri 10 da impiegare nella manovra 2023. Risorse che sono state “recuperate” senza fare nuovo deficit, grazie al fatto che in quest’ultimo anno l’esecutivo uscente è riuscito a mantenere i conti ordine. Un ulteriore aiuto potrebbe arrivare anche da Bruxelles che sta per mettere a punto una misura che consentirà di recuperare i fondi strutturali europei 2014-2020 non ancora spesi o non impegnati in modo vincolante. Il nostro Paese potrebbe avere a disposizione tra i 4-5 miliardi di euro. Pertanto, a fronte di 70 miliardi di spese da impegnare nel giro di poco più di 2 mesi, il nuovo governo può contare su una copertura di circa 25 miliardi. Nel caso non si volesse fare nessun altro scostamento di bilancio, non sarà certo facile trovare in poco tempo ben 45 miliardi di euro.
- Previsioni 2023 amare: 6 province su 10 in recessione
Sebbene mai come in questo momento elaborare delle previsioni economiche sia particolarmente arduo, a detta di tutti i principali istituti di ricerca, comunque, il 2023 sarà molto difficile. Delle 107 province monitorate da Prometeia, ad esempio, 67 (pari al 62 per cento del totale) l’anno prossimo registreranno una crescita negativa. Se a livello nazionale il Pil (o meglio il valore aggiunto reale) sarà pari a zero, le differenze a livello provinciale saranno abbastanza contenute, anche se si verificheranno alcune sorprese positive: come le performance di alcune realtà del Mezzogiorno.
Anche se dello zero virgola, tra le province che l’anno prossimo registreranno una crescita positiva segnaliamo, in particolar modo, Roma, Belluno, Viterbo, Fermo e Bari (tutte con il +0,3 per cento), Venezia, Foggia e Modena (con il +0,4 per cento), Cremona, Verona e Bologna (con il +0,5 per cento), Salerno e Savona (entrambe con il + 0,6 per cento). A guidare la graduatoria a livello nazionale, infine, sarà il capoluogo di regione della Lombardia. Nella provincia di Milano, infatti, l’aumento del valore aggiunto toccherà il +0,8 per cento. Le situazioni più critiche, invece, riguarderanno Pisa, Cagliari, Ragusa, Messina e Macerata (tutte con una diminuzione della crescita dello 0,8 per cento), Enna e Rovigo (entrambe con il – 0,9 per cento) e Vibo Valentia (con il -1 per cento).
Va infine segnalato che sono molte le province che non hanno ancora recuperato il livello di ricchezza che avevamo nel periodo pre-Covid (2019). Le situazioni di maggiore ritardo le scorgiamo a Siena (-1,9 per cento), Prato (-2), Belluno (-2,2) e Pisa (-2,3). Maglia nera, infine, per le province di Campobasso e Vibo Valentia (-2,4).