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Cuore: aspirina, atorvastatina e ramipril più efficaci se in un’unica pillola

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Una pillola contenente aspirina, atorvastatina e ramipril previene in modo più efficace ulteriori eventi cardiovascolari avversi dopo un infarto rispetto all’assunzione separata

Una pillola contenente aspirina, un ipolipemizzante e un antipertensivo previene in modo più efficace ulteriori eventi cardiovascolari avversi dopo un infarto rispetto all’assunzione separata dei farmaci. È quanto emerge da una ricerca – denominata SECURE (Secondary prevention of cardiovascular disease in the elderly) – presentata a Barcellona, nel corso del Congresso ESC22.

Valentin Fuster – del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC) di Madrid e del Mount Sinai Health System di New York – ha dichiarato che «i risultati di SECURE mostrano, per la prima volta, che una polipillola contenente aspirina, atorvastatina e ramipril porta a riduzioni clinicamente rilevanti degli eventi cardiovascolari ricorrenti nei pazienti nel post-infarto miocardico».

Antipiastrinico, ipolipemizzante e antipertensivo: prescrizione di routine
Dopo un infarto miocardico, ai pazienti vengono prescritti farmaci per prevenire successivi eventi cardiovascolari. Questi includono un antipiastrinico, un farmaco ipolipemizzante e un farmaco per abbassare la pressione arteriosa e stabilizzare la vascolatura.

Tuttavia, meno del 50% dei pazienti post-infarto assume costantemente tutti i farmaci prescritti. È stato proposto che una polipillola contenente tutti e tre i trattamenti possa rendere più facile per i pazienti aderire ai loro farmaci.

Obiettivo, facilitare l’aderenza al trattamento
SECURE è stato il primo studio randomizzato a studiare l’impatto di una polipillola su eventi cardiovascolari ricorrenti in pazienti post-infarto.

Lo studio ha arruolato pazienti entro sei mesi dall’infarto del miocardio. «La maggior parte dei pazienti è completamente aderente dopo un evento acuto, ma questa compliance svanisce dopo i primi sei mesi» ha spiegato Fuster, ricercatore principale dello studio.

«Volevamo ottenere un impatto fin dall’inizio, mentre tutti i pazienti erano aderenti. In effetti, la maggior parte dei pazienti nello studio sono stati avviati al trattamento con polipillola nella prima settimana dopo l’infarto miocardico» specifica.

Nello studio sono stati assegnati in modo casuale 2.499 pazienti post-infartuati – reclutati in 113 centri di 7 paesi europei – o a una polipillola o a cure usuali. La polipillola conteneva aspirina (100 mg), l’ACE-inibitore ramipril (2,5, 5 o 10 mg) e atorvastatina (20 o 40 mg). La cura abituale era a discrezione del medico curante.

L’endpoint composito primario era morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale, ictus o rivascolarizzazione urgente. La Morisky Medication Adherence Scale è stata utilizzata per classificare l’aderenza come bassa, media o alta.

L’età media dei partecipanti era di 76 anni, il 31% erano donne, il 77,9% aveva ipertensione, il 57,4% aveva il diabete e il 51,3% aveva una storia di fumo.

Risultati in netto favore dei farmaci ‘riuniti’
Durante un follow-up mediano di tre anni, l’endpoint composito primario si è verificato in 118 (9,5%) pazienti nel gruppo polipillola e in 156 (12,7%) nel gruppo di cura abituale ( hazard ratio [HR] 0,76; intervallo di confidenza al 95% [CI] 0,60-0,96; p<0,001 per non inferiorità, p=0,02 per superiorità).

Tutti e quattro i componenti dell’endpoint primario hanno contribuito all’effetto del trattamento osservato, ma il contributo più notevole è stato dato dalla morte cardiovascolare, che si è verificata in 48 (3,9%) pazienti nel gruppo polipillola e 71 (5,8%) nel gruppo di cura abituale (HR 0,67; IC 95% 0,47-0,97; p = 0,03).

Gli effetti del trattamento per l’esito primario sono stati simili nei sottogruppi pre-specificati (paese, età, genere, diabete, malattia renale cronica e precedente rivascolarizzazione).

Per quanto riguarda gli endpoint secondari, quello chiave di morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale o ictus si è verificato in 101 (8,2%) pazienti nel gruppo polipillola e 144 (11,7%) nel gruppo di cura abituale (HR 0,70; IC 95% 0,54-0,90; p = 0,005).

La mortalità per tutte le cause era simile in entrambi i gruppi (HR 0,97; IC 95% 0,75-1,25). I pazienti nel gruppo polipillola avevano livelli più elevati di aderenza rispetto a quelli nel gruppo di cura abituale.

«I risultati suggeriscono che una polipillola potrebbe diventare parte integrante delle strategie per prevenire eventi cardiovascolari nei pazienti post-infartuati» ha sottolineato Fuster. «Semplificando il trattamento e migliorando l’aderenza, questo approccio ha il potenziale per ridurre il rischio di malattie ricorrenti e morte cardiovascolare su scala globale».

Non noti con certezza i meccanismi d’azione, ma la combinazione funziona
Nella discussione dopo la presentazione, è stato chiesto a Fuster di spiegare come mai, non avendo la polipillola modificato i livelli di LDL né quelli pressori, se la sola aderenza potesse giustificare i benefici rilevati.

«Forse l’aspirina previene i coaguli, ma non lo sappiamo con certezza» ha risposto Fuster. «Penso che si tratti di un effetto pleiotropico della combinazione».

Altro quesito: si può immaginare che questa opzione venga utilizzata a livello globale? Si prevedono raccomandazioni più forti per l’uso di una polipillola o semplicemente un maggiore impiego in clinica?

«Abbiamo grandi speranze» ha detto Fuster. «Si tratta di farmaci di ampia diffusione. La polipillola potrebbe essere di semplice accesso per i paesi a medio e basso reddito».

Fonte: Fuster V. SECURE, Secondary prevention of cardiovascular disease in the elderly. ESC22. Barcelona (Spain).

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