Le persone che hanno contratto il Covid continuano ad affrontare, fino a 2 anni dopo l’infezione, un aumento dei rischi di sequele neurologiche e psichiatriche
Le persone che hanno contratto il COVID-19 continuano ad affrontare, fino a 2 anni dopo l’infezione, un aumento dei rischi di sequele neurologiche e psichiatriche rispetto alle persone che hanno avuto altre infezioni respiratorie. Lo ha dimostrato uno studio retrospettivo pubblicato su “Lancet Psychiatry”.
Le cartelle cliniche di quasi 1,3 milioni di persone – per lo più negli Stati Uniti – hanno mostrato che i rischi di deficit cognitivo (nebbia cerebrale), demenza, disturbi psicotici ed epilessia o convulsioni erano aumentati a un follow-up di 2 anni negli adulti che avevano avuto il COVID, riferiscono gli autori della ricerca, coordinati dall’autore senior Paul Harrison, dell’Università di Oxford (UK).
Disturbi d’ansia e dell’umore, casi in rapido calo dopo tre mesi
Il rischio di ansia e depressione è aumentato nei primi 6 mesi tra i pazienti adulti COVID, ma è diminuito con il tempo, scrivono i ricercatori.
«L’eccesso di rischio di alcuni disordini, in particolare ansia e disturbi dell’umore, è scomparso entro 2 o 3 mesi, senza un numero complessivo di casi in eccesso lungo un periodo di 2 anni» precisano il primo autore, Maxime Taquet, anch’egli dell’Università di Oxford, e colleghi.
«Una notizia più preoccupante, tuttavia, è che il rischio di altri disturbi – tra cui nebbia cerebrale, demenza, disturbi psicotici, epilessia e convulsioni – è rimasto elevato per tutti i 2 anni, con un maggior numero di nuovi casi ancora diagnosticati 2 anni dopo l’infezione» aggiungono.
I bambini con COVID avevano anche maggiori probabilità di ricevere diagnosi di sequele neurologiche e psichiatriche rispetto alle loro controparti abbinate, ma la loro probabilità di avere un maggior numero di diagnosi era inferiore a quella degli adulti.
In particolare, a differenza degli adulti, i bambini non avevano un aumentato rischio di disturbi dell’umore (HR 1,02, IC 95% 0,94-1,10) o disturbi d’ansia (HR 1,00, IC 95% 0,94-1,06) a 6 mesi.
Cambiamento dei sintomi in base alle varianti dominanti
Con il cambiamento delle varianti dominanti di SARS-CoV-2, i sintomi post-COVID sono cambiati. «L’emergere della variante Delta è stato associato a un aumento del rischio per diverse condizioni; tuttavia, è importante notare che il rischio complessivo di queste condizioni è ancora basso» specificano Taquet e colleghi.
«Con Omicron come variante dominante, anche se vediamo sintomi molto più lievi immediatamente dopo l’infezione, si osservano tassi simili di diagnosi neurologiche e psichiatriche come con Delta, suggerendo che l’onere per il sistema sanitario può continuare anche con varianti che sono meno severe sotto altri aspetti» rilevano.
Lo studio, che è un’estensione del lavoro precedente che ha valutato gli esiti degli adulti 6 mesi dopo l’infezione da SARS-CoV-2, è «il primo a tentare di esaminare parte dell’eterogeneità degli aspetti neurologici e psichiatrici persistenti del COVID-19 in un ampio numero di dati» osservato Jonathan Rogers, e Glyn Lewis, entrambi dell’University College di Londra, in un editoriale di accompagnamento.
«La ricerca evidenzia alcune caratteristiche cliniche che meritano in particolare ulteriori indagini, ma deve essere integrato da studi prospettici che forniscano una maggiore convalida dei risultati» sottolineano gli editorialisti.
Studio condotto su quasi 1,5 milioni di pazienti tratti dal database TriNetX
Harrison e co-autori hanno identificato 1.487.712 pazienti nel database internazionale delle cartelle cliniche elettroniche TriNetX che hanno avuto una diagnosi di COVID-19 da gennaio 2020 ad aprile 2022.
Di questi pazienti, 1.284.437 sono stati abbinati a un numero uguale di persone che avevano un’altra infezione respiratoria in base ai dati demografici, ai fattori di rischio per COVID-19, alla malattia COVID-19 grave e allo stato di vaccinazione.
Entrambe le coorti includevano 185.748 bambini, 856.588 adulti di età compresa tra 18 e 64 anni e 242.101 adulti di età pari o superiore a 65 anni. Il campione di studio aveva un’età media di 42,5 anni e il 57,8% erano donne. I sottogruppi Alfa, Delta e Omicron sono stati identificati come pazienti con una prima diagnosi di COVID-19 quando una particolare variante era dominante negli Stati Uniti.
I ricercatori hanno valutato i rischi di 14 diagnosi neurologiche e psichiatriche dopo l’infezione da SARS-CoV-2, confrontando questi risultati con la coorte abbinata. Le traiettorie di rischio a due anni includevano HR costanti a 6 mesi, orizzonti di rischio per ciascun risultato (il punto in cui un HR ritorna a 1) e il tempo di uguale incidenza nei due gruppi.
Valutate le traiettorie di 14 tipi di diagnosi differenti
Deficit cognitivo, demenza, disturbi psicotici ed epilessia o convulsioni sono aumentati a 6 mesi negli adulti di età compresa tra 18 e 64 anni e sono rimasti elevati alla fine del periodo di follow-up di 2 anni.
I rischi di disturbi dell’umore e d’ansia sono tornati al basale dopo 1 o 2 mesi (disturbi dell’umore a 43 giorni; disturbi d’ansia a 58 giorni) e alla fine hanno raggiunto l’incidenza del gruppo abbinato (disturbi dell’umore a 457 giorni, disturbi d’ansia a 417 giorni).
I bambini hanno mostrato un aumentato rischio di deficit cognitivi, insonnia, emorragia intracranica, ictus ischemico, disturbi a carico dei nervi, delle radici nervose e dei plessi, disturbi psicotici ed epilessia o convulsioni a 6 mesi, con HR che andavano da 1,20 a 2,16.
A differenza degli adulti, il deficit cognitivo nei bambini aveva un orizzonte di rischio finito (75 giorni) e un tempo finito per un’incidenza uguale (491 giorni).
Più vulnerabili i soggetti di età pari o superiore a 65 anni
Il rischio di qualsiasi prima diagnosi neurologica o psichiatrica era più alto tra le persone di età pari o superiore a 65 anni rispetto alle altre. Una percentuale considerevole di anziani che hanno ricevuto una diagnosi neurologica o psichiatrica in entrambe le coorti è successivamente deceduta, in particolare quelli con diagnosi di demenza o epilessia o convulsioni.
I profili di rischio erano simili poco prima che emergesse la variante Alfa rispetto a subito dopo. I rischi di ictus ischemico, epilessia o convulsioni, deficit cognitivo, insonnia e disturbi d’ansia sono aumentati subito dopo l’emergere di Delta, così come il tasso di mortalità.
Con Omicron, c’era un tasso di mortalità inferiore rispetto a poco prima dell’emergere della variante, ma i rischi di esiti neurologici e psichiatrici sono rimasti simili.
Studio con limiti ma possibili importanti implicazioni
Lo studio aveva diverse limitazioni, osservano Harrison e colleghi. È improbabile che i casi di COVID autodiagnosticati e asintomatici vengano registrati nelle cartelle cliniche elettroniche o inclusi nello studio. Inoltre, i ricercatori non hanno valutato la gravità o la durata di ciascuna condizione dopo la diagnosi o confrontato questi elementi con altre infezioni respiratorie.
Tuttavia, i risultati possono avere importanti implicazioni per i pazienti e i sistemi sanitari, in quanto suggeriscono che nuovi casi di condizioni neurologiche legate al COVID possono verificarsi per un tempo considerevole dopo che la pandemia si è attenuata, spiegano Harrison e coautori.
«Il nostro lavoro evidenzia anche la necessità di ulteriori ricerche per capire perché ciò accade dopo l’infezione da COVID-19 e cosa si può fare per prevenire o curare queste condizioni» sottolineano.
Bibliografia:
Taquet M, Sillett R, Zhu L, Mendel J, Camplisson I, Dercon Q, Harrison PJ. Neurological and psychiatric risk trajectories after SARS-CoV-2 infection: an analysis of 2-year retrospective cohort studies including 1 284 437 patients. Lancet Psychiatry. 2022 Aug 17. doi: 10.1016/S2215-0366(22)00260-7. [Epub ahead of print] Link
Rogers JP, Lewis G. Neuropsychiatric sequelae of COVID-19: long-lasting, but not uniform. Lancet Psychiatry. 2022 Aug 17. doi: 10.1016/S2215-0366(22)00302-9. [Epub ahead of print] Link