I risultati di una nuova analisi dei campioni dell’asteroide Ryugu, raccolti e riportati sulla terra dalla missione Hayabusa 2 dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa
Sono stati appena pubblicati sulla rivista Science nuovi e approfonditi esami dei campioni della superficie dell’asteroide Ryugu, raccolti e riportati a Terra dalla missione Hayabusa 2 dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa il 6 dicembre del 2020.
Il gruppo di ricerca guidato da Tomoki Nakamura, professore della Graduate School of Science dell’Università di Tohoku, in Giappone, ha analizzato con varie tecniche chimico-fisiche 17 particelle del prezioso materiale presso varie università e istituti, utilizzando anche cinque laboratori specializzati in indagini con radiazione di sincrotrone, in Giappone, Stati Uniti ed Europa.
La quantità dei dati raccolti ha permesso agli scienziati di ricostruire con grande dettaglio la storia di Ryugu, dalla sua formazione agli albori del Sistema solare, fino al catastrofico impatto che ha rimodellato la sua forma e dimensioni, come oggi lo conosciamo. E fornirci, tra le tante, anche una curiosa informazione sul materiale che compone la sua superficie: è infatti così tenero che potremmo tagliarlo con la pressione di un semplice coltello.
«Noi stessi siamo sorpresi da questi risultati e dalla loro varietà, che ci restituiscono un identikit eccezionalmente dettagliato di come è fatto Ryugu e del suo passato» dice a Media Inaf Ernesto Palomba, ricercatore dell’Inaf di Roma, che ha partecipato alle analisi ed è tra i firmatari dell’articolo pubblicato su Science.
«È senz’altro affascinante scoprire che questo piccolo asteroide del diametro di un chilometro circa è ciò che resta di un oggetto originariamente molto più grande, dell’ordine dei 100 chilometri», continua Palomba. «L’impatto con un altro corpo celeste ha frantumato l’asteroide primitivo e parte di quei frammenti si sono riaggregati per dare origine a Ryugu».
In base ai dati raccolti, il team ha effettuato delle simulazioni al computer per ricostruire i processi che hanno portato la formazione del progenitore di Ryugu fino alla sua distruzione. I risultati indicano che questo oggetto celeste si è aggregato circa 2 milioni di anni dopo la formazione del Sistema solare, per poi riscaldarsi a circa 50°C nei successivi 3 milioni di anni. Una condizione questa che ha innescato e sostenuto reazioni chimiche tra acqua e roccia nel corpo celeste. Acqua, e tanta infatti ce ne doveva essere nel materiale di cui era composto il progenitore di Ryugu. E alcune tracce sono state trovate anche nei campioni analizzati. «All’interno dei granelli millimetrici del materiale che abbiamo studiato abbiamo rinvenuto dei micro-pori contenenti acqua allo stato liquido, un’acqua ricca di carbonati e materiali organici, vagamente simile per composizione alla nostra acqua minerale» prosegue Palomba. «Un’altra scoperta che ci ha lasciato a bocca aperta è stata l’identificazione di cristalli simili per conformazione a quella dei coralli che popolano i nostri mari».
I dettagli sulla struttura e sulla composizione di Ryugu non ci danno informazioni solo su di esso, ma di riflesso forniscono agli scienziati indizi preziosissimi per conoscere l’ambiente in cui si è formato, agli albori del Sistema solare. «Siamo riusciti a capire la storia di questo piccolo oggetto, che è davvero primitivo» ricorda Palomba. «La sua formazione è avvenuta infatti subito dopo quella del Sole. La composizione decisamente variegata ci rivela sia la presenza di materiali refrattari, aggregatisi in una zona vicina alla nostra stella, che più volatili, come l’acqua e l’anidride carbonica, che invece sono presenti in zone molto più lontane. Questo sta a significare che in quell’epoca l’ambiente era molto turbolento ed era molto forte il mescolamento dei materiali che poi sono andati a formare i primi corpi celesti, tra cui il progenitore di Ryugu» conclude Palomba.
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “Formation and evolution of carbonaceous asteroid Ryugu: Direct evidence from returned samples” di T. Nakamura et al.