Ascanio Balbo di Vinadio racconta “A ciascuno il suo giorno”


L’intervista ad Ascanio Balbo di Vinadio, collezionista e nipote di Giorgio Longo, ideatore e organizzatore della mostra “A ciascuno il suo giorno”

marco angelini

Una mostra che è un omaggio sentito a Giorgio Longo (1909-1973), ultimo presidente della Longo S.p.A. – una delle aziende che hanno fatto la storia dell’industria in Italia durante il boom economico e che dagli anni ’30 fino agli anni ‘70 del secolo scorso sono state un’eccellenza nel mondo – e allo stesso tempo riporta alla luce un pezzo di Storia del nostro Paese, quella che vede la ripresa dell’industria nel secondo dopoguerra. Si tratta di A ciascuno il suo giorno, l’esposizione allestita a Bologna negli spazi della fornace ottocentesca Galotti, all’interno del Museo del Patrimonio industriale, visitabile fino al 12 febbraio 2023.

La mostra si sviluppa in un duplice registro, artistico e storico allo stesso tempo, dal momento che presenta da un lato la serie di quadri realizzati appositamente da Marco Angelini e dall’altro lato le foto, i documenti d’epoca e i prodotti, che ci riportano ai tempi in cui l’azienda di cancelleria Longo consolidava il suo ruolo nel panorama dell’industria nazionale e internazionale, un caso esemplare di quanto fosse vitale e di successo lo slancio produttivo dell’Italia a cavallo e dopo il secondo conflitto mondiale. Un percorso espositivo originale, che mette insieme industria e produzione artistica, riconoscimenti pubblici e ricordi personali, perfettamente in linea con la figura di Giorgio Longo, che è stato collezionista, mecenate e appassionato promotore dell’arte oltre che industriale illuminato.

Ne parliamo con Ascanio Balbo di Vinadio, collezionista e nipote di Giorgio Longo, ideatore e organizzatore della mostra A ciascuno il suo giorno.

In questa mostra si assiste a una narrazione che rappresenta un ricordo di famiglia ma allo stesso tempo è un pezzo di Storia del nostro Paese, come si incontrano questi due aspetti?

Grazie al sentimento che mi lega a mio nonno Giorgio – anche se non ho avuto l’occasione di conoscerlo – e alla sua Longo S.p.a. ho avuto un’occasione unica, quella di riportare alla luce una persona a me molto cara e allo stesso tempo di riportare alla memoria una realtà fra le più iconiche del periodo a partire dal secondo dopoguerra fino al 1973, anno della sua scomparsa. Condurre questa ricerca oggi significa arrivare al momento più opportuno, se avessi posticipato di pochi anni probabilmente non ci sarebbero stati più testimonianze della Longo. Questa mostra è anche l’occasione per i più giovani di vedere cosa c’era fino a ieri, prima dell’avvento del digitale, per riflettere su come la tecnologia ci ha cambiato radicalmente. L’enorme vantaggio su molti fronti che traiamo dall’uso dei mezzi più tecnologici comporta un caro prezzo, ognuno di noi è consapevole in misura maggiore o minore di quale sia il prezzo che paga e ognuno potrà fare i conti con sé stesso; oppure avrà quantomeno l’occasione di valutare un punto di vista diverso, anche se solo per la durata della mostra.

La mostra fa luce sulla distanza fra due modi antitetici di essere e di vivere: quello analogico, fatto di cose concrete, e quello digitale, che guadagna sempre più spazio fino ad arrivare oggi al metaverso, alla creazioni di mondi virtuali. Qual è la sua riflessione a riguardo?

Amo la vita nella sua concretezza e l’amore che ho per le cose tangibili, materiali, che posso toccare con mano, va di pari passo. Questo progetto su mio nonno è una cosa concreta, con un lungo lavoro alle spalle, ne vado molto fiero. È stata una ricerca complessa, lunga ma di grande arricchimento personale per me, con tutte le sfide del caso oppure proprio grazie a queste. Il metaverso o collezionare NFT sono cose che non mi interessano minimamente; penso che spingere un bottone e ritrovarsi improvvisamente con la Sharon Stone degli anni ’80 a bere un margarita alle Bahamas possa essere potenzialmente più pericoloso dei classici stupefacenti. Hanno anche fatto molti film su questo tema: finiscono tutti male…

Perché è stato scelto un posto che è lontano dall’ambito artistico e che non ha mai ospitato opere d’arte com’è il museo del Patrimonio industriale?

Fare una mostra d’arte in una classica white cube è qualcosa che hanno fatto già tutti. Con l’artista Marco Angelini siamo stati i primi a portare l’arte contemporanea in un luogo atipico come il Museo del Patrimonio Industriale di Bologna. Lo facevamo con il dovuto rispetto, attraverso l’utilizzo di prodotti di un’industria come la Longo, c’è un lavoro importante di contaminazione tra i vecchi macchinari dell’industria meccanica bolognese e le opere dell’artista, realizzate unicamente con i prodotti originali di cancelleria dell’epoca. In più è una location unica e suggestiva in quanto è un’ex fornace dell’800. Un sito di archeologia industriale in condizioni perfette e dal grande fascino.

Il ricordo di suo nonno Giorgio Longo rivive grazie alla mostra che lei ha ideato e organizzato. Cosa è emerso dalla ricerca delle fonti e dalle testimonianze raccolte e, più in generale, cosa le ha lasciato l’esperienza di questa mostra?

Uno dei momenti più entusiasmanti e commoventi del mio lavoro di ricerca è stato quello di quando sono casualmente entrato in contatto con tre ex collaboratori di mio nonno Giorgio. Da loro ho imparato molto sul suo lavoro e sull’azienda. Mia madre, Luisa Longo, unica figlia di Giorgio, anch’essa artista, avendo perso suo padre quando era molto giovane e non avendo mai preso parte all’attività dell’azienda, non poteva raccontarmi molto a riguardo, i suoi ricordi erano tutti su aspetti privati, familiari della sua vita. Quindi l’apporto di queste tre persone con le quali mio nonno lavorava, che io chiamo con affetto i tre Re Magi, è stato fondamentale. Con loro ho ricostruito la storia aziendale attraverso ricordi personali e documenti ufficiali della Camera di commercio, collegando fatti e fasi diversi, dando un senso compiuto agli sviluppi delle sue vicende, cosa fondamentale per la buona riuscita della mostra. Abbiamo ricomposto un puzzle complesso e molto frammentato, che era andato perduto da 50 anni. Abbiamo inaugurato la mostra il 12 ottobre e posso dire con certezza che è stato uno dei momenti più belli ed emozionanti della mia vita.

Fonte: ufficio stampa Sign Press – Isabella Clara Sciacca