Tumore ovarico avanzato HRD+: la terapia di mantenimento con olaparib e bevacizumab allunga la vita. Due donne su tre vive a più di 5 anni
Per le pazienti con tumore ovarico avanzato, in particolare quelle che presentano un deficit della ricombinazione omologa (HRD-positive, o HRD+), la sopravvivenza a lungo termine non è più una chimera, ma un obiettivo raggiungibile. Lo dimostrano i nuovi risultati dello studio di fase 3 PAOLA-1/ENGOT-ov25, appena presentati al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), a Parigi.
Gli ultimi dati, con un follow-up superiore a 5 anni, evidenziano che una terapia di mantenimento con il PARP-inibitore olaparib, in combinazione con l’antiangiogenico bevacizumab, dopo il trattamento standard di prima linea migliora in modo significativo la sopravvivenza globale (OS) nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato di nuova diagnosi HRD-positive.
A 5 anni, circa due terzi (oltre il 65%) delle pazienti HRD-positive trattate con olaparib in combinazione con bevacizumab è risultato vivo, il 17% in più rispetto a quelle del gruppo di controllo (trattato solo con bevacizumab e un placebo).
Inoltre, nelle pazienti HRD-positive trattate con la combinazione con olaparib, l’OS mediana è risultata di oltre 6 anni, un anno e mezzo più lunga rispetto ai controlli, con una riduzione del 38% del rischio di morte. Risultati, questi, ottenuti nonostante nello studio fosse stata arruolata una quota consistente di pazienti ‘difficili’, cioè quelle metastatiche (in stadio IV) o nelle quali l’intervento di resezione aveva lasciato dei residui di tumore, un gruppo la cui prognosi è particolarmente sfavorevole.
L’analisi aggiornata ha anche confermato il miglioramento significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS) nelle pazienti HRD-positive trattate con olaparib più l’anti-angiogenico, sia in termini di mediana (quasi 4 anni, oltre 2,5 volte superiore rispetto ai controlli) sia in termini di tasso di PFS a 5 anni (quasi 50%, più che raddoppiato rispetto ai controlli).
«Questi dati confermano il ruolo di olaparib aggiunto a bevacizumab come standard di cura per le pazienti HRD-positive in questo setting e l’importanza della medicina di precisione e dei test dei biomarcatori per guidare le decisioni terapeutiche», detto Isabelle L. Ray-Coquard, del Centre Léon Berard Université Claude Bernard di Lione, in Francia, concludendo la presentazione dei dati.
«Circa Il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro 2 anni», ha ricordato la coordinatrice dello studio per l’Italia, Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia all’Università Milano-Bicocca. «Il trattamento mirato (con olaparib, ndr) nel setting di mantenimento di prima linea è fondamentale per aiutarle a vivere più a lungo, ritardando la progressione della malattia».
Ma non solo. «Per la prima volta nell’ambito del trattamento di prima linea del carcinoma ovarico abbiamo osservato un miglioramento anche della sopravvivenza globale, e non solo della sopravvivenza libera da progressione. Queste pazienti vivono più a lungo e credo che per alcune di esse, osservando le curve di sopravvivenza, ci sia persino la speranza di una cura definitiva. È un cambiamento epocale», ha detto Colombo ai microfoni di PharmaStar.
«E va sottolineato che queste donne rimangono in trattamento con olaparib solo per 2 anni, ma poi continuano a beneficiare del farmaco in termini di sopravvivenza globale anche dopo la sua sospensione. Questo è un dato importante», ha aggiunto la Professoressa.
Lo studio PAOLA-1/ENGOT-ov25
Lo studio PAOLA-1/ENGOT-ov25 (NCT02477644) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, al quale ha dato un contributo importante anche l’Italia. Nello studio si è confrontata l’efficacia della combinazione di olaparib più bevacizumab rispetto al solo bevacizumab, come trattamento di mantenimento dopo la terapia di prima linea (comprendente bevacizumab) in donne con tumore ovarico sieroso o endometrioide, delle tube di Falloppio o peritoneale, avanzato, di alto grado e in stadio III-IV della classificazione FIGO.
Il trial ha coinvolto 806 pazienti, arruolate indipendentemente dallo stato di BRCA (mutato o wild-type) e dell’HRD (presente o assente), dal tipo di intervento chirurgico (chirurgia citoriduttiva primaria o di intervallo) e dal suo esito, che avevano risposto in modo completo o parziale al trattamento di prima linea con la chemioterapia contenente platino e bevacizumab per almeno 3 cicli.
Le partecipanti sono state assegnate in rapporto 2:1 al trattamento con olaparib in compresse alla dose di 300 mg due volte al giorno per un massimo di 24 mesi oppure un placebo, in entrambi i casi in aggiunta a bevacizumab a 15 mg/kg al giorno ogni 3 settimane per 15 mesi, comprendenti anche le somministrazioni ricevute durante la chemioterapia.
L’endpoint primario del trial era la PFS valutata dagli sperimentatori secondo i criteri RECIST v1.1, mentre erano endpoint secondari chiave il tempo intercorso tra la randomizzazione e la seconda progressione o il decesso (PFS2) e l’OS.
Studio già pubblicato sul New England Journal of Medicine
Nel 2019 sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati dell’analisi primaria dello studio, che hanno dimostrato come l’aggiunta di olaparib a bevacizumab come terapia di mantenimento offra un beneficio significativo di PFS rispetto al solo bevacizumab (HR 0,59), particolarmente evidente nelle pazienti HRD-positive (HR 0,33).
Gli sperimentatori hanno quindi valutato se il vantaggio di PFS osservato nell’analisi primaria si traducesse in un vantaggio di OS a 5 anni e ora a Parigi la Ray-Coquard ha presentato, appunto, i risultati dell’analisi finale di questo importante endpoint.
L’analisi (con un cut-off il 22 marzo 2022) era stata pianificata 3 anni dopo l’analisi primaria della PFS o una volta che i dati avessero raggiunto una maturità del 60%.
Aumento anche dell’OS aggiungendo olaparib a bevacizumab
I risultati aggiornati mostrano che dopo un follow-up di circa 62 mesi, nella popolazione complessiva dello studio (Intention-To-Treat, ITT) il mantenimento con olaparib più bevacizumab ha innalzato l’OS mediana, portandola a 56,5 mesi, rispetto a 51,6 mesi con bevacizumab da solo (HR 0,92; IC al 95% 0,76-1,12; P = 0,4118), indipendentemente dallo stato dell’HRD (presente o assente); tuttavia, questo aumento non è risultato statisticamente significativo. Inoltre, i tassi di OS a 5 anni sono risultati del 47,3% con l’aggiunta di olaparib a bevacizumab contro 41,5% con il solo bevacizumab.
Nel sottogruppo di pazienti HRD-positive, tuttavia, l’aggiunta di olaparib alla terapia di mantenimento con bevacizumab ha offerto un miglioramento clinicamente significativo dell’OS. La mediana, infatti, è risultata di 75,2 mesi nel braccio sperimentale, trattato con il PARP-inibitore, a fronte di 57,3 mesi nel braccio placebo (HR 0,62; IC al 95% 0,45-0,85), con tassi di OS a 5 anni rispettivamente del 65,5% contro 48,4%.
Il beneficio dell’aggiunta di olaparib all’anti-angiogenico è stato riscontrato sia nel sottogruppo di pazienti HRD-positive che presentavano mutazioni di BRCA (OS a 5 anni rispettivamente del 73,2% contro 53,8%; HR 0,60; IC al 95%, 0,39-0,93) e in quello delle pazienti HRD-positive, ma senza mutazioni di BRCA (con BRCA wild-type) (OS a 5 anni, rispettivamente del 54,7% contro 44,2%; HR 0,71; IC al 95% 0,45-1,13). Invece, l’aggiunta del PARP-inibitore a bevacizumab non ha mostrato alcun beneficio nel sottogruppo di pazienti HRD-negative (OS a 5 anni rispettivamente del 32,3% contro 25,7%; HR,1,19; IC 95% 0,88-1,63).
Confermato il beneficio di PFS con l’aggiunta di olaparib a bevacizumab
Al congresso ESMO, la Ray-Coquard ha presentato anche dati aggiornati relativi alla PFS, che confermano il beneficio dell’aggiunta di olaparib a bevacizumab come mantenimento ai fini del controllo della malattia.
Nell’analisi primaria dello studio, dopo un follow-up mediano di 22,9 mesi, la PFS mediana era risultata di 22,1 mesi con olaparib più bevacizumab contro 16,6 mesi con il placebo più bevacizumab (HR, 0,59; IC al 95%,0,49-0,72; P < 0,001) nella popolazione ITT, mentre nel gruppo di pazienti HRD-positive, la PFS mediana era risultata rispettivamente di 37,2 mesi contro 17,7 mesi (HR,0,33; IC al 95% 0,25-0,45) nel sottogruppo di pazienti BRCA-mutate e, rispettivamente, 28,1 mesi contro 16,6 mesi (HR 0,43; IC al 95%, 0,28-0,66) in quello delle pazienti che senza mutazioni di BRCA.
Nell’analisi presentata a Parigi, nel gruppo di pazienti HRD-positive la PFS mediana è risultata di 46,8 mesi con olaparib più bevacizumab contro 17,6 mesi con il placebo più bevacizumab (HR, 0,41; IC 95%, 0,32-0,54), con tassi di PFS a 5 anni rispettivamente del 46,1% contro 19,2%.
Profilo di sicurezza di olaparib confermato
Nessuna sorpresa in questo aggiornamento dei dati per quanto riguarda l’aspetto della sicurezza. Anche prolungando il follow-up, infatti, il profilo di sicurezza e tollerabilità di olaparib è rimasto in linea con quanto emerso negli studi e nelle analisi precedenti, senza nuovi segnali.
Gli eventi avversi di particolare interesse hanno avuto un’incidenza trascurabile e simile nei due bracci dello studio. Le pazienti che hanno sviluppato una sindrome mielodisplastica/leucemia mieloide acuta/anemia aplastica sono state rispettivamente l’1,7% contro 2,2%, quelle in cui sono state rilevate nuove neoplasie maligne primarie rispettivamente il 4,1% contro 3,0% e quelle che hanno sviluppato una polmonite rispettivamente l’1,3% contro 0,7%.
«L’incidenza della sindrome mielodisplastica/leucemia mieloide acuta e di nuovi tumori maligni primari è rimasta bassa ed ben bilanciata nei due bracci», ha detto la Ray-Coquard.
Olaparib già approvato, ma serve la rimborsabilità del test HRD
Olaparib è approvato e disponibile in Italia come trattamento di mantenimento del carcinoma ovarico recidivato sensibile al platino e, in monoterapia o in combinazione con bevacizumab, per il trattamento di mantenimento in prima linea per le pazienti con carcinoma ovarico avanzato rispettivamente BRCA-mutate (sulla base dei risultati dello studio SOLO-1, di cui all’ESMO sono stati presentati i dati di sopravvivenza a 7 anni) o HRD-positive (sulla base dei risultati dello studio PAOLA-1).
Da qui si evince l’importanza di sottoporre le pazienti ai test che rilevano la presenza di queste alterazioni genetiche, per proporre a ciascuna paziente il trattamento più adatto al suo caso specifico.
«Il test del BRCA ormai viene eseguito praticamente in tutta Italia, soprattutto quello che si esegue sul sangue e rileva la presenza di mutazioni germinali di BRCA, quelle ereditabili, mentre quello che rileva le mutazioni somatiche, cioè quelle presenti solo nel tumore e non ereditabili, che si esegue sul tessuto, è un po’ meno diffuso. Diversa è la situazione del test dell’HRD», ha spiegato Colombo.
Finora, infatti, si è utilizzata una piattaforma commerciale, quella utilizzata anche negli studi clinici registrativi (Myriad MyChoice ®). Anche in Italia, tuttavia, si sta creando una rete di centri che stanno cercando di sviluppare un test accademico dell’HRD, sicuramente più economico, e in parallelo si stanno sviluppando anche piattaforme commerciali differenti, che si stanno dimostrando abbastanza equivalenti a quella ‘originaria’ dal punto di vista dei risultati.
«Il problema vero è che il test dell’HRD ancora non è rimborsato. Ed è un problema da risolvere, perché tutte le pazienti con tumore ovarico devono avere la possibilità di eseguire questo test fin dalla prima diagnosi, dal momento che stiamo parlando di un trattamento di prima linea. Occorre poter identificare la presenza di queste alterazioni genetiche fin da subito per poter stabilire quale sia il trattamento migliore per ciascuna paziente. Auspichiamo, quindi, che questo trattamento venga presto rimborsato», ha concluso Colombo.
Bibliografia
I.L. Ray-Coquard,, et al. Final overall survival (OS) results from the phase III PAOLA-1/ENGOT-ov25 trial evaluating maintenance olaparib (ola) plus bevacizumab (bev) in patients (pts) with newly diagnosed advanced ovarian cancer (AOC). Annals of Oncology (2022) 33 (suppl_7): S808-S869. 10.1016/annonc/annonc1089. leggi