Nuove speranze per il tumore al colon con deficit riparazione mismatch


In pazienti con carcinoma del colon con un deficit della riparazione dei mismatch del DNA (dMMR), nivolumab più ipilimumab ha dimostrato maggiore efficacia

Tumore al colon, mutazioni geniche nanosistema

In pazienti con carcinoma del colon con un deficit della riparazione dei mismatch del DNA (dMMR), un trattamento neoadiuvante con l’anti-PD-1 nivolumab più l’anti-CTLA-4 ipilimumab della durata di 4 settimane ha prodotto una risposta patologica maggiore (MPR) nel 95% dei casi, senza evidenze di tumore residuo, nello studio di fase 2 NICHE-2. I risultati del trial sono stati da poco presentati in uno dei simposi presidenziali, al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), a Parigi.

In pazienti con carcinoma del colon con un deficit della riparazione dei mismatch del DNA (dMMR), un trattamento neoadiuvante con l’anti-PD-1 nivolumab più l’anti-CTLA-4 ipilimumab della durata di 4 settimane ha prodotto una risposta patologica maggiore (MPR) nel 95% dei casi, senza evidenze di tumore residuo, nello studio di fase 2 NICHE-2. I risultati del trial sono stati da poco presentati in uno dei simposi presidenziali, al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), a Parigi.

«Questo dato è in netto contrasto con quelli precedenti, in base ai quali, nella stessa popolazione di pazienti, con la chemioterapia neoadiuvante si era ottenuto solo il 7% di risposte patologiche», ha detto Myriam Chalabi, del Netherlands Cancer Institute di Amsterdam, durante la sua presentazione.

Al dato della risposta patologica maggiore si aggiunge quello della risposta patologica completa (pCR), ottenuta dal 67% dei pazienti, nessuno dei quali aveva sviluppato una recidiva di malattia al momento della presentazione dei risultati. Inoltre, il trattamento è stato ben tollerato, con solo un 4% di eventi avversi immuno-correlati di grado 3/4.

Lo studio NICHE-2 e i suoi presupposti
L’efficacia dell’immunoterapia neoadiuvante nei pazienti con carcinoma del colon con dMMR è stata dimostrata per la prima volta nello studio NICHE-1 (NCT03026140), un trial esplorativo su 32 pazienti, pubblicato su Nature Medicine nel 2020, nel quale si è osservato un 100% di risposte patologiche, con un 60% di risposte patologiche complete. Questo studio ha dimostrato la fattibilità di questo approccio e aperto la strada per un trial più ampio.

Partendo da questi risultati, la Chalabi e i colleghi hanno dunque avviato lo studio multicentrico NICHE-2 (NL58483.031.16, EudraCT 016-002940-17), un trial non randomizzato, volto a valutare la combinazione nivolumab-ipilimumab in una più ampia popolazione di pazienti con carcinoma del colon con dMMR.

Complessivamente, 112 pazienti (popolazione Intent-To-Treat, ITT), sono stati trattati nel primo ciclo con 3 mg/kg di nivolumab più 1 mg/kg di ipilimumab e, 2 settimane dopo, nel secondo ciclo con nivolumab, seguito dall’intervento chirurgico entro 6 settimane dall’arruolamento nello studio.

Gli endpoint primari erano la sopravvivenza libera da malattia (DFS) a 3 anni e la sicurezza, mentre gli endpoint secondari includevano la risposta patologica maggiore e la risposta patologica completa. La valutazione della sicurezza e della fattibilità prevedevano l’esecuzione dell’intervento chirurgico nei tempi previsti, con non più di 2 settimane di ritardo nel 95% dei pazienti. Inoltre, per ritenere positivo lo studio è richiesta una DFS a 3 anni almeno del 93%.

Le caratteristiche dei pazienti
I pazienti arruolati avevano un adenocarcinoma del colon con dMMR, non metastatico e non trattato in precedenza, con malattia cT3 e/o con linfonodi positivi in base alla stadiazione radiologica. Inoltre, i pazienti non presentavano alcun sintomo clinico o sospetto radiologico di perforazione e nessun segno clinico di ostruzione, e non dovevano avere una malattia autoimmune attiva o patologie che richiedessero il trattamento con steroidi o immunosoppressori sistemici.

Al basale, nella popolazione ITT l’età mediana era di 60 anni (range: 20-82 anni) e poco più della metà dei pazienti (58%) era di sesso femminile. La maggior parte (87%) aveva un performance status ECOG pari a 0 e il 74% un tumore ad alto rischio (stadio III determinato radiologicamente). Inoltre, il 68% presentava il tumore a livello del colon destro, il 17% a livello del colon sinistro e il 15% a livello del colon traverso.

Tutti i pazienti dello studio sono stati operati, ottenendo margini di resezione senza residui di malattia. Inoltre, il 98% è stato sottoposto all’intervento chirurgico secondo i tempi previsti e ha raggiunto l’endpoint dello studio relativamente alla sicurezza.

Il tempo mediano intercorso tra la prima somministrazione dell’immunoterapia e la chirurgia è stato di 5,4 settimane.

Dopo l’intervento, si sono manifestati eventi avversi di qualsiasi grado correlati alla chirurgia nel 21% dei pazienti, nel 13% dei casi di grado 3 o superiore e nel 5% con perdite anastomotiche o infezioni della ferita.

Risposta patologica, maggiore e completa
La risposta patologica era definita come una presenza di cellule neoplastiche attive non superiore al 50% nella massa tumorale asportata, mentre la risposta patologica maggiore prevedeva una presenza non superiore al 10% e comprendeva anche tumori con una risposta patologica completa nel tumore primario, ma un residuo di cellule neoplastiche vitali nel linfonodo. Infine, la risposta patologica completa era definita come l’assenza di cellule cancerose vitali sia nel tumore primario sia nei linfonodi.

Nello studio, dei 107 pazienti valutati per l’efficacia, quasi tutti (il 99%) hanno mostrato una risposta patologica, nel 95% dei casi una risposta patologica maggiore, nel 67% dei casi completa e nel 4% dei casi parziale. Un solo paziente non ha raggiunto una risposta patologica mostrando un residuo di cellule neoplastiche vitali del 60% al momento della valutazione.

Dei 14 pazienti con linfonodi positivi dopo il trattamento, solo tre sono stati sottoposti alla chemioterapia adiuvante, (uno non responder, uno responder parziale e uno con risposta parziale maggiore), mentre cinque pazienti avevano più di 70 anni e quindi non erano candidabili alla chemioterapia e sei hanno rifiutato il trattamento con la chemioterapia adiuvante.

Con un follow-up mediano di 13,1 mesi (range: 1,4-57,4 mesi) non si è osservata alcuna recidiva di malattia.

Per 97 pazienti, inoltre, era disponibile l’informazione circa la presenza della sindrome di Lynch: 65 avevano un tumore con dMMR sporadico e 32 presentavano sindrome di Lynch. Nei pazienti con tumore sporadico si è osservato un tasso di risposta patologica completa del 58% e in quelli con sindrome di Lynch un tasso di risposta patologica completa del 78% (P = 0,056).

I dati di DFS a 3 anni non erano ancora maturi al momento della presentazione e sono attesi per il 2023.

Sicurezza accettabile
Globalmente, ha manifestato eventi avversi immuno-correlati di qualsiasi grado il 61% dei pazienti, ma in soli due casi questi eventi hanno ritardato l’intervento di oltre 2 settimane. Gli eventi avversi immuno-correlati più frequenti sono stati le reazioni durante l’infusione, la secchezza delle fauci, l’iper- o ipotiroidismo, l’affaticamento e i sintomi influenzali.

Solo il 4% dei pazienti ha manifestato eventi avversi di grado 3-4. Infatti, in quattro pazienti sono stati osservati cinque eventi avversi, tutti risolti: due pazienti hanno manifestato un aumento dell’amilasi e della lipasi, (asintomatico, risolto spontaneamente), uno ha sviluppato un’epatite e uno un rash cutaneo (trattati entrambi con prednisone), mentre un altro ha sviluppato una miosite (trattata con prednisone e micofenolato).

In conclusione
Nei prossimi studi su pazienti con tumore del colon con dMMR si dovrebbero prendere in considerazione approcci in grado di preservare l’organo, ha sottolineato Chalabi, a conclusione del suo intervento.

La valutazione della risposta radiologica, o di qualsiasi risposta, nei pazienti con carcinoma del colon è molto più difficile che non nel carcinoma rettale, per cui si dovrebbero valutare le misurazioni del DNA tumorale circolante (biopsia liquida) e nuove tecniche di imaging, che potrebbero aiutare a raggiungere l’obiettivo della preservazione dell’organo, ha aggiunto l’autrice.

«Credo che l’immunoterapia neoadiuvante abbia un grande potenziale per diventare lo standard di cura nei pazienti con tumore del colon con dMMR. Il futuro non è mai stato così luminoso per questa popolazione di pazienti e per questo esorto le aziende farmaceutiche a impegnarsi per la registrazione dell’immunoterapia neoadiuvante», ha concluso Chalabi.

Il commento dell’esperta
«Questi dati hanno il potenziale per cambiare il paradigma di trattamento», ha affermato Jenny Seligmann, dell’Università di Leeds, commentando i dati. «I risultati dello studio NICHE-2 evidenziano che per i pazienti con tumore del colon in stadio iniziale con dMMR, i programmi di trattamento futuri consisteranno quasi certamente nell’immunoterapia piuttosto che nella chemioterapia. Lo studio apre la possibilità che alcuni pazienti con cancro del colon iniziale con dMMR possano essere sottoposti a un approccio di osservazione prima dell’intervento».

A prescindere dal fatto che questi dati supportino l’uso dell’immunoterapia neoadiuvante come standard di cura nel carcinoma del colon iniziale, Seligmann ha affermato che è giustificata un po’ di cautela. «Lo studio NICHE-2 dimostra che somministrare per un breve periodo l’immunoterapia prima dell’asportazione di un tumore resecabile è fattibile, e ha un’efficacia spettacolare – con risposte patologiche ben diverse da quelle osservate nel cancro del colon negli ultimi 10 anni – e una tossicità accettabile. Tuttavia», ha continuato l’esperta, «prima che la pratica clinica possa cambiare, occorre chiarire diversi aspetti. In primo luogo, … è urgente la conferma di questi risultati in altri contesti. Inoltre, in attesa dei dati relativi alla DFS a 3 anni, l‘altro endpoint primario, sono necessari dati di follow up a più lungo termine per confermare i risultati iniziali».

Prospettive future
Sul fronte della ricerca futura, la Seligmann ha osservato che potrebbe non essere accettabile condurre uno studio in cui i pazienti affetti da tumore del colon iniziale con dMMR siano randomizzati al trattamento neoadiuvante con l’immunoterapia oppure la chemioterapia, soprattutto alla luce dei risultati dello studio FOxTROT, che ha chiaramente dimostrato l’assenza di benefici della chemioterapia neoadiuvante in questi pazienti.

«Tuttavia, è possibile che ipilimumab e nivolumab non siano necessari entrambi in tutti i casi e questo potrebbe essere un approccio più ragionevole», ha commentato l’oncologa.

Secondo l’esperta, un’altra considerazione importante sull’impiego dell’immunoterapia neoadiuvante riguarda la selezione dei pazienti. «Nel setting adiuvante, la selezione dei pazienti avviene in base alla patologia presente nel post-operatorio, mentre nel setting neoadiuvante le decisioni si basano sulla valutazione della Tac del tumore e sulla biopsia, e si sa che la valutazione radiologica dei linfonodi è particolarmente difficile nei tumori con dMMR» ha precisato la Seligmann.

Nell’attesa che siano disponibili i risultati definitivi dello studio NICHE-2, l’esperta ha suggerito di sviluppare quest’area di ricerca. Tuttavia, ha sottolineato, il setting neoadiuvante, rispetto a quello adiuvante o metastatico, ha un enorme vantaggio, in quanto la ricerca traslazionale ha il potenziale di identificare biomarcatori predittivi nei campioni pre e post-trattamento, così da selezionare i pazienti che necessitano dell’immunoterapia di combinazione.

Bibliografia

M. Chalabi, et al. Neoadjuvant immune checkpoint inhibition in locally advanced MMR-deficient colon cancer: The NICHE-2 study. Ann Oncol. 2022;33(suppl 7):S808-S869; doi:10.1016/annonc/annonc1089. Link