Tumori femminili: in 10 anni salvate 500mila donne in più


In Italia le donne vive dopo la diagnosi di tumore sono aumentate del 34% in 10 anni, da 1.433.058 nel 2010 a 1.922.086 nel 2020

Carcinoma ovarico avanzato e recidivato, BRCA-mutato: l'inibitore di PARP rucaparib ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da progressione

In Italia le donne vive dopo la diagnosi di tumore sono aumentate del 34% in 10 anni, da 1.433.058 nel 2010 a 1.922.086 nel 2020. Armi efficaci consentono di vivere sempre più a lungo, anche quando la malattia è scoperta in fase avanzata. Alle terapie si accompagnano i programmi di screening, che soprattutto nel carcinoma della mammella stanno evidenziando risultati importanti. In sei anni (2015-2021), fra le donne del nostro Paese, la mortalità per questa neoplasia è diminuita di quasi il 7%.

I passi avanti dell’innovazione terapeutica sono evidenti nel cancro dell’ovaio, dove non vi sono programmi di prevenzione secondaria disponibili ma i decessi sono calati del 9%. Servono però campagne mirate per tumori che stanno diventando sempre più femminili perché strettamente legati al fumo di sigaretta, come quelli della vescica e del polmone, che hanno fatto registrare un netto incremento dei decessi (+5,6% e +5%).

“Il numero sempre più alto di donne vive dopo la diagnosi di un tumore ‘tipico’ femminile ci dimostra quanto la ricerca abbia compiuto passi avanti importanti – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM –. Oggi sono disponibili terapie a bersaglio molecolare efficaci per neoplasie come il carcinoma mammario, che in Italia, solo nel 2020, ha colpito circa 55mila donne. Queste armi, efficaci anche nelle forme più aggressive come quelle triplo negative, hanno permesso una significativa diminuzione della mortalità. E la ricerca sta ridefinendo il trattamento per circa metà delle pazienti colpite da carcinoma mammario, cioè quelle con bassi livelli di espressione della proteina HER2”. “Ora è fondamentale sensibilizzare le donne, portarle a conoscenza di queste patologie e degli screening, quando presenti – continua il presidente Cinieri -. A luglio di quest’anno abbiamo lanciato la campagna di comunicazione ‘Neoplasiadonna’, proprio con l’intento di informare ed educare. Abbiamo realizzato una guida sulla prevenzione che è stata distribuita nelle maggiori città italiane, molte attività social, interviste e confronti con clinici e pazienti e incontri di sensibilizzazione one-to-one. Abbiamo in programma anche uno spot. Speriamo così di intervenire anche sul recupero dei ritardi negli screening causati dalla pandemia”.

“Oggi abbiamo a disposizione nuove terapie mirate per il carcinoma ovarico, anche per donne con diagnosi in fase avanzata, in grado di migliorare significativamente l’aspettativa di vita, riducendo rischio di progressione della malattia o morte – spiega Domenica Lorusso, Professore Associato di Ostetricia e Ginecologia e Responsabile Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli di Roma –. In Italia, oggi, quasi 50mila donne convivono con una diagnosi di tumore dell’ovaio e il 70% delle pazienti con malattia in stadio avanzato va incontro a recidiva entro due anni. Per loro abbiamo terapie di mantenimento in prima linea, in grado di ottenere remissioni a lungo termine. Sono molto importanti i dati aggiornati di due studi, PAOLA-1 e SOLO-1, presentati al recente Congresso europeo di oncologia medica (ESMO), con due pazienti su tre vive, a 5 e 7 anni, trattate con una terapia mirata, capostipite della classe dei PARP inibitori. Resta evidente l’importanza della diagnosi precoce. Uno dei problemi su cui dobbiamo concentrarci in questo momento sono le visite perse negli ultimi due anni a causa della pandemia. Temiamo che lo stop di questo biennio possa avere ripercussioni negative nell’immediato futuro. Le donne devono mettere in agenda una visita annuale dal ginecologo, se presentano fattori di rischio anche più spesso”.

“Oggi, grazie alla ricerca, un grande numero di neoplasie, caratterizzate un tempo da prognosi negative, può essere curato, come il tumore del polmone in fase avanzata – sottolinea Rossana Berardi, Ordinario di Oncologia all’Università Politecnica delle Marche, Direttrice della Clinica Oncologica, AOU Ospedali Riuniti di Ancona e membro del Direttivo Nazionale AIOM –. Per quelle che presentano situazioni più complesse, è spesso possibile invece una cronicizzazione: significa offrire speranza alle donne, che non devono essere spaventate dalla possibilità di una diagnosi a seguito della visita. Prima si identifica la malattia, maggiori sono le possibilità di cura. La campagna ‘Neoplasiadonna’ punta proprio in questa direzione: aumentare la conoscenza e la consapevolezza dell’importanza della diagnosi precoce nella popolazione femminile. Senza dimenticare gli stili di vita sani. Il tumore del polmone sta diventando una neoplasia sempre più rosa per la diffusione dell’abitudine del fumo di sigaretta in questa fascia della popolazione. È importante indirizzare messaggi di prevenzione mirate per salvare più vite”.

“Siamo orgogliosi di supportare la campagna ‘Neoplasiadonna’ – conclude Mirko Merletti, Vicepresidente Oncology AstraZeneca –. I grandi passi avanti compiuti dalla ricerca negli ultimi anni ci permettono di sperare concretamente in cure e cronicizzazione per molte neoplasie femminili. In particolare, per seno e ovaio i risultati sono molto promettenti, con ottime possibilità anche per le pazienti con mutazioni genetiche BRCA1 e 2. Per loro, in particolare, è importante impostare un percorso terapeutico adatto, che combini le nuove molecole a disposizione nel modo più efficace. L’importante diminuzione della mortalità per il cancro dell’ovaio ci dimostra che è possibile intervenire anche sulle neoplasie più difficili da diagnosticare a causa della mancanza degli screening”.