Da “cringe” a “fomo”: ecco le nuove parole del vocabolario della lingua italiana


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Secondo gli ultimi studi, la lingua italiana conta tra le 350mila e le 400mila parole. Per essere più precisi, la cifra è riferita ai “lessemi”, ovvero all’unità minima del lessico italiano e non già alle singole parole che – tenuto conto delle varie forme e declinazioni di ciascun vocabolo – arriverebbero a contare quasi due milioni di termini in totale. I lessemi più usati nel linguaggio di ogni giorno (ovvero quelli del vocabolario comune), inoltre, sono circa cinquemila. Ogni anno, questo numero cresce di decine di unità, per via dei “neologismi” che i linguisti e gli studiosi del settore introducono in maniera ufficiale (e dopo mesi di analisi e concertazioni) nei dizionari, aggiornando così una delle lingue neolatine più diffuse al mondo.

Si tratta per la maggior parte dei cosiddetti forestierismi (o termini presi in prestito da lingue straniere e italianizzati) e di vocaboli di uso gergale. Al primo gruppo appartengono i francesismi, gli inglesismi e gli spagnolismi (ma anche i grecismi, germanismi e arabismi) che, nei vari secoli e grazie agli influssi delle varie dominazioni delle regioni del nostro paese, hanno contribuito ad arricchire il vocabolario della lingua italiana. Del secondo gruppo, invece, fanno parte termini e parole che sono proprio di taluni settori della società moderna, come quello dei social network e della comunicazione.

Come detto, esistono decine e decine di neologismi. Tra quelli derivanti dalla lingua inglese oggi più usati troviamo il termine underdog, parola che solitamente viene applicata in ambito sportivo e, più in generale, in materia di competizioni, che per tale ragione ha avuto una discreta eco di recente anche sulle cronache nazionali in riferimento all’ultimo appuntamento elettorale del nostro paese.

lingua italiana

L’underdog, così come riferito dal mondo anglosassone, è il soggetto che parte svantaggiato in una determinata competizione (il cui esito rimane incerto sino alla sua conclusione). Ad esempio, nel gioco del poker, questa parola viene utilizzata anche al pari del più semplice “dog” (altro vocabolo inglese), termine con cui ci si riferisce a un punto o a una mano maggiormente sfavorita rispetto a un’altra.

Ancora. Rimanendo nella sfera del gioco del poker, un’altra parola presa in prestito dalla lingua inglese e usata – con diversi significati – in più ambiti della lingua italiana (dalla pallacanestro all’economia e fino all’informatica) è “backdoor”, in riferimento ad azioni compiute sottotraccia (o, appunto, backdoor).

Ma uno dei nuovi termini italiani sui quali più si è discusso negli ultimi tempi è “cringe(e il suo superlativo assoluto “cringissimo”). Si parla di cringe quando ci si riferisce a situazioni che creano imbarazzo. Il termine deriva dal gergo dei social media (Twitter nello specifico). Eppure, secondo gli studiosi dell’Accademia della Crusca che hanno “licenziato” (ovvero accettato) il termine nel 2020, cringe per la prima volta è apparso nella lingua italiana nel 2011 nel film commedia “La peggior settimana della mia vita” del regista Alessandro Genovesi.

Come detto, però, il neologismo in questione deve la sua fama a Twitter che, al pari dei più famosi social network, è spesso veicolo per l’introduzione nel linguaggio parlato di nuovi termini e parole. Come per il verbo “dissare”, adattamento italiano del verbo inglese “to dis” che vuol dire disprezzare o mancare di rispetto (to dis-respect). Dissare è un termine che da anni ormai è proprio del gergo dei protagonisti della musica trap e rap italiana. Sul web le ricerche di fatti o avvenimenti relativi a episodi di “dissing” tra gli artisti musicali del nostro paese sono in continua crescita, così come i video di battaglie verbali a distanza su YouTube e TikTok (due dei social media più in voga del momento) risultano tra i più cliccati.

Chiudiamo parlando di “metaverso”, parola in realtà molto vecchia (già presente nel linguaggio comune nel 1995) ma che è stata rilanciata con forza a partire dall’autunno del 2021, grazie alla rivoluzione portata avanti da Mark Zuckerberg che ha deciso di cambiare il nome della sua azienda principale da Facebook a Meta Platforms, in riferimento proprio ai “metaversi”, ovvero agli universi virtuali del futuro che contamineranno la nostra esistenza.