Giovani sempre più connessi ma non sanno usare il PC


Giovani sempre più online ma con l’avvento dei tablet e dei cellulari è tramontata l’esigenza di avere un PC a propria disposizione e anche la capacità di usarlo

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I regali tech sono tra i più gettonati, soprattutto tra i giovani. Il motivo è molto semplice: i nativi digitali italiani vivono perennemente con in cellulare in mano, creano video su TikTok, fanno stories su Instagram eppure, i nativi digitali, non sanno utilizzare il computer. Un esempio su tutti? Solamente in pochi sono in grado di utilizzare il programma Office e quando si chiede loro di lavorare su un foglio Ecxel, lo sguardo è lo stesso di chi ha appena visto atterrare un extraterrestre. Un paradosso, quello della “Generazione Google”, denunciato recentemente anche dal past president di Google Eric Schmidt: “I giovani italiani non conoscono l’informatica”.

“Qualche anno fa- spiega Tiziana Bassi, consulente e docente di informatica, che su l’argomento ha pubblicato il libro ‘Excel senza segreti: l’informatica per tutti per smettere finalmente di litigare con Excel’- avevo la convinzione che la formazione in campo informatico sarebbe diventata superflua. Con l’introduzione dello studio dell’informatica nelle scuole e con la naturale dimestichezza dei giovani all’utilizzo degli strumenti elettronici, mi sarei aspettata di trovare eserciti di persone con un’adeguata conoscenza dei programmi che si utilizzano in una situazione lavorativa. Mi sono ritrovata, invece, in una realtà completamente diversa”.

Eppure, fino a qualche decennio fa, era normale che i ragazzi avessero un computer in casa e, ovviamente, in qualche modo ci “smanettavano” sopra. Con l’avvento dei tablet e dei cellulari, che hanno l’indubbio vantaggio di essere portati tranquillamente con sé in qualsiasi momento, è un po’ tramontata l’esigenza avere un pc a propria disposizione. Il risultato è che messi di fronte a una situazione lavorativa in cui invece il computer è il quotidiano strumento di lavoro, ci si trova paradossalmente dinanzi a una diffusa situazione di “analfabetismo” informatico.

“Facendo alcune docenze a ragazzi di scuole professionali- prosegue la Bassi- mi sono resa conto che avevano una grande dimestichezza nell’utilizzo dei cellulari, sapevano navigare con scioltezza in rete, cercare informazioni, utilizzare i social o fare video ma la maggior parte di loro, messi davanti a un computer non aveva la stessa scioltezza. Ma non solo. Spesso mi sono sentita chiedere: ‘va bene se seguo il corso Excel con il tablet o con il telefono?’. Ma no che non va bene! Come fai a lavorare su un foglio elettronico utilizzando una tastiera virtuale che ti copre mezzo schermo? E come fai a utilizzare i comandi che richiedono l’utilizzo di un mouse?”.

Una problematica, questa, che ha ripercussioni soprattutto nell’ambito lavorativo. In effetti quando le aziende cercano personale, negli annunci specificano quasi sempre: “Si richiede una buona conoscenza dei programmi Office. Nei colloqui di lavoro- ammonisce la docente- vengono fatti eseguire anche dei test che comprovano il livello di competenza dei candidati. Insomma, TikTok contro Excel, Instagram contro Word, Facebook o Twitter contro Powe Point. A volte c’è proprio un abisso fra ciò in cui la maggior parte dei giovani è esperta e la richiesta di competenza da parte delle aziende”.

E gli adulti come sono messi? Gli annunci di lavoro riguardano anche loro. Nelle piccole, medie o grandi aziende, in effetti, Excel è uno strumento indispensabile che affianca e completa i servizi forniti dal programma gestionale. Rappresenta un valido ausilio per analizzare dati e fornire dati oggettivi che aiutano a identificare le strategie aziendali. Serve a ridurre gli sprechi di tempo e a velocizzare il lavoro.

“Quello che si aspetta un’azienda è avere dati, ottimizzare i tempi e la produttività. Ma questi sono i desideri degli imprenditori che invece sono costretti a convivere con una realtà ben diversa. Il livello di conoscenza dei collaboratori di un’impresa è decisamente basso. Gli impiegati, spesso, si affidano erroneamente al fai-da-te oppure a qualche nozione ‘rubacchiata’ dal collega smanettone che ne sa qualcosa in più. Una situazione che non aiuta le persone a soddisfare le loro esigenze e produce frustrazione perché si impiega molto tempo per fare quello che serve o, magari, non ci si riesce proprio”.

Secondo la professoressa Bassi, è proprio l’approccio a essere errato. “Quello che vedo è la trasposizione in formato elettronico delle stesse tabelle che si sarebbero impostate con carta e penna e questo è profondamente sbagliato perché richiede tantissimo lavoro manuale e altrettanto impegno, che sono letteralmente sprecati. E’ il ragionamento di partenza che va assolutamente resettato e reimpostato. Eppure superare questo problema sarebbe anche semplice: con un corso di formazione di un paio di giornate si imparano le tecniche che permettono di conoscere come ‘ragiona’ il programma, quali sono le caratteristiche che fanno risparmiare tempo e fatica, ad esempio come impostare correttamente un foglio di lavoro per fare in modo di sfruttare al meglio le potenzialità del programma, come fare a esaminare e ‘far parlare’ i dati dell’azienda. Insomma, quello che si deve essere chiaro a tutti è che deve essere Excel a lavorare per noi e non viceversa”.

Purtroppo, però, conclude la Bassi, “sono ancora troppo poche le aziende che capiscono che i soldi per la formazione non sono un costo ma un investimento e che il recupero di tempo ed efficienza, ripaga in larghissima misura il denaro impiegato. Senza contare il fatto che ci sono varie possibilità di fare corsi finanziati da vari fondi sia italiani e sia europei. Solo in questo modo possiamo colmare questo gap che riguarda tanto i nativi digitali quanto gli adulti”.