Molti consumatori affermano di assumere marijuana per alleviare il dolore: i principi attivi potrebbero essere potenzialmente utilizzati per compensare l’uso di oppioidi
Nonostante i decessi per overdose da oppioidi negli Stati Uniti continuino ad aumentare, per via del loro uso improprio sia da prescrizione che provenienti dal mercato illegale, negli stati in cui la marijuana è legalizzata le visite al pronto soccorso per il loro abuso sono diminuite di quasi l’8% e le prescrizioni sono leggermente inferiori.
Le sostanze chimiche prodotte dalla pianta della cannabis sono comunemente conosciute come cannabinoidi, tra i quali i più noti e presenti a concentrazioni maggiori sono il tetraidrocannabinolo (THC), il composto psicoattivo, e il cannabidiolo (CBD), con un prevalente effetto somatico.
Molti consumatori affermano di assumere marijuana per alleviare il dolore, suggerendo che i principi attivi potrebbero essere potenzialmente utilizzati per compensare l’uso di oppioidi come la morfina e l’ossicodone che sono comunemente usati nel trattamento del dolore. La disponibilità di un’alternativa più sicura degli antidolorifici oppioidi sarebbe un passo importante per contingentare l’epidemia di oppioidi in corso.
Tuttavia alcune ricerche suggeriscono che la cannabis potrebbe ridurre la necessità di oppioidi anche tramite un’azione diretta sui recettori per gli oppioidi presenti nell’organismo umano per produrre i suoi effetti antidolorifici. Benjamin Land, professore associato di farmacologia presso la School of Medicine della University of Washington, un neurofarmacologo che studia oppioidi e cannabinoidi in relazione al trattamento del dolore e all’abuso di sostanze, ha provato a fare maggiore chiarezza sulla questione.
Come funzionano gli oppioidi
Il corpo umano ha un sistema oppioide integrato che contribuisce a gestire il dolore. Gli oppioidi endogeni, come le endorfine, sono composti che vengono rilasciati in caso di stress, come un intenso esercizio fisico, oppure in risposta ad attività piacevoli come mangiare un buon pasto.
Ma gli esseri umani non sono gli unici organismi in grado di produrre queste sostanze. Nel 1800 è stata scoperta la morfina, un oppioide isolato dal papavero da oppio molto efficace nell’alleviare il dolore, e negli ultimi 150 anni sono stati sviluppati diversi oppioidi sintetici come l’idrocodone e la diidrocodeina.
Altri oppioidi come l’eroina e l’ossicodone sono molto simili alla morfina, ma con piccole differenze che ne influenzano la velocità con cui agiscono sul cervello. Il fentanil è l’oppioide sintetico più potente ed è responsabile dell’attuale ondata di overdose e decessi, soprattutto tra i giovani.
Gli oppioidi, siano essi prodotti naturalmente o sintetici, producono sollievo dal dolore legandosi a specifici recettori. Uno di questi, noto come recettore mu-oppioide, si trova sulle cellule nervose che trasmettono il segnale di dolore lungo il midollo spinale. Una volta attivato riduce la capacità della cellula di trasmettere informazioni sul dolore, che pertanto non viene percepito dal cervello.
Questi recettori si trovano anche nel cervello e l’interazione con un farmaco oppioide comporta il rilascio di dopamina, che provoca una piacevole sensazione ed è uno dei motivi alla base della dipendenza. La ricerca suggerisce che questi recettori guidano il sistema di ricompensa del cervello e promuovono un’ulteriore ricerca di oppiacei, portando a un possibile abuso.
I recettori degli oppioidi sono regolati dinamicamente, vale a dire che in breve tempo l’organismo si adatta e li disattiva, così che per alleviare il dolore necessita di dosi sempre più elevate di oppioide, un processo noto come tolleranza. La spinta a cercare sempre più ricompense, abbinata a una tolleranza che continua a crescere, può portare al sovradosaggio, motivo per cui gli oppioidi generalmente non rappresentano una soluzione a lungo termine per gestire il dolore.
Il potenziale di THC e CBD per il trattamento del dolore
Sia il THC che il CBD hanno dimostrato in numerosi studi di ridurre il dolore, anche se agiscono su recettori diversi per produrre questo effetto. Il THC si lega ai recettori dei cannabinoidi che si trovano nel sistema nervoso centrale, producendo una varietà di risposte tra cui l’euforia associata all’uso della cannabis e il sollievo dal dolore. Inoltre, si ritiene che il THC riduca l’infiammazione in un modo simile ai farmaci antinfiammatori come l’ibuprofene.
Al contrario, il CBD sembra legarsi a recettori diversi, molti dei quali possono svolgere un ruolo nella riduzione del dolore senza provocare gli effetti psicoattivi tipici del THC. Dal momento che i due cannabinoidi agiscono legandosi a recettori diversi, potrebbero essere più efficaci lavorando di concerto piuttosto che da soli, ma sono necessari ulteriori studi su modelli animali e umani.
Oltre che al loro uso combinato, i ricercatori stanno iniziando a esplorarne il possibile impiego insieme agli oppioidi per la gestione del dolore. Questi studi sono progettati per comprendere sia i benefici che i rischi, soprattutto il potenziale di dipendenza del co-trattamento, con la speranza che il THC o il CBD possano ridurre la quantità di oppioidi necessaria per un’azione potente sul dolore senza aumentare il rischio di dipendenza.
In ogni caso l’uso dei cannabinoidi in sostituzione degli oppioidi rimane una strategia promettente per il trattamento del dolore. La ricerca produrrà probabilmente nuovi dati sul potenziale terapeutico dei cannabinoidi per la gestione del dolore cronico e, dato che la legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti continua a diffondersi, è prevedibile che il suo uso in medicina aumenterà in modo esponenziale.