Il tumore della vescia è il quarto più diffuso dopo i 50 anni. Il 61% dei pazienti non ha mai segnalato sintomi al medico e solo il 52% sa che la causa principale è il fumo
Il 61% non è mai andato dal proprio medico per segnalare segni o sintomi come sangue nelle urine o bruciore durante la minzione. Il 34% non sa qual è lo specialista che si occupa di questa patologia, soltanto il 52% sa che la causa principale è il fumo mentre quasi il 50% è convinto che il principale fattore di rischio sia la predisposizione genetica. Sono alcuni dei dati emersi dal sondaggio condotto da Nume Plus nell’ambito del progetto U-Change su 1.000 persone dai 18 anni in su con l’obiettivo di capire quanto ne sanno i cittadini sul tumore della vescica.
Una fotografia che rende evidente come su questo tipo di tumore ci sia poca consapevolezza e conoscenza: se ne è parlato al V Congresso PaLiNUro (Pazienti Liberi dalle Neoplasie Uroteliali), che ha affrontato tematiche legate ad aspetti come la riabilitazione e la qualità della vita, ma anche le innovazioni terapeutiche e diagnostiche sulle quali ci sarà un confronto continuo tra pazienti e personale medico-scientifico.
Proprio con l’obiettivo di analizzare l’attuale modello di cura per il tumore della vescica, identificarne le criticità e disegnare un futuro modello di cura è nato il progetto U-Change ideato e realizzato da Nume Plus di Firenze con il contributo non condizionante di Astellas Pharma SpA cui hanno partecipato 21 esperti tra clinici (medici, società scientifiche, specialisti di settore in ambito oncologico ed urologico), pazienti (associazioni dei pazienti, caregivers, infermieri, giornalisti) e istituzioni (farmacisti ospedalieri, direttori di ASL e di strutture ospedaliere, economisti della sanità nazionale, regionale e locale). “Nell’ambito del progetto U-CHANGE – dichiara Sergio Bracarda, direttore Dipartimento di Oncologia e S.C. Oncologia Medica e Traslazionale Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni e Presidente SIUrO, Società Italiana di Uro-Oncologia – abbiamo dato vita ad una Consensus multidimensionale, con l’ambizioso obiettivo, per la prima volta, di mettere sullo stesso piano i diversi attori che intercettano il paziente colpito da carcinoma avanzato della vescica nelle varie tappe del suo viaggio: clinici, associazioni dei pazienti, caregivers, fisioterapisti, infermieri, giornalisti di settore, farmacisti ospedalieri, direttori di ASL e di strutture ospedaliere, economisti della sanità nazionale, regionale e locale. In questo modo, tutto il panel degli esperti ha esplorato le diverse dimensioni, discutendo e concordando sia le attuali limitazioni dei modelli di cura e sia le proposte di miglioramento per la costruzione di un futuro modello di cura ancora più efficace”.
Quello della vescica è il quarto tumore per incidenza dopo i 50 anni. In Italia nel 2021 questa neoplasia è stata diagnosticata in 25.500 persone e ha causato oltre 6.000 decessi. “Questo tumore – spiega il dottor Bracarda – si sviluppa inizialmente nel rivestimento interno della vescica (urotelio), ma può diffondersi alla parete muscolare che la circonda e raggiungere i linfonodi o altri organi come polmoni, fegato, ossa. Per questo motivo, una diagnosi tempestiva è fondamentale, perché influenza la sopravvivenza futura, così come l’approccio terapeutico che, a seconda dello stadio del tumore, prevede interventi anche combinati tra chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia”.
“È necessario promuovere delle efficaci campagne informative per aumentare il livello di conoscenza sia dei fattori di rischio che delle nuove possibilità terapeutiche – dichiara Edoardo Fiorini, presidente APS Associazione PaLiNUro. Il progetto U-Change conferma la necessità che Società Scientifiche e Associazioni Pazienti coinvolgano le Istituzioni e gli altri professionisti sanitari in campagne informative sull’importanza della diagnosi precoce, dei fattori di rischio e delle opportunità di terapie attraverso strumenti di comunicazione e target differenziati. Coniugi, partner e familiari sono spesso poco informati, addestrati e supportati nelle diverse fasi del percorso della malattia. E’ importante, quindi, fornirgli servizi di conoscenza della patologia, gruppi di ascolto, materiale educazionale”.
I PRINCIPALI RISULTATI DELLA SURVEY
Dieci le domande a cui hanno risposto online 1.000 partecipanti. L’88,6% sa che questo tumore colpisce la vescica (secondo il 4% riguarda la prostata e il 6,5% non lo sa). Tra il 60% dei partecipanti che hanno dichiarato di sapere qual è il medico che si occupa di questa neoplasia, il 62% ha indicato l’urologo, il 31,4% l’oncologo, il 6,8% l’andrologo e il 4% il ginecologo. C’è una buona consapevolezza dei primi segnali d’allarme per il tumore alla vescica: l’80% indica il sangue nelle urine (ematuria), il 35% bruciore e dolore durante la minzione, il 26% minzione frequente ma il 61% dichiara di non essersi mai recato dal proprio medico per uno di questi sintomi e chi ci è andato nel 17% dei casi ha ricevuto la prescrizione di un antibiotico generico (17%), di analisi del sangue (13%) o di bere due litri di acqua al giorno (12%).
Il 52% sa che il fumo di sigaretta è il fattore di rischio più importante del tumore alla vescica, ma c’è anche un 50% che ritiene responsabile la familiarità e il 20% che non lo sa: “Il fumo di sigaretta – chiarisce il dottor Bracarda – è da solo responsabile del 50% circa dei tumori della vescica, ma ci sono anche altri fattori di rischio come quello professionale, per esempio l’esposizione a coloranti, responsabile di un altro 5-6% dei casi, e la dieta in cui sembra chiamato in causa l’alcol. Tra i cancerogeni ambientali vanno ricordate la presenza di arsenico nell’acqua potabile, le amine aromatiche e i pesticidi agricoli”.
La Survey ha indagato anche sulle fonti di informazioni: il 44,4% si informa su questo tipo di tumore consultando siti online o social media con il rischio di imbattersi in fake-news. Alla domanda su quali siano le conseguenze più impattanti del tumore alla vescica, il 64% risponde l’incontinenza, il 56% la disabilità lavorativa e una ridotta qualità di vita e il 35% difficoltà sessuali. Poche le conoscenze dei partecipanti sulle possibilità di cura e di una diagnosi precoce.
“Grazie all’innovativo Progetto U-CHANGE per la prima volta per una patologia oncologica così drammatica come il tumore uroteliale avanzato, è stato possibile fare una messa a punto a 360 gradi su tutti i numerosi aspetti che riguardano i vari attori coinvolti”, commenta Emanuela Omodeo Salé, Direttore di Farmacia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e responsabile scientifico della Società Italiana di Farmacia ospedaliera (SIFO). Oggi anche il farmacista ospedaliero è sempre più coinvolto con i farmaci oncologici, perché può dare un supporto concreto al clinico ed al decisore, sulle modalità di migliore acquisizione, preparazione e dispensazione delle terapie nel setting intraospedaliero e nella fase successiva dalla dimissione in poi”.
Per l’originalità e la completezza di questo approccio, il progetto U-Change ha ricevuto il patrocinio di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), SIUrO (Società Italiana di Uro-Oncologia), SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie), FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e PaLiNUro (Pazienti Liberi dalle Neoplasie Uroteliali).
Il Progetto U-CHANGE è stato possibile grazie ad un contributo non condizionante di Astellas Pharma SpA. Durante questo incontro, Giuseppe Maduri, Amministratore Delegato dell’azienda, ha commentato: “Astellas è impegnata da molto tempo contro i tumori Uro-Genitali. Nell’ultimo decennio, Astellas ha adottato un approccio focalizzato sulla combinazione di una profonda comprensione della biologia delle malattie, in modo particolare i tumori difficili da trattare e dove ancora sono disponibili poche opzioni terapeutiche, con piattaforme tecnologiche e modalità di trattamento versatili, per sviluppare nuove terapie che possano prolungare la sopravvivenza e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Inoltre, crediamo fortemente nel valore della collaborazione pubblico-privato e nell’importanza dell’approccio multidisciplinare per identificare nuovi modelli di cura o rendere più efficienti quelli esistenti e, il progetto U-Change rappresenta uno strumento concreto per migliorare la presa in carico del paziente, standardizzare le procedure ed ottimizzare le risorse disponibili”.