Epatite delta: da AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) e Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) indicazioni per diagnosi e gestione della malattia
Al XXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) è stato presentato un documento pratico frutto della collaborazione tra AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) e la stessa SIMIT con valenza sia per tutti i clinici che gestiscono i malati con epatite da virus delta (HDV) sia organizzativa a livello locale e regionale, al fine di identificare i centri che devono gestire i pazienti e il tipo di legame che devono avere con i centri trapianti per i malati più gravi.
Si tratta di un documento dinamico, che verrà aggiornato periodicamente per recepire i cambiamenti in funzione dell’approvazione di nuove terapie, focalizzato principalmente su:
- organizzazione dei centri patologici
- diagnosi e monitoraggio dell’infezione cronica da HDV
- come caratterizzare e stadiare la malattia
- terapia antivirale
L’epatite più grave in termini di velocità di progressione verso la cirrosi
La realizzazione del documento è stata motivata dal fatto che l’epatite delta è un problema sanitario significativo associato a una malattia grave. Scoperto nel 1977, l’HDV è uno dei virus più piccoli in natura e richiede la presenza dell’antigene “s” del virus dell’epatite B (HBsAg) per poter infettare le cellule. Ha la particolarità di utilizzare la polimerasi dell’ospite e presenta pochi target su cui intervenire per bloccarne la replicazione.
Si stima che circa il 5% dei pazienti affetti da HBV e lo 0,5% della popolazione mondiale sia portatore dell’epatite delta, per un totale di 12 milioni di portatori, con alcune aree a endemia molto elevata, come Mongolia, Iran e alcune zone dell’est Europa e del Sud America.
Il recente studio Polaris ha stimato per l’Italia 315mila soggetti affetti da epatite B nel 2020, 11.400 dei quali con concomitante infezione delta.
Circolando solo in pazienti con epatite da HBV, vi sono due modalità di possibile infezione:
- coinfezione acuta HBV/HDV, associata a un’elevata percentuale di ricovero (90%) e a un 5% di forme molto severe che possono cronicizzare (con possibilità di evolvere in cirrosi o epatocarcinoma) o portare all’epatite fulminante
- sovrainfezione in pazienti con epatite B cronica, con sviluppo di epatite acuta delta che nel 90% dei casi cronicizza (con possibilità di evolvere in cirrosi o epatocarcinoma) e nel restante 10% si risolve spontaneamente.
L’epatite delta è la forma più grave di epatite conosciuta in termini di velocità di progressione verso la cirrosi in assenza di trattamento (70% entro 5-10 anni) e le sue complicanze, con probabilità quasi 6 volte superiori rispetto all’epatite B (20% entro 5 anni) e ancora più elevate nei confronti dell’epatite C (10-20% entro 20 anni), con un conseguente rischio molto più alto di mortalità.
Nonostante l’elevata gravità della malattia, a causa dell’ancora bassa sensibilità della classe medica, il tasso di diagnosi è ridotto, con basse percentuali di test per HDV in pazienti con epatite B anche in Italia. Un dato recente presentato al congresso dell’American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) mostra un dato complessivo inferiore al 20% nei veterani statunitensi, con valori più bassi (persino solo del 9%) influenzati dall’etnia e dall’età del malato.
Raccomandazioni per la diagnosi
Sulla base delle raccomandazioni europee e il parere di esperti, il documento AISF/SIMIT HDV raccomanda:
- Tutti i soggetti HBsAg positivi devono essere testati per gli anticorpi anti-HDV almeno una volta nel corso della loro storia clinica
- In caso di positività vanno eseguite la rilevazione e la quantificazione dell’HDV-RNA sierico. Per il dosaggio quantitativo si raccomanda l’utilizzo dei test approvati commercialmente disponibili, ben validati e di alta sensibilità
- In caso di positività anti-HDV l’eventuale negatività HDV-RNA (che può indicare un paziente che ha avuto una guarigione o un basso livello di replicazione virale) va interpreta con cautela, in particolare nei soggetti che provengono da paesi africani o asiatici dove circolano ceppi HDV peculiari che potrebbero portare a una falsa negatività del test (da effettuare nuovamente entro 1 anno)
- Si raccomanda una caratterizzazione completa del profilo virale dell’epatite B (HBsAg quantitativo, HBeAg/anti-HBe, HBV-DNA quantitativo per identificare la fase di malattia)
- Non si raccomanda di utilizzare il genotipo HDV o l’antigene HDV per scopi prognostici o diagnostici (utili solo ai fini di ricerca)
Raccomandazioni per la caratterizzazione
- Caratterizzazione virologica completa di HBV/HDV (HBsAg quantitativo, HBeAg/anti-HBe, HBV-DNA quantitativo, anti-HDV totali, HDV-RNA quantitativo) per definire il profilo replicativo dei due virus.
- Caratterizzazione clinica per definire lo stato di fibrosi, la prognosi, l’indicazione alla terapia antivirale, la sorveglianza per l’epatocarcinoma (HCC) e la gestione dell’ipertensione portale
- Il metodo di stiffness epatica (grado di elasticità) all’elastografia (FibroScan) non è completamente validato nell’HDV. In mancanza di dati più definitivi si raccomandano i cut off classici:
- < 8-10 KPa per escludere la presenza di fibrosi avanzata
- > 10-15 KPa per la diagnosi di fibrosi avanzata
Da rilevare che un piccolo studio ha mostrato che un valore di elastografia > 14 KPa in pazienti con HDV ha una specificità per la cirrosi epatica dell’86%
- Si raccomanda di iniziare la sorveglianza ecografica per l’epatocarcinoma in tutti i pazienti con segni clinici di cirrosi e in caso di elastografia > 12 KPa. Tutti i pazienti con elastografia > 20 KPa o conta piastrinica < 150.000/mm3 dovrebbero eseguire un’esofago-gastro-duodenoscopia (EGDS) per la ricerca di varici esofagee.
Raccomandazioni per il trattamento
- Per il trattamento antivirale si confermano le raccomandazioni del 2017 della Fondazione EASD, che prevedono:
- Il trattamento di prima scelta nei pazienti con coinfezione HDV/HBV e malattia epatica compensata è l’interferone peghilato alfa (PegIFNα) per almeno 48 settimane
- Nei pazienti con coinfezione HDV/HBV con replicazione HBV-DNA in corso andrebbe considerata la terapia con analoghi nucleosidici
- Il trattamento con PegIFNα può essere continuato indipendentemente dai profili di risposta biologica e clinica alla terapia in assenza di problemi di tollerabilità.
«Sulla base dei risultati dello studio HIDIT-I (2011) ci si aspetta che, con un anno di trattamento con PegIFNα, il 30% circa dei pazienti normalizzi le transaminasi e che il 20% circa raggiunga un endpoint di negatività HDV-RNA» ha fatto presente il relatore Alessio Alghemo, Professore Ordinario di Gastroenterologia Dipartimento di Scienze Biomediche Humanitas University Divisione di Medicina Interna ed Epatologia, Dipartimento di Gastroenterologia Humanitas Research Hospital. «Lo studio mostra anche che, nel corso di un follow-up a 10 anni, circa la metà dei pazienti che appaiono responsivi al trattamento (in grado di ottenere la guarigione) va incontro a recidiva, quindi sostanzialmente risponde in maniera completa il 10-15% dei soggetti trattati, con tutta una serie di ben noti effetti collaterali».
Necessità urgente di approvazione di bulevirtide da parte di Aifa
Sono in sviluppo diversi nuove terapie, come lonafarnib o interferone lambda, ma un farmaco già approvato a livello europeo, bulevirtide, è importante che venga al più presto autorizzato e rimborsato anche in Italia, ha sottolineato Alghemo. Si tratta di un entry inhibitor, il primo di questa classe di molecole, che non agisce sulla replicazione del virus ma si lega al recettore NTCP, un trasportatore epatico dei sali biliari che funge da recettore fondamentale di ingresso di HBV/HDV, inattivandolo e impedendo in tal modo l’ingresso dei due virus negli epatociti.
Le capacità rigenerative del fegato consentiranno che le cellule epatiche infettate vengano sostituite da cellule naïve che saranno protette dall’infezione, portando potenzialmente alla guarigione. Il farmaco attualmente deve essere somministrato giornalmente tramite iniezioni sottocutanee, ma sono in studio formulazioni long-lasting o peghilate per una migliore compliance. È approvato dall’Ema da circa due anni per gli adulti con epatite cronica delta (CHD) compensata.
I dati di un’analisi cumulativa dei trial di fase II e III fino a un massimo di 2 anni di trattamento mostrano una sicurezza molto elevata, con effetti collaterali gravi decisamente inferiori a PegIFNα, e un’alta tollerabilità, dimostrata dall’assenza di interruzioni degli studi, accompagnata da un impatto positivo sulla qualità di vita.
In termini di efficacia i dati aggregati evidenziano un 15-20% di pazienti con HDV-RNA non rilevabile dopo un anno di trattamento, che sale al 60-70% se si considerano anche i soggetti con un declino di almeno 2 log10 dell’HDV-RNA rispetto al basale. Se si combinano questi risultati con la normalizzazione delle transaminasi, circa un paziente su due raggiunge il doppio endpoint.
Le raccomandazioni terapeutiche del documento AISF/SIMIT, oltre a PegIFNα e bulevirtide, prevedono anche l’impiego degli analoghi nucleosidici (NUC), in grado di bloccare la replicazione di HBV ma che non hanno effetto sulla HDV.
In considerazione della rapida progressione della CHD in assenza di trattamento, delle numerose controindicazioni e limitazioni della terapia con PegIFNα e della mancanza di altre terapie approvate, le richieste del panel sono:
- una rapida ripresa dell’uso compassionevole nominale gratuito di bulevirtide nei pazienti con CHD avanzata
- l’estensione del suo utilizzo in tutti i pazienti con cirrosi compensata (indipendentemente dalla presenza o meno di ipertensione portale clinicamente significativa, come da indicazioni attuali) e in tutti i pazienti con CHD con fibrosi epatica estesa e/o indici infiammatori elevati
- l’approvazione della domanda di rimborsabilità di bulevirtide da parte di Aifa
Gestione dei malati da parte dei centri epatologici
AISF/SIMIT ritengono che i pazienti con CHD debbano essere seguiti presso centri epatologici con esperienza documentata nella gestione dei soggetti affetti da epatite virale e con accesso alla diagnostica di secondo livello (test di laboratorio per HDV-RNA).
È fondamentale che questi centri abbiano uno stretto collegamento con i centri trapianto di fegato di riferimento a livello regionale per i referral dei pazienti con malattia da HDV scompensata o con epatocarcinoma.
Tutti i centri autorizzati a livello regionale a prescrivere antivirali diretti contro HCV (DAA) che presentano questa caratteristiche possono essere quindi considerati come il setting ideale per il referral e la gestione dei pazienti con CHD.