Obesità infantile: ecco la molecola che riduce il peso e regola il metabolismo. I risultati del trial clinico condotto da Roberto Berni Canani e Serena Coppola della Federico II
Nel rapporto Cosi (Childhood obesity surveillance initiative), redatto dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’Italia è seconda in Europa per obesità infantile con una tendenza geografica che vede nelle Regioni meridionali i livelli più elevati di eccesso ponderale. Tra queste, la Campania che continua a mostrare la più alta prevalenza di sovrappeso e obesità in età pediatrica (44.2%). E non è tutto: oltre il 70% dei bambini obesi rischia di rimanere tale anche in età adulta, con una aspettativa di vita che va dai 5 ai 20 anni in meno rispetto ai soggetti normopeso.
Numerose evidenze scientifiche suggeriscono l’importanza di una dieta sana, ricca di fibre vegetali, in grado di indurre, attraverso una regolazione di composizione e funzioni del microbioma intestinale, un effetto protettivo nei riguardi dello sviluppo di obesità. Ma un gruppo di ricercatori napoletani è andato oltre: ha aggiunto ad una dieta sana l’acido butirrico e ha scoperto che questa molecola ha il “potere” di facilitare la perdita di peso, ridurre il senso di fame e migliorare il metabolismo dei grassi e degli zuccheri.
Si tratta di un risultato raggiunto grazie ad un trial clinico volto a valutare gli effetti della somministrazione orale di acido butirrico in pazienti pediatrici affetti da obesità, disegnato da Roberto Berni Canani (direttore del laboratorio di Immunonutrizione del Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli e del centro di Allergologia pediatrica del Dipartimento di Scienze mediche traslazionali – Università degli Studi di Napoli Federico II), insieme a Serena Coppola, dottoranda di ricerca della Federico II. Lo studio, unico del genere realizzato in ambito pediatrico, è stato denominato ‘Bapo’ (Butyrate against pediatric obesity).
Bambini e adolescenti con diagnosi di obesità hanno ricevuto, oltre al trattamento standard, che comprendeva modifiche delle abitudini alimentari e dello stile di vita, una supplementazione orale di acido butirrico per 6 mesi. Al termine del periodo di studio, nei bambini trattati con acido butirrico è stato osservato un maggiore decremento ponderale associato ad un miglioramento del metabolismo degli zuccheri e dei grassi, degli indici di infiammazione e una riduzione della grelina, il principale ormone che regola il senso della fame.
Il gruppo del professor Berni Canani è da tempo impegnato in studi sul microbioma intestinale come possibile bersaglio di intervento per la prevenzione ed il trattamento delle principali patologie del bambino, in collaborazione con altri ricercatori della task force per gli Studi sul Microbioma dell’ateneo federiciano, diretta dal Professor Danilo Ercolini, direttore del Dipartimento di Agraria.
Precedenti studi pre-clinici, avevano indicato la potenziale importanza dell’utilizzo di un metabolita prodotto dal microbioma intestinale a partire dalla fermentazione delle fibre della dieta, denominato acido butirrico, per la prevenzione ed il trattamento dell’obesità. Era stato evidenziato, infatti, che un’alterazione del microbioma intestinale con ridotta produzione di acido butirrico favoriva l’insorgenza di obesità, mentre l’incremento della sua produzione o la sua somministrazione orale era in grado di prevenire o curare l’obesità in modelli sperimentali.
“I risultati ottenuti in questo studio da una parte confermano l’importanza di sane abitudini alimentari con adeguato consumo di fibre vegetali e scarso apporto di cibi ultraprocessati, come strategia essenziale per la prevenzione ed il trattamento dell’obesità in età pediatrica – spiega Berni Canani -, dall’altra forniscono una nuova strategia per la prevenzione ed il trattamento dell’obesità basata sulla supplementazione con acido butirrico, un composto naturale prodotto dalla flora batterica intestinale umana che può rappresentare uno spiraglio di luce contro il fenomeno in costante aumento di sovrappeso e obesità nei bambini”.
Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama Network Open, organo ufficiale dell’American medical association.