Tumore al seno: un anno di trattamento con l’inibitore di mTOR everolimus aggiunto alla terapia endocrina adiuvante non ha mostrato miglioramenti di sopravvivenza
Un anno di trattamento con l’inibitore di mTOR everolimus aggiunto alla terapia endocrina adiuvante non ha mostrato di migliorare in modo statisticamente significativo gli esiti delle pazienti con carcinoma mammario ad alto rischio, positivo ai recettori ormonali ed HER2-negativo (HR+/HER2-), sia in termini di sopravvivenza libera da malattia invasiva (IDFS) sia di sopravvivenza globale (OS). È quanto emerge dai risultati dello studio di fase 3 SWOG S1207, presentati al recente San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS).
Infatti, dopo un follow-up mediano di 55,2 mesi, nelle pazienti in vita non sono stati centrati né l’endpoint primario, rappresentato dalla IDFS (HR 0,94; IC al 95% 0,77-1,14; P = 0,52), né quello secondario, cioè l’OS (HR 0,97; IC al 95% 0,75-1,26; P = 0,84).
Tuttavia, secondo i risultati di un’analisi esplorativa, sembra che le pazienti in pre-menopausa possano trarre invece beneficio dall’aggiunta del trattamento con everolimus. Sulla base di questa analisi, le pazienti in pre-menopausa trattate con l’inibitore di mTOR hanno ottenuto un miglioramento statisticamente significativo sia dell’IDFS (HR 0,64; IC al 95% 0,44-0,94; P = 0,02) sia dell’OS (HR 0,49; IC al 95% 0,28-0,86; P = 0,012). Al contrario, il beneficio non è stato osservato nelle pazienti in post-menopausa, né in termini di IDFS (HR 1,08; IC al 95% 0,86-1,36; P = 0,52) né di OS (HR 1,19; IC al 95% 0,89-1,60; P = 0,25).
«Tra le pazienti in pre-menopausa, l’aggiunta di everolimus alla terapia endocrina ha migliorato l’IDFS e l’OS, il che porta a formulare delle ipotesi. I futuri studi traslazionali valuteranno i fattori potenzialmente predittivi del beneficio e della tossicità di everolimus», ha dichiarato l’autrice principale dello studio, Mariana Chavez-MacGregor, della University of Texas MD Anderson Cancer Center di Houston, in Texas, durante la presentazione dei dati.
Lo studio SWOG S1207 e le sue premesse
Lo sviluppo di resistenza alla terapia endocrina è associato a una regolazione alterata del pathway di PI3K/AKT/mTOR. È stato dimostrato, infatti, che l’aggiunta dell’inibitore di mTOR everolimus alla terapia endocrina migliora la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola ormonoterapia nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico HR+/HER2-.
Gli sperimentatori del South West Oncology Group (SWOG) hanno quindi condotto lo studio S1207 (NCT01674140), un trial randomizzato e controllato contro placebo, per valutare il ruolo di everolimus dopo l’intervento chirurgico in pazienti con carcinoma mammario HR+/HER2-.
I criteri di inclusione dello studio prevedevano un’età di almeno 18 anni e la presenza di un carcinoma mammario invasivo, ad alto rischio, HR+/HER2- istologicamente confermato, già trattato con una precedente chemioterapia.
Quattro gruppi di rischio
Le pazienti sono state stratificate sulla base di quattro gruppi di rischio.
Il primo, formato da 158 pazienti (9%) prevedeva un tumore di almeno 2 cm, con linfonodi negativi (o pN1mi), e un Recurrence Score (RS) del test genomico Oncotype DX di almeno 25 o l’appartenenza alla categoria ad alto rischio secondo il test genomico MammaPrint (MP elevato).
Il secondo gruppo di rischio includeva 213 pazienti (12%) con un numero di linfonodi positivi compreso tra uno e tre e RS superiore a 25 e MP elevato oppure un tumore di grado patologico 3.
Il terzo gruppo di rischio includeva 710 pazienti (40%) con almeno quattro linfonodi positivi.
Tutte le pazienti incluse nei primi gruppi non erano state trattate con chemio prima della rimozione chirurgica.
Il quarto e ultimo gruppo di rischio includeva 711 pazienti (40%) trattate con la chemio neoadiuvante e che presentavano malattia residua in almeno un linfonodo.
Le pazienti, dopo il trattamento con la chemio e la radioterapia adiuvante, sono state assegnate secondo un rapporto di randomizzazione 1:1 al trattamento con una terapia endocrina scelta dal medico più everolimus 10 mg/die per via orale (971) per un anno, oppure una terapia endocrina più un placebo (968) per un anno. Nell’analisi sono stati inclusi i risultati relativi a 896 pazienti per ciascun braccio.
Gli endpoint secondari includevano anche la sicurezza e la valutazione dell’efficacia per ogni gruppo di rischio.
Più interruzioni con everolimus
Complessivamente, al basale le pazienti arruolate avevano un’età mediana di 54 anni (range: 22-86), la maggior parte era bianca (85%) e in post-menopausa (68%). Secondo il protocollo, l’inizio della menopausa era definito in base a un anamnesi di ooforectomia bilaterale o all’ultimo periodo mestruale superiore a 12 mesi senza alcuna storia di isterectomia.
Le pazienti nel braccio di everolimus hanno completato la terapia in numero minore rispetto a quelle del braccio placebo. In particolare, ha completato il trattamento come previsto dal protocollo quasi la metà (il 48%) delle pazienti trattate con everolimus, mentre il 37% ha interrotto il trattamento a causa di un evento avverso. Nel braccio placebo, invece, ha completato il trattamento il 73% delle pazienti e solo il 10% lo ha interrotto a causa di un evento avverso.
D’altro canto, secondo gli sperimentatori, è stata riscontrata progressione o recidiva di malattia nel 2% delle pazienti (21) del braccio con everolimus contro il 5% delle pazienti (43) del braccio placebo, mentre è stato registrato un decesso in ogni braccio. Infine, il trattamento è stato interrotto per motivi diversi dalla tossicità nel 9% delle pazienti in entrambi i bracci.
Tassi di IDFS e OS a 5 anni simili
Gli sperimentatori hanno stimato un tasso di IDFS a 5 anni del 74,9% con everolimus e del 74,4% con placebo, mentre i tassi di OS stimati a 5 anni sono risultati rispettivamente dell’88,1% e 85,8%.
«Nel forest plot dell’analisi per sottogruppi dell’IDFS, non abbiamo osservato differenze in base alla categoria di alto rischio o alla terapia endocrina ricevuta inizialmente in base al braccio di trattamento. Allo stesso modo, anche l’analisi dell’OS nei sottogruppi non ha mostrato nessuna differenza a seconda del braccio di trattamento in base al gruppo di rischio o al trattamento assegnato», ha dichiarato MacGregor.
Meglio in pre-menopausa
Gli sperimentatori hanno condotto anche un’analisi esplorativa per valutare l’influenza dello stato menopausale sugli outcome. In pratica, nella popolazione in post-menopausa i tassi stimati di IDFS e OS a 5 anni sono risultati simili nei due bracci di trattamento (tasso di IDFS: 72,0% contro 74,3%; tasso di OS: 84,6% contro 85,7%). Al contrario, nella popolazione in pre-menopausa il trattamento con everolimus è risultato associato a un miglioramento statisticamente significativo dei due parametri. Infatti, i tassi di IDFS sono risultati rispettivamente dell’81,0% e del 74,7% (HR 1,67; IC al 95% 1,07-2,60; P = 0,0241) e quelli di OS rispettivamente del 95,7% e 86,0% (HR 2,41; IC al 95% 1,27-4,57; P = 0,0072).
Sicurezza confermata
Nello studio non sono emersi nuovi segnali relativi alla sicurezza di everolimus.
In pratica, eventi avversi correlati al trattamento di grado 3/4 sono stati registrati nel 35% delle pazienti del braccio everolimus contro il 7% del braccio placebo. Tra questi, l’evento avverso più frequente è risultato la mucosite orale (7% contro 0%), seguita da linfopenia (4% contro 1%), ipertrigliceridemia (4% contro 0%), iperglicemia (4% contro 0%), affaticamento (3% contro 1%), neutropenia (3% contro 0%), leucopenia (2% contro 0%), ipertensione (2% contro 1%), diarrea (1% contro 0%), anemia (1% contro 0%), ipercolesterolemia (1% contro 0%) e infezioni cutanee (1% contro 0%).
Bibliografia
M. Chavez-MacGregor, et al. Results from a phase III randomized, placebo-controlled clinical trial evaluating adjuvant endocrine therapy +/- 1 year of everolimus in patients with high-risk hormone receptor-positive, HER2-negative breast cancer: SWOG S1207. SABCS 2022; abstract GS1-07. Link