Arterite a cellule giganti: l’importanza di biomarcatori infiammatori


Biomarcatori ematici di infiammazione utili non solo nel predire l’insorgenza clinica di arterite a cellule giganti, ma anche nel personalizzare meglio la terapia

Arterite a cellule giganti, salute

La valutazione dei livelli di alcuni biomarcatori ematici di infiammazione potrebbe rivelarsi utile non solo nel predire l’insorgenza clinica di arterite a cellule giganti, ma anche nel personalizzare meglio la terapia. Queste le considerazioni principali riportate in un editoriale redatto da ricercatori italiani (Università di Udine, Ospedale di Brunico e Università di Graz, Austria), pubblicato su Rheumatology (1), organo ufficiale della Società britannica di reumatologia, a commento di uno studio pubblicato sull’argomento nello stesso numero della rivista (2).

Importanza della diagnosi precoce dell’arterite a cellule giganti (GCA)
L’arterite a cellule giganti (GCA) rappresenta la vasculite che interessa vasi arteriosi di medio-ampio calibro più frequente nelle persone di età superiore ai 50 anni nel mondo occidentale, con una predisposizione particolare del sesso femminile alla malattia.

Una diagnosi precoce di questa condizione, associata all’instaurazione tempestiva del trattamento, può rallentare la riduzione irreversibile della vista in questi pazienti.
Alcuni fattori predittivi della GCA possono essere individuati molti anni prima dell’insorgenza di malattia. Tra questi abbiamo valori di glicemia, colesterolo e trigliceridi più bassi rispetto ai soggetti sani. Non solo: studi precedentemente condotti hanno mostrato che un basso indice di massa corporea, il fumo e molteplici fattori legati agli ormoni sono associati alla GCA.

È stato proposto che l’infiammazione della parete vasale sia innescata dai recettori toll-like (TLR) sulle cellule dendritiche nella tonaca avventizia. Dopo l’attivazione, sono stati identificati due diversi processi infiammatori, caratterizzati dalla produzione di citochine diverse. L’asse IL-6/IL-17, che guida la differenziazione delle cellule Th17, è importante per l’infiammazione vascolare acuta e precoce nella GCA. Il secondo processo, ritenuto importante per la vasculite cronica, è l’asse IL-12/IFN-γ, che promuove la differenziazione in cellule Th1 che producono IFN-γ.

Gli estensori dell’editoriale ricordano come sia stata ipotizzata l’esistenza di due vie patogenetiche nella patogenesi della GCA: l’asse IL-6-STAT3-Th17, importante nell’infiammazione vascolare acuta e precoce [sensibile ai glucocorticoidi (GC)], e l’asse IL-12-STAT-4-Th1-IFN-γ, responsabile della persistenza dell’infiammazione cronica. Le cellule Th1 producono a loro volta IFN-γ, favorendo la ricomparsa delle manifestazioni sistemiche e vascolari della GCA, soprattutto quando i GC sono ridotti.

Nello studio di Wadstrom et al. pubblicato sullo stesso numero dell’editoriale firmato dai ricercatori italiani, sono stati documentati livelli elevati di IFN-γ e di proteina chemiotattica dei monociti 3 (MCP3) anni prima dell’insorgenza della GCA (con livelli crescenti fino all’insorgenza della GCA). Sorprendentemente, invece, non sono stati rilevati livelli alterati di IL-6.

A tal proposito, anche se è noto che l’IL-6 è un bersaglio efficace della malattia sulla base di modelli sperimentali e di uno studio clinico di fase 3, sembra essere solo l’asse IL-12-IFN-γ, ma non l’asse IL-6-Th17, ad avere un ruolo nello sviluppo della malattia. Di qui l’ ipotesi dell’esistenza di una relazione gerarchica tra queste due vie nella GCA, con l’IL-12-IFN-γ a monte dell’asse IL-6-Th17.

Ruolo della predisposizione genetica/epigenetica alla malattia
E’ opinione comune tra gli esperti nel campo che la presenza di un agente infettivo possa attivare le cellule dendritiche avventizie (DC) e innescare i processi immunologici che portano allo sviluppo della vasculite. Tuttavia, questa ipotesi non è mai stata completamente chiarita, soprattutto perché non è stato identificato un agente patogeno specifico in grado di dar luogo a quanto detto sopra.

È molto probabile, invece, che il fattore cruciale patogenetico non dipenda dalla tipologia del “segnale” di pericolo (che potrebbe essere tanto un agente infettivo quanto un’altra molecola coinvolta nei pattern molecolari legati al danno), ma dalla semplice attivazione delle DC in base all’esistenza di una predisposizione genetica che favorisce l’attivazione di una reazione immunologica a catena che porta all’insorgenza della vasculite e alla sua persistenza a causa di difetti nella regolazione di un sistema immunitario invecchiato.

Non solo: alcuni studi hanno ipotizzato l’esistenza di una relazione dinamica tra la predisposizione genetica e alcuni fattori ambientali attraverso l’epigenetica (es: variazioni di espressione genica mediante metilazione del DNA, modificazione degli istoni e microRNA).

L’epigenetica, inoltre, è anche strettamente correlata all’invecchiamento e l’invecchiamento delle cellule T è un fattore predisponente per l’insorgenza di malattie infiammatorie croniche, tra cui la GCA. Infatti, i livelli di DNA metiltransferasi 1 (DNMT1), l’enzima coinvolto nel mantenimento della metilazione del DNA durante la divisione cellulare, si riducono con l’età nelle cellule T, dando luogo a profili di metilazione aberranti. Ciò può portare a processi disfunzionali e al possibile sviluppo di autoimmunità a causa dell’espansione di cellule T patogene che mostrano un fenotipo associato all’invecchiamento delle cellule T, insieme a proprietà pro-infiammatorie e favorenti l’invasività tissutale.

Ripercussioni sulla terapia e considerazioni conclusive
Le conoscenze sui biomarcatori predittivi di malattia e sul ruolo della genetica e dell’epigenetica nell’insorgenza di GCA hanno portato allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici per la malattia.
Mavrilimumab, ad esempio, bloccando il GM-CSF, riduce l’espressione dei marcatori di DC, delle cellule T e dei macrofagi, oltre a diminuire la trascrizione di geni associati alle risposte immunitarie Th1 e Th17 (ad esempio IFN-γ e IL-6). Analogamente, i Jak inibitori, spegnendo i meccanismi di amplificazione dell’infiammazione, colpiscono efficacemente sia le cellule Th1 che le cellule Th17, coinvolte, rispettivamente, nelle due vie patogenetiche nella patogenesi della GCA sopra ricordate (a tal proposito i dati di uno studio proof-of-concept di fase 2 hanno suggerito la possibilità d’impiego di baricitinib nella GCA).

Sono ancora in corso, invece, alcuni studi clinici che stanno valutando le possibilità d’impiego di secukinumab e di guselkumab per colpire, rispettivamente, le risposte immunitarie legate a Th-17 (cellule che secernono IL-17) e a IL-23.

In conclusione, la ricerca di nuovi agenti terapeutici per la GCA non può prescindere dalla ricerca di biomarcatori  in grado di rendere possibile la stratificazione della malattia in base alla luce dei diversi meccanismi immunologici coinvolti e, dunque, la personalizzazione del trattamento. Inoltre, la conoscenza dei fattori di rischio modificabili per lo sviluppo della GCA potrebbe rivelarsi utile per identificare gli individui predisposti ad andare incontro alla malattia, riducendo gli oneri ad essa associati.

Bibliografia
1) Quartuccio L et al. The pre-clinical phase of giant cell arteritis: new clues in the pathogenesis of giant cell arteritis supporting emerging targets. Rheumatology (Oxford). 2022 Dec 14:keac697. doi: 10.1093/rheumatology/keac697. Epub ahead of print. PMID: 36515464.
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2) Wadström K et al. Analyses of plasma inflammatory proteins reveal biomarkers predictive of subsequent development of giant cell arteritis: a prospective study. Rheumatology (Oxford)
2022;keac581
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