Il pancreas artificiale diventa finalmente una opzione di cura anche per il diabete di tipo 2: parla Paolo Di Bartolo, Presidente di Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi)
“Buone le notizie che arrivano da Oltremanica: il pancreas artificiale diventa finalmente una opzione di cura anche per il diabete di tipo 2” dichiara Paolo Di Bartolo, Presidente di Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi), commentando i risultati dello studio britannico pubblicato su Nature Medicine che descrivono l’innovativo sistema ad ansa chiusa composto da un sensore per la misurazione in continuo del glucosio e una micro-pompa per l’infusione continua di insulina che grazie ad una App è in grado di aggiustare in automatico le quantità di insulina infusa in funzione dei valori del glucosio mantenendoli nei target desiderati e minimizzando il tempo trascorso in ipo e iperglicemia.
“I dati condivisi dai colleghi del gruppo di Cambridge fanno riferimento ad una tecnologia che già aveva dimostrato la propria efficacia nel diabete di tipo 1 e nelle persone con diabete di tipo 2 in dialisi. Questo nuovo studio ha valutato il sistema CamAps Hx in una specifica sottopopolazione di persone con diabete tipo 2, per le quali questo dispositivo potrebbe rappresentare, in futuro, una possibile proposta terapeutica”. Lo studio fa riferimento a persone con diabete di tipo 2 con un’età di circa 59 anni, una lunga durata di malattia ed un diabete non in controllo ottimale, già avviati a terapia insulinica intensiva da circa 8 anni. “Una categoria di pazienti” specifica Di Bartolo, “che la comunità diabetologica prevede e auspica possa ridursi sensibilmente in ragione di un sempre maggiore ricorso alle terapie più innovative oggi disponibili che hanno dimostrato efficacia sia nel miglioramento del controllo glicemico, sia nella riduzione del rischio cardio-renale”.
“La soluzione messa a punto nel Regno Unito potrebbe rappresentare un valido alleato per lo specialista in alcune situazioni cliniche, oltre ai pazienti arruolati nello studio immaginiamo ad esempio all’esordio in pazienti molto scompensati, ma potrebbe rappresentare anche uno strumento per il superamento dell’inerzia terapeutica nella titolazione della terapia insulinica e la riduzione dei rischi di ipoglicemia che sono elevati in corso di terapia insulinica e spesso rappresentano una barriera alla piena aderenza del paziente alla terapia prescritta. Restano da verificare – conclude Di Bartolo – la sostenibilità economica di tali soluzioni, in Italia sono oltre 600.000 i pazienti in terapia insulinica, e l’attitudine nelle diverse fasce di età delle persone con paziente con diabete di tipo 2 all’impiego di tali tecnologie, in Italia solo il 11 % di tale popolazione ha una età inferiore ai 55 anni”.