Cherofobia, la paura della felicità. Come riconoscerla e imparare a gestirla con i consigli del servizio di psicologia online Unobravo
Si può aver paura di essere felici? Sembra paradossale, eppure sì. Questa paura esiste e porta il nome di cherofobia, un timore irrazionale che fa sì che chi ne soffre nutra un’avversione patologica verso tutte quelle emozioni comunemente considerate positive.
Cherofobia: cos’è e come nasce il termine?
Il concetto di cherofobia è diventato familiare ai più grazie alla cantante Martina Attili che, nel 2018, si è presentata ai provini di X Factor con un brano dal titolo omonimo. “Questa è la mia cherofobia, fa paura la felicità…”, cantava la Attili, raccontando le emozioni di una ragazza che prova timore verso l’essere felice.
Il termine ha etimologia greca e deriva da kairós “ciò che rallegra” e fóbos “paura”, letteralmente è quindi “la paura di essere felici”. Al di là del significato meramente letterale, si tratta, in sostanza, di una tendenza a evitare le circostanze positive e le emozioni che ne conseguono.
Sebbene non sia inserita nell’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), la principale risorsa per la diagnosi delle patologie di salute mentale, in psicologia la cherofobia è definita come una forma d’ansia anticipatoria che preclude di raggiungere la felicità.
La Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online e Società Benefit Unobravo, descrive così la cherofobia: “Non si tratta di una patologia diagnosticata, ma di una forma di ansia anticipatoria che nasce dalla paura che la serenità possa in qualche modo renderci vulnerabili. Dietro questa fobia c’è, infatti, la convinzione che la felicità sia uno stato volatile e passeggero e che a un momento gioioso debbano necessariamente seguire disgrazie, traumi o eventi negativi. Chi soffre di cherofobia prova un’angoscia profonda dovuta al timore di ciò che gli accadrà dopo aver raggiunto un traguardo o vissuto un’esperienza positiva. Vedendo la felicità come una minaccia, il cherofobico attiva inconsciamente un meccanismo di difesa che, solitamente, si manifesta con l’autosabotaggio e l’evitamento di qualsiasi tipo di situazione che potrebbe generare contentezza, divertimento o euforia”.
“Si potrebbe erroneamente confondere la cherofobia con la depressione. In realtà, il soggetto cherofobico, è proprio di soffrire e di essere infelice che ha paura. Teme infatti che la felicità, una volta raggiunta, possa svanire lasciandolo solo e impreparato davanti al vuoto e alla sofferenza. È proprio per questo che pratica un’attiva evasione delle emozioni positive. Se, da un lato, questo atteggiamento può aiutarlo a prevenire eventuali delusioni, dall’altro lo porta però a precludersi qualsiasi opportunità di vivere una vita felice”, ha aggiunto la Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris.
“Felicità? No grazie”. Come si manifesta la cherofobia.
Come sapere se si è affetti da cherofobia? Ad oggi i professionisti della salute mentale hanno individuato un corpus di sintomi e atteggiamenti comuni a molti cherofobici quali, per esempio, la tendenza a evitare opportunità che potrebbero condurre a cambiamenti di vita positivi o il rifiuto di prendere parte ad attività divertenti. Chi soffre di cherofobia prova, inoltre, ansia se invitato a partecipare a un’occasione sociale. La felicità è poi spesso percepita dal cherofobico come un “frutto proibito”, qualcosa da non mostrare agli altri e per cui sentirsi in colpa, e a cui, sicuramente, seguirà una punizione. Il cherofobico crede anche che la felicità possa renderlo un individuo peggiore e non ben visto e ritiene che perseguirla sia una perdita di tempo e uno sforzo inutile.
Paura della felicità: da cosa ha origine?
Le cause della cherofobia possono risiedere in esperienze negative precedentemente vissute dal soggetto ed eventi, più o meno traumatici, che hanno minato il senso di ottimismo, fiducia e sicurezza verso gli altri e l’esterno. In moltissimi casi la cherofobia affonda le proprie radici nell’infanzia. La paura di essere felici è, infatti, spesso legata a uno o più momenti gioiosi vissuti da bambini a cui ha fatto seguito un evento traumatico, fisico o emotivo, come una punizione, una delusione o anche una perdita importante. Questa esperienza negativa, in cui emozioni come la rabbia, l’umiliazione e il dolore hanno ottenebrato ogni sensazione positiva, ha fatto sì che si venisse a creare un’associazione distorta della relazione causale tra felicità e dolore. La persona cherofobica si priva, quindi, di qualsiasi esperienza che potrebbe procurargli gioia o euforia mossa dal timore che provare un picco di felicità possa riattualizzare il trauma esperito nel passato e causargli nuovamente sofferenza.
Oltre ai traumi infantili, anche il contesto e la cultura in cui si vive, così come l’educazione ricevuta, possono contribuire all’insorgere di questo disturbo. Per alcuni soggetti la cherofobia potrebbe, per esempio, esprimere il timore di un conflitto con una persona significativa, come un genitore o un familiare. In altri casi, invece, l’individuo può aver sviluppato un locus of control esterno e pensare erroneamente che le proprie azioni o scelte non abbiano alcun tipo di influenza sul corso degli eventi. Qualsiasi situazione positiva si verifichi viene, quindi, vista dal cherofobico come dettata dal caso, dal fato o dalla fortuna e, per questo, non c’è nulla che lui possa fare per far sì che si ripeta.
Indipendentemente dalle cause che hanno portato all’insorgere di questa fobia, i soggetti che ne sono affetti sono accomunati da un meccanismo difensivo che li porta a sfuggire alla felicità nel tentativo di ripararsi dal dolore e dalla sofferenza che ne conseguiranno.
Superare la paura della felicità è possibile.
“Chi soffre di cherofobia non è necessariamente un soggetto sempre triste, ma è sicuramente qualcuno che evita determinati eventi per il timore che questi possano successivamente tramutarsi in una fonte di infelicità. Un nuovo lavoro, amore, amicizia o interesse viene percepito dal cherofobico come una minaccia al proprio status quo e, quindi, come qualcosa da evitare. Questo atteggiamento ha evidenti ripercussioni sulla vita sociale, lavorativa e sentimentale, inoltre costituisce un forte limite al processo di crescita, sviluppo e realizzazione personale dell’individuo”, ha commentato la Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo.
“Accorgersi di soffrire di questo disturbo è sicuramente un buon primo passo. È inoltre importante che l’individuo comprenda, attraverso un lavoro di autoriflessione, l’origine e le cause delle sue ansie e preoccupazioni, così da poterle affrontare. In questo processo, è essenziale non sottovalutare mai l’appoggio che possono darci coloro che ci sono vicini e ci vogliono bene. Oltre ad infonderci amore e sicurezza, il partner, gli amici e i familiari possono offrirci spunti e punti di vista molto preziosi per aiutarci a gestire meglio e superare le nostre fobie.
Non essendo la cherofobia riconosciuta a livello diagnostico, non esiste ancora una vera e propria cura o terapia. Tuttavia, come per ogni altra fobia, la psicoterapia può risultare estremamente efficace. Unobravo, ad esempio, offre la possibilità di intraprendere percorsi psicologici online con professionisti specializzati nel trattamento di fobie e disturbi cognitivo-comportamentali. Col supporto del terapeuta, si andranno prima di tutto a identificare gli eventi che hanno dato origine al problema e le ragioni che portano il soggetto a evitare ciò che potrebbe farlo star bene. Successivamente, paziente e terapeuta lavoreranno insieme sulla costruzione di un nuovo modus pensandi, scevro di pensieri disfunzionali e basato sulla capacità di conferire nuovi significati e interpretazioni al concetto di felicità. È, infine, fondamentale tenere a mente che non è possibile essere sempre felici o esserlo per tutto. Possiamo, però, godere appieno e senza paura di ogni momento di felicità e imparare ad accogliere e abbracciare ogni emozione per vivere liberamente e con pienezza la vita”, ha concluso la Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris.