Diabete di tipo 2: il trattamento con metformina non ha successo nei soggetti con livelli elevati di emoglobina glicata al momento della diagnosi
Nelle persone affette da diabete di tipo non è infrequente che il trattamento con metformina non abbia successo, in particolare nei soggetti con livelli elevati di emoglobina glicata al momento della diagnosi, suggeriscono i risultati di uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism.
Un’analisi dei dati delle cartelle cliniche elettroniche di oltre 22mila diabetici che hanno iniziato il trattamento con metformina in tre centri clinici statunitensi ha rilevato il fallimento della terapia in oltre il 40% dei casi, definito come il mancato raggiungimento o mantenimento di un livello di emoglobina glicata (HbA1c) inferiore al 7% entro 18 mesi o la necessità di ricorrere a ulteriori farmaci ipoglicemizzanti.
Altri predittori che l’uso di metformina non avrebbe avuto successo includevano l’aumento dell’età, il sesso maschile e la razza/etnia, poi risultata non rilevante dopo l’aggiustamento per altri fattori di rischio clinico.
«I risultati del nostro studio suggeriscono che un maggiore monitoraggio e un’intensificazione più precoce del trattamento per raggiungere il controllo glicemico possono essere appropriati in alcuni pazienti» hanno scritto il primo autore Suzette Bielinski, professore di epidemiologia presso la Mayo Clinic, Rochester, Minnesota, e colleghi. «Inoltre mettono in discussione l’uso onnipresente della metformina come trattamento di prima linea e suggeriscono che potrebbe essere necessario un approccio più personalizzato per ottimizzare la terapia.
Lo studio ha anche dimostrato la fattibilità dell’utilizzo di dati sanitari elettronici con un approccio di apprendimento automatico per scoprire biomarcatori di rischio. «Credo che riutilizzare i dati originariamente destinati a uno scopo potrebbe potenzialmente avere un impatto sull’assistenza in altri domini. Se riusciamo a ottenere il massimo da tutti questi dati che generiamo sulle persone, potremmo migliorare l’assistenza sanitaria e forse risparmiare denaro».
HbA1c basale come maggiore predittore del fallimento della metformina
I ricercatori hanno analizzato i dati di 22.047 diabetici che avevano iniziato la terapia con metformina provenienti da tre centri clinici di assistenza primaria: i centri Jackson dell’Università del Mississippi, che servono una popolazione prevalentemente afroamericana, il Mountain Park Health Center in Arizona, un centro sanitario comunitario qualificato a livello federale di sette cliniche a Phoenix che serve una popolazione prevalentemente latina e il Rochester Epidemiology Project, che include la Mayo Clinic e serve principalmente una popolazione bianca.
Nel complesso il 43% dei pazienti ha soddisfatto uno dei due criteri per il fallimento della metformina entro 18 mesi, in un tempo mediano di 3,9 mesi. I tassi di fallimento non aggiustati erano più alti tra gli afroamericani, gli ispanici e altri gruppi razziali rispetto ai pazienti bianchi non ispanici.
Tuttavia i gruppi razziali differivano anche per le caratteristiche di base. Il livello medio di HbA1c era complessivamente del 7,7%, 8,1% per il gruppo afroamericano, 7,9% per gli asiatici e 8,2% per gli ispanici, rispetto al 7,6% per i bianchi non ispanici.
Dei 150 fattori clinici esaminati, un livello elevato di emoglobina glicata al basale si è rivelato il più forte predittore di fallimento della metformina, con un rapido aumento del rischio compreso tra il 7,5% e l’8,0%. Altre variabili correlate positivamente con il fallimento terapeutico includevano il diabete con complicanze, l’aumento dell’età e livelli più elevati di potassio, trigliceridi, frequenza cardiaca ed emoglobina cellulare media.
I fattori inversamente correlati con il fallimento erano invece essere stati sottoposti a screening per altre condizioni sospette, l’esame/valutazione medica e livelli più bassi di sodio, albumina e colesterolo HDL.
Tre variabili, ovvero l’indice di massa corporea (BMI), il colesterolo LDL e la creatinina avevano una relazione a forma di U con il fallimento della metformina, quindi sia i valori alti che quelli bassi erano associati a un aumento del rischio.
«Le differenze razziali/etniche sono scomparse una volta che sono stati considerati altri fattori clinici, suggerendo una risposta biologica alla metformina simile indipendentemente dalla razza/etnia» hanno osservato i ricercatori.
In un’intervista Bielinski ha sollecitato cautela nell’interpretazione dei risultati. «I dati delle cartelle cliniche elettroniche hanno dei limiti. Siamo certi che a queste persone è stata prescritta la metformina, ma non sappiamo se l’hanno effettivamente assunta, quindi è ancora presto per formulare raccomandazioni cliniche» ha concluso. «Tuttavia questi dati suggeriscono che forse abbiamo bisogno di stabilire una soglia di HbA1c al di sotto della quale considerare sin da subito una duplice terapia».
Referenze
Bielinski SJ et al. Predictors of Metformin Failure: Repurposing Electronic Health Record Data to Identify High-Risk Patients. J Clin Endocrinol Metab. 2023 Jan 7;dgac759.