Iperossaluria primitiva: nuove linee guida nei Paesi UE


Iperossaluria primitiva: le nuove linee guida europee sono state elaborate da un gruppo di esperti del consorzio OxalEurope e del network ERKNet

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Dopo oltre dieci anni, per l’iperossaluria primitiva sono disponibili delle nuove linee guida, pubblicate pochi giorni fa sulla rivista Nature Reviews Nephrology. Un lavoro durato un anno, che ha coinvolto un gruppo di esperti provenienti da otto nazioni, membri del consorzio OxalEurope e della rete di riferimento europea per le malattie renali rare ERKNet.

L’iperossaluria primitiva (PH) è una malattia genetica rara dovuta al deficit di enzimi del fegato responsabili della detossificazione del gliossilato, una molecola che quando si accumula genera ossalato. È proprio questa aumentata produzione di ossalato che porta alla formazione di calcoli renali e al progressivo deterioramento di tutto l’apparato urinario, come spiega la prof.ssa Barbara Cellini, ricercatrice dell’Università degli Studi di Perugia e membro dello Steering Committee di OxalEurope.

“Negli ultimi anni numerosi gruppi di ricercatori nel mondo, inclusi alcuni gruppi italiani, si sono impegnati nello studio della PH sia dal punto di vista clinico che da quello genetico/molecolare. I risultati hanno permesso di comprendere meglio i meccanismi patogenetici della malattia, di capire perché un paziente risponda ad una terapia e un altro no, nonché di predire la possibile risposta alle terapie disponibili e sviluppare nuove strategie di trattamento”, prosegue la prof.ssa Cellini, componente del ‘voting group’ che ha validato le linee guida.

“In particolare, il confronto fra i dati ottenuti sui pazienti e quelli su modelli in vitro ha permesso di capire quale sia la relazione fra la presenza di una particolare mutazione e la risposta al trattamento con vitamina B6, una delle strategie farmacologiche maggiormente utilizzate al momento. Inoltre, studi sul metabolismo del gliossilato e dell’ossalato hanno permesso di sviluppare nuove terapie basate su farmaci biologici capaci di ridurre la produzione di gliossilato o di impedirne la conversione in ossalato, contrastando così la formazione dei calcoli renali”, conclude la ricercatrice.

Il consorzio OxalEurope raduna esperti in iperossaluria primitiva di diverse nazioni europee e tra i suoi scopi c’è quello di promuovere un sempre migliore trattamento della patologia. Già nel 2012 il consorzio aveva pubblicato delle raccomandazioni per la gestione clinica dei pazienti con la patologia, ma dopo ormai dieci anni si è reso necessario un aggiornamento, alla luce non solo delle nuove terapie disponibili ma anche dei risultati degli studi clinici condotti sui tre tipi di iperossaluria primitiva, che sono stati possibili grazie alla disponibilità del database europeo di pazienti gestito da OxalEurope.

La dr.ssa Giorgia Mandrile, dirigente medico della SSD Microcitemie e della funzione di Counselling genetico presso l’AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino), aveva già partecipato alla stesura delle prime raccomandazioni, e in occasione di questo aggiornamento è stata incaricata di coordinare il gruppo che si è occupato della sezione sulla genetica.

Il nuovo documento è stato formulato secondo le attuali raccomandazioni per la stesura delle linee guida e in particolare è stato usato il sistema di gradazione proposto dall’Accademia Americana di Pediatria”, sottolinea. “Le precedenti raccomandazioni erano invece una ‘semplice’ raccolta di opinioni di esperti, che non aveva una base di evidenza scientifica (la cosiddetta evidence based medicine), anche perché all’epoca non erano disponibili studi clinici su grandi numeri di pazienti. È stato creato un ‘core group’ di esperti (nefrologi pediatrici e dell’adulto, genetisti, biochimici, urologi pediatrici e dell’adulto) provenienti da otto nazioni europee (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lituania, Olanda, Serbia e Regno Unito), membri di OxalEurope o di ERKnet. Questo gruppo ha avuto la responsabilità di definire l’organizzazione del progetto (argomenti chiave da trattare, revisione della letteratura), la scrittura del documento e la gradazione delle raccomandazioni. Il core group è stato suddiviso in sottogruppi dedicati ad ogni singola sezione del lavoro, che hanno indipendentemente prodotto le raccomandazioni, le quali sono poi state discusse dall’intero gruppo in una serie di sei incontri online. Dopo aver raggiunto il consenso sulle raccomandazioni è stato scritto il lavoro, che è poi stato rivisto da tutti i componenti. L’intero percorso (dalla prima ideazione alla pubblicazione del lavoro) ha richiesto circa un anno”, racconta la dr.ssa Mandrile.

Successivamente, le raccomandazioni sono state inviate ad un ‘voting group’ di 20 nefrologi pediatri, 11 nefrologi dell’adulto e 5 genetisti-biochimici di 14 Paesi (Belgio, Dubai, Francia, Germania, Ungheria, Israele, Italia, Olanda, Norvegia, Spagna, Svizzera, Turchia, Regno Unito e USA). Questo gruppo ha dichiarato, per ogni raccomandazione, il grado di concordanza con la raccomandazione proposta (metodo Delphi). Per 46 raccomandazioni su 48 è stata raggiunta una concordanza superiore al 70% con quelle proposte, e sono state quindi accettate; due sono state modificate e il ‘voting group’ le ha accettate nella nuova versione.

Le linee guida finali contengono quindi sezioni dedicate ai tre tipi oggi noti di iperossaluria primitiva per quanto riguarda:
1) Basi genetiche e implicazioni cliniche della diagnosi genetica;
2) Diagnosi e controlli periodici in pazienti con età superiore a 1 anno (con indicazione degli esami periodici da effettuare, raccomandazioni sulla terapia conservativa, il trapianto e le nuove terapie);
3) Diagnosi e controlli periodici in pazienti con ossalosi infantile;
4) Approccio urologico;
5) Raccomandazioni per la gestione dell’iperossaluria primitiva nei Paesi a basso reddito.

“In ogni sezione, le nuove linee guida presentano degli aggiornamenti rispetto alle raccomandazioni del passato”, continua la genetista. “Le principali novità riguardano la diagnosi genetica, che è oggi ritenuta il ‘gold standard’, e la terapia, in quanto i nuovi trattamenti disponibili e le maggiori conoscenze circa la correlazione tra il genotipo (la mutazione del DNA) e il fenotipo (le manifestazioni cliniche) hanno consentito di poter ridurre la proporzione di pazienti avviati al trapianto di fegato, offrendo la possibilità di terapie più conservative”.

Ma in che modo questo documento influenzerà l’attività dei medici che si occupano di iperossaluria, e quali benefici porterà, sia agli specialisti che ai pazienti? A rispondere è il nefrologo Pietro Manuel Ferraro, professore associato presso la Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS di Roma, che ha partecipato alla stesura delle raccomandazioni cliniche per la gestione del paziente.

“Sono trascorsi oltre dieci anni dalla pubblicazione, da parte di OxalEurope, delle raccomandazioni per la diagnosi e la gestione clinica della PH. Da allora, molte nuove conoscenze sono state generate da studi sia sperimentali che clinici. Ad esempio, l’analisi di ampi database genetici ha permesso di constatare che la frequenza della PH non è così bassa come si riteneva, benché rimanga comunque una condizione rara. Questo dovrebbe indurre il clinico a ricercare con maggiore ‘convinzione’ una diagnosi di PH in caso di sospetto. Ancora, nuove modalità di follow-up come l’impiego della metodica ecocardiografica ‘speckle tracking’ si sono dimostrate efficaci nel rivelare la deposizione di ossalato nel cuore. Ma soprattutto, lo scenario della PH è cambiato per l’attuale disponibilità di trattamenti specifici, basati sul meccanismo di interferenza dell’RNA, che sono in grado di ridurre in modo importante la quantità di ossalato prodotta e quindi eliminata con le urine; inoltre, nelle fasi più avanzate della malattia in cui si verifica anche un aumento in circolo di ossalato, che conduce al danno nei vari organi, questi farmaci sono in grado di ridurre i livelli circolanti di ossalato”, afferma il prof. Ferraro.

Il board di esperti che ha preso parte alla stesura delle nuove raccomandazioni ha valutato criticamente tutte le nuove evidenze disponibili e le ha sintetizzate in una serie di statement che potranno guidare i clinici in tutte le fasi della gestione della PH. Ciò si rifletterà in un beneficio per i pazienti che potranno contare, da parte dei loro specialisti di riferimento, su una gestione ottimale – alla luce delle conoscenze attuali – della loro condizione”, osserva il nefrologo. “Ovviamente, la conoscenza su questa patologia e sull’efficacia di attuali e nuovi trattamenti dovrà continuare ad avanzare nei prossimi anni”.