Linfoma cutaneo a cellule T, il prurito può essere un indicatore della qualità di vita: il dato emerge da uno studio olandese che ha coinvolto pazienti con diverse patologie
Il termine “linfoma” si riferisce a un tumore che coinvolge una specifica categoria di globuli bianchi, i linfociti, uno dei tanti tipi di cellule che compongono il sangue: pertanto, viene spontaneo pensare a una patologia ematologica. Alcuni linfomi, tuttavia, riguardano in maniera più specifica la pelle, dal momento che l’accumulo incontrollato di linfociti si realizza sostanzialmente a questo livello. È il caso dei linfomi cutanei a cellule T (CTCL), un esteso gruppo di disordini proliferativi comprendenti la micosi fungoide e la sindrome di Sézary. Spesso il CTCL si presenta in forma indolente e non aggressiva, ma nei casi più gravi le manifestazioni cutanee possono essere molto estese e dar luogo a intenso prurito.
Proprio sul sintomo del prurito hanno concentrato la loro attenzione i dermatologi olandesi dello University Medical Center di Leiden, autori di un’interessante ricerca pubblicata sulle pagine di JAAD International, rivista satellite del ben noto Journal of The American Academy of Dermatology.
Numerosi studi hanno già confermato il forte impatto del linfoma cutaneo a cellule T sulla qualità di vita dei pazienti, soprattutto in coloro nei quali la malattia ha raggiunto uno stadio più avanzato. Al contrario, però, sono poche le ricerche orientate sulla qualità di vita nelle diverse forme di CTCL: ad esempio, non si hanno notizie riguardanti l’esperienza dei pazienti affetti da micosi fungoide follicolotropica, una rara variante di micosi fungoide.
Pertanto, avvalendosi di strumenti come i questionari RAND-12 e, soprattutto, Skindex-29, i ricercatori olandesi hanno cercato di valutare l’impatto del linfoma cutaneo a cellule T sulla qualità di vita di un’ampia popolazione di pazienti. Nello studio, infatti, sono state coinvolte 106 persone affette da micosi fungoide, micosi fungoide follicolotropica e sindrome di Sézary: la maggior parte di esse era nelle fasi iniziali di malattia ma circa il 33% era in fase avanzata (stadio ≥ IIB).
Lo Skindex-29 è uno dei questionari più conosciuti e utilizzati per la misurazione degli effetti delle malattie della pelle sulla qualità della vita dei pazienti, uno strumento completo che non considera unicamente l’importanza dei sintomi ma anche il loro impatto sulla sfera sociale e sullo stato emotivo: proprio sulla base di questi tre parametri, lo studio ha evidenziato come le ripercussioni delle varie forme di CTCL siano diverse, poiché il numero di pazienti che non risentono particolarmente della sintomatologia è risultato più ampio nel gruppo della micosi fungoide classica e si è ridotto progressivamente in quello della micosi fungoide follicolotropica e, infine, della sindrome di Sézary: infatti, in quest’ultimo tipo di patologia, generalmente aggressiva, l’infiltrazione dei linfociti a livello cutaneo produce sintomi più marcati, fino all’eritrodermia pruriginosa esfoliativa.
In base ai punteggi della scala Skindex-29, i pazienti con sindrome di Sézary presentano dunque una peggior qualità di vita e, in linea generale, l’impatto dei sintomi cresce nelle forme più avanzate di malattia: anche in coloro che hanno ricevuto la diagnosi da meno di due anni l’effetto negativo della patologia sulla qualità di vita è risultato essere piuttosto gravoso.
Dolore, affaticamento, tendenza a grattare o graffiare le zone cutanee interessante e, più in generale, prurito sono alcuni dei sintomi più frequentemente riportati da tutti i pazienti coinvolti nello studio: il prurito, in particolare, è risultato essere la manifestazione sintomatica più comune del CTCL e una sua maggiore entità è apparsa fortemente correlata a un punteggio più basso nella scala Skindex-29 e, di conseguenza, a una peggior qualità di vita.
Nel complesso, i risultati dell’indagine olandese confermano quanto già si sapeva, cioè che la qualità di vita delle persone con linfoma cutaneo a cellule T è più bassa negli stadi più avanzati di malattia, quando il peso specifico dei sintomi e l’impatto funzionale della patologia sono maggiori. Tuttavia, dall’analisi dei dati è emerso che anche i pazienti che hanno ricevuto una diagnosi da meno tempo presentano sintomi intensi e forti conseguenze nell’ambito della funzionalità, un aspetto che, come sottolineano gli stessi ricercatori, potrebbe essere legato a un minor intervallo di tempo trascorso dall’inizio del trattamento, con la conseguente possibilità di osservarne in misura minore i benefici.