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Linfoma diffuso a grandi cellule B: sopravvivenza a 5 anni con tafasitamab

Incyte Biosciences Italy e Mylan Italia hanno annunciato il lancio di un programma di uso compassionevole in Italia per tafasitamab in associazione con lenalidomide

Linfoma diffuso a grandi cellule B ricaduto/refrattario: secondo nuovi studi, con tafasitamab possibile sopravvivenza oltre i 5 anni

Nei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B ricaduto/refrattario non idonei per il trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche, il trattamento con l’anticorpo monoclonale anti-CD19 tafasitamab combinato con lenalidomide, seguito da un mantenimento con il solo tafasitamab, conferma di produrre remissioni prolungate, con una sopravvivenza di 5 anni o più in questa popolazione di pazienti. Lo dimostra una nuova analisi dello studio registrativo L-MIND, presentata in occasione del 64° congresso dell’American Society of Hematology (ASH), a New Orleans.

I dati aggiornati del trial confermano anche il buon profilo di tollerabilità di tafasitamab, anche a lungo termine, mostrando, inoltre, una riduzione dell’incidenza degli eventi avversi quando i pazienti sono passati dalla terapia di combinazione al mantenimento con il solo tafasitamab.

Tafasitamab
Sviluppato e commercializzato da Incyte, tafasitamab è un anticorpo monoclonale anti-CD19 umanizzato, contenente un dominio Fc ingegnerizzato, che media la lisi delle cellule B attraverso una citotossicità diretta e i meccanismi effettori del sistema immunitario, fra cui la citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC) e la fagocitosi cellulare anticorpo-dipendente (ADCP).

Il farmaco è già approvato negli Stati Uniti, nell’Unione europea, nel Regno Unito e in Canada, in combinazione con lenalidomide, per il trattamento dei pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B recidivante/refrattario, non candidabili al trapianto autologo di cellule staminali. Dal novembre scorso è disponibile anche in Italia, approvato con questa indicazione e rimborsato dal Sistema sanitario nazionale.

Il via libera delle varie agenzie regolatorie si è basato proprio sui risultati dello studio L-MIND, pubblicati su The Lancet Oncology nel 2020. Nel 2021 gli autori dello studio, coordinati da Johannes Duell, dell’Università di Würzburg, in Germania, hanno pubblicato un aggiornamento dello studio, che ha evidenziato la lunga durata della risposta a tafasitamab, con una mediana della durata della riposta (DoR) di quasi 44 mesi, e una sopravvivenza globale (OS) significativa (33,5 mesi di mediana).

Ora a New Orleans, i ricercatori hanno riportato i risultati di un’analisi effettuata su pazienti dello studio sottoposti al trattamento per almeno 2 anni e in follow-up da almeno 5 anni.

Lo studio L-MIND
Lo studio L-MIND (NCT02399085) è un trial multicentrico internazionale di fase 2, a singolo braccio, in aperto, tuttora in corso, che ha coinvolto pazienti di almeno 18 anni con linfoma diffuso a grandi cellule B ricaduto/refrattario, già trattati con da una a tre terapie sistemiche, compresa una terapia anti-CD20 (per esempio, rituximab) e non idonei alla chemioterapia ad alte dosi o al trapianto autologo di cellule staminali.

I partecipanti sono stati trattati con tafasitamab 12 mg/kg endovena in cicli di 28 giorni, una volta alla settimana durante i primi tre cicli, con una dose di carico il giorno 4 del primo ciclo, e successivamente ogni 2 settimane, per un totale di 12 cicli, più lenalidomide 25 mg/die per via orale somministrata nei primi 21 giorni di ogni ciclo, sempre per 12 cicli. Dopo il ciclo 12, i pazienti che non erano in progressione sono stati trattati con tafasitamab ogni 2 settimane, come trattamento di mantenimento, fino alla progressione della malattia.

L’endpoint primario dello studio era il tasso di risposta globale (ORR), mentre fra gli endpoint secondari vi erano la DoR, la sopravvivenza libera da progressione (PFS), l’OS e la sicurezza.

Un terzo dei pazienti trattati per almeno 2 anni
Al momento del cut-off dei dati (15 febbraio 2022), degli 81 pazienti arruolati nello studio, 30 pazienti avevano completato i 12 cicli di tafasitamab più lenalidomide, quattro avevano interrotto la lenalidomide prima dei 12 cicli e 27 (il 34%) avevano effettuato il trattamento per almeno 2 anni (mediana: 4,3 anni).

Di questi 27 pazienti, 23 erano ancora in vita al momento dell’analisi (uno è stato perso al follow-up, uno è deceduto per una causa sconosciuta e due sono deceduti a seguito di eventi avversi non correlati al trattamento in studio), e 13 erano ancora in trattamento. Le ragioni per cui i pazienti hanno interrotto tafasitamab dopo 2 anni sono state la progressione della malattia (in quattro casi), una decisione del paziente o del medico (in otto casi) ed eventi avversi fatali non correlati al trattamento (due casi, uno per COVID-19 e uno per un evento cardiovascolare).

Dodici pazienti erano in follow-up da almeno 5 anni, di cui sei erano ancora in trattamento, mentre gli altri sei lo avevano interrotto, pur essendo ancora in risposta.

Sopravvivenza a 4 anni quasi del 93%
Dei pazienti trattati per almeno 2 anni con tafasitamab, 23 avevano ottenuto una risposta completa come migliore risposta e quattro una risposta parziale.

Il tasso di OS a 48 mesi è risultato del 92,6%, ma le mediane della DoR, della PFS e dell’OS non erano ancora state raggiunte al momento dell’analisi.

Inoltre, dei 12 pazienti risultati refrattari a una precedente linea di terapia, il 91,7% era ancora in follow-up a 4 anni.

Dei sei pazienti trattati per almeno 5 anni, cinque avevano raggiunto una risposta completa (uno dei quali presentava un linfoma diffuso a cellule B triple-hit) e il sesto una risposta parziale.

Riduzione degli eventi avversi durante il mantenimento con tafasitamab
Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, Duell ha riferito che durante il mantenimento con tafasitamab in monoterapia, sia nel primo anno (cicli dal 13 al 24) sia successivamente (dal ciclo 25 in avanti), l’incidenza degli eventi avversi è risultata inferiore rispetto ai primi 12 mesi, nei quali i pazienti sono stati trattati con la combinazione.

L’analisi non ha evidenziato nuovi segnali legati alla sicurezza del trattamento e la maggior parte degli eventi avversi è risultata di grado 1-2.

Durante il trattamento con la combinazione, gli eventi avversi ematologici più frequenti sono stati neutropenia, trombocitopenia, leucopenia e anemia, mentre diarrea, bronchite, piressia, spasmi muscolari ed edema periferico sono stati quelli più frequenti di tipo non ematologico. In ogni caso, ha sottolineato l’autore, l’incidenza di tutti questi aventi avversi si è ridotta in modo sostanziale durante il mantenimento con tafasitamab in monoterapia.

Bibliografia

Duell, et al. L-Mind: A Safety and Efficacy Analysis of Tafasitamab in Patients with Relapsed/Refractory Diffuse Large B-Cell Lymphoma (R/R DLBCL) Receiving Treatment for at Least 2 Years. ASH 2022; abstract 2937. https://ash.confex.com/ash/2022/webprogram/Paper159983.html

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