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Integrazione di vitamina D meno efficace in pazienti obesi

Lotta all'obesità: il triplo agonista sperimentale di Lilly, retratutide, ha stabilito un nuovo primato con un calo ponderale del 24%

L’effetto dell’integrazione di vitamina D sui livelli sierici totali di 25-idrossivitamina D può essere ridotto negli adulti obesi o in sovrappeso

L’effetto dell’integrazione di vitamina D sui livelli sierici totali di 25-idrossivitamina D può essere ridotto negli adulti con un indice di massa corporea più elevato, secondo un’analisi post hoc dei dati dello studio VITAL pubblicati sulla rivista JAMA Network Open.

La vitamina D è un micronutriente essenziale rilevante per numerosi processi biologici. Viene prodotta dall’organismo come vitamina D3 (colecalciferolo) oppure assunta con la dieta o come supplementazione sotto forma di vitamina D3 o vitamina D2 (ergocalciferolo). Gli studi ne hanno stabilito l’adeguatezza per prevenire il rachitismo e l’osteomalacia e l’insieme delle evidenze epidemiologiche suggerisce che i livelli di 25-idrossivitamina D (25-OHD) possono essere rilevanti anche per l’incidenza e la progressione del cancro e delle malattie cardiovascolari.

Al contrario, le metanalisi di studi clinici randomizzati sull’integrazione di vitamina D, incluso lo studio su larga scala Vitamin D and Omega-3 Trial (VITAL), non hanno riportato benefici sugli endpoint primari del cancro o dei principali eventi cardiovascolari. Tuttavia analisi secondarie prespecificate in VITAL hanno indicato un’interazione in base al peso corporeo al basale e l’integrazione di vitamina D è stata associata, rispetto al placebo, a un’incidenza di cancro inferiore del 24%, mortalità per cancro inferiore del 42% e incidenza di malattie autoimmuni inferiore del 22% tra i partecipanti con peso corporeo normale (indice di massa corporea, BMI, <25,0), hanno premesso gli autori.

Le nuove analisi post hoc dello studio VITAL hanno tuttavia rilevato che la risposta all’integrazione di vitamina D3 alla dose di 2.000 UI/giorno tra i partecipanti variava in funzione del BMI.

«L’analisi dei dati originali ha rilevato che l’integrazione di vitamina D era correlata a effetti positivi su diversi esiti di salute, ma solo tra le persone con un BMI inferiore a 25» ha dichiarato il primo autore Deirdre Tobias, un epidemiologo associato nella divisione di medicina preventiva, dipartimento di medicina del Brigham and Women’s Hospital. «Sembra che un BMI più alto influenzi il metabolismo della vitamina D e questo studio può aiutare a spiegare gli effetti ridotti dell’integrazione nelle persone con un indice di massa corporea elevato».

Minore risposta alla supplementazione al crescere del BMI
I ricercatori hanno valutato i dati di oltre 16mila partecipanti a VITAL, dei quali erano disponibili i campioni di sangue prima della randomizzazione (età media 67,7 anni, 50,7% donne, 76,9% bianchi, 15,1% neri). Tra questi, 2.742 avevano campioni di sangue disponibili dopo un follow-up di 2 anni. Il BMI è stato ricavato dall’altezza e dal peso auto-riportati in un questionario di riferimento. Sono stati raccolti i valori di 25-(OH)D totale, 25-(OH)D3, vitamina D libera e vitamina D biodisponibile.

Al basale i livelli medi totali di 25-(OH)D erano 32,3 ng/ml per gli adulti sottopeso o normopeso e diminuivano gradualmente al crescere del BMI, con valori di 30,5 ng/ml nei soggetti in sovrappeso, 29 ng/ml con obesità di classe I e 28 ng/ml con obesità di classe II (P <0,001 per il trend).

Tra i partecipanti con campioni di sangue disponibili al follow-up di 2 anni, nel gruppo che ha ricevuto un’integrazione di vitamina D i livelli sierici di 25-(OH)D sono aumentati di 11,9 ng/ml e sono cresciuti anche quelli di 25-(OH)D3, vitamina D libera e vitamina D biodisponibile.

Le variazioni nei biomarcatori della vitamina D erano inferiori tra gli adulti con un BMI basale più elevato. Per la 25-(OH)D totale, l’aumento medio per gli adulti che hanno ricevuto l’integrazione è stato di 13,5 ng/ml con un BMI inferiore a 25, 12,7 ng/ml con un BMI da 25 a 29,9, 10,5 ng/ml con un BMI da 30 a 34,9 e 10 ng/ml con un BMI di 35 e oltre (P<0,001 per tutte le interazioni dell’effetto del trattamento).

Risultati simili sono stati osservati quando un sottogruppo di 964 partecipanti al Clinical and Translational Science Center sono stati stratificati in base alla circonferenza della vita al basale, con una variazione inferiore di 25-(OH)D tra gli adulti con una circonferenza della vita più alta.

Necessarie dosi più elevate in presenza di obesità
«Il sequestro della vitamina D e dei suoi metaboliti dalla circolazione nel tessuto adiposo può contribuire a ridurre le concentrazioni sieriche e può almeno, in parte, spiegare la ridotta efficacia dell’integrazione emersa in precedenza per gli endpoint del cancro tra i partecipanti a VITAL con obesità» hanno spiegato gli autori.

«Non si possono escludere anche i fattori fisiopatologici correlati all’obesità, come la ridotta sensibilità del recettore della vitamina D o l’influenza della disfunzione epatica sul metabolismo della vitamina, e sono necessarie ulteriori ricerche meccanicistiche» hanno concluso. «La dose efficace di vitamina D per raggiungere concentrazioni circolanti e bioattive ottimali necessarie per la prevenzione del cancro e del diabete o altri benefici può quindi essere più elevata tra i pazienti con eccesso di adiposità. Gli studi di nutricinetica aiuteranno a fare maggiore chiarezza».

Referenze

Tobias DK et al. Association of Body Weight With Response to Vitamin D Supplementation and Metabolism. JAMA Netw Open. 2023 Jan 3;6(1):e2250681. 
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