In occasione della Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo del 2 Aprile, l’intervento della Dottoressa Valeria Fiorenza Perris
Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo. Istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU, questa ricorrenza rappresenta un’occasione importante per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone affette da DSA e sensibilizzare alla comprensione e accettazione delle neurodiversità.
Un po’ di storia: da Bleuler al DSM-5
La parola autismo deriva dal greco autús che significa “se stesso”. Il termine fu coniato nel 1911 dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler per designare un sintomo comportamentale, caratteristico di alcune fasi della schizofrenia, che consiste nel ripiegamento su sé stessi e nella perdita di contatto col mondo circostante.
È però solo dal 1943, grazie ai pediatri Kanner e Asperger, che se ne ha un’analisi più dettagliata e completa: il disturbo viene definito Autismo Precoce Infantile e identificato per la prima volta come una sindrome a sé, separata dal gruppo delle schizofrenie e, quindi, con qualità e caratteristiche proprie.
Con gli anni Settanta si intensificano gli studi sul tema, fino al riconoscimento ufficiale, nel 1980, della diagnosi di Autismo Infantile all’interno del DSM-3, ovvero la terza edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, la principale risorsa per la diagnosi delle patologie di salute mentale.
La definizione riportata dal DSM-3 risulta, tuttavia, problematica in quanto si concentra esclusivamente sulla condizione infantile e non riconosce la persistenza delle difficoltà per tutto il percorso di sviluppo dell’individuo.
Nel 1994 la questione viene rivista e nel DSM-4 l’autismo è catalogato tra i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Si comprende, infatti, che non si tratti di una patologia pediatrica con una possibile risoluzione, bensì di un disturbo pervasivo dello sviluppo destinato, nella maggior parte dei casi, a condizionare l’intero arco di vita dei soggetti che ne sono affetti.
Infine, nel 2013 viene redatto il nuovo DSM-5 in cui l’autismo è inquadrato secondo un nuovo orientamento diagnostico che, oltre a sostituire l’espressione Disturbi Pervasivi dello Sviluppo con il termine Disturbi dello Spettro dell’Autismo (DSA), elimina anche la presenza dei differenti sottotipi o forme di autismo. Da questo momento, la sindrome di Asperger, il disturbo pervasivo non altrimenti specificato, il disturbo disintegrativo e la sindrome di Rett vengono inglobati all’interno della categoria dei DSA.
Questa nuova dicitura è una vera e propria rivoluzione nella metodologia della diagnosi, che da “categoriale” diventa “dimensionale” considerando i sintomi in base al livello di intensità e gravità all’interno di un continuum.
Autismo: cos’è e come si manifesta?
L’autismo, o meglio DSA, è un disturbo del neurosviluppo che coinvolge principalmente linguaggio e comunicazione, e ha conseguenze sull’interazione sociale, sugli interessi – spesso ristretti – e sui comportamenti – di frequente ripetitivi. Si utilizza il termine spettro per mostrare l’enorme variabilità dei quadri sintomatologici che si possono presentare all’interno di questa categoria diagnostica. Inoltre, si possono trovare forme di DSA sia in individui con difficoltà cognitive e intellettive che in persone normodotate o, persino, con capacità intellettive superiori.
I criteri diagnostici del disturbo dello spettro autistico riportati nel DSM-5 sono: “deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale” e “pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi”.
Il primo si manifesta in molteplici contesti ed è caratterizzato dalla presenza in contemporanea di tre condizioni:
- deficit della reciprocità socio-emotiva
- deficit nel comportamento comunicativo non verbale
- deficit dello sviluppo, gestione e comprensione delle relazioni
Il secondo può essere ravvisato, invece, quando si manifestano almeno due dei seguenti comportamenti:
- movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati e ripetitivi
- interessi limitati, fissi e anomali per intensità e profondità
- insistenza nella sameness: aderenza a una routine priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non verbale
- iper o ipoattività agli stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente
Per ciò che concerne invece le cause dell’autismo, queste risultano a oggi ancora sconosciute, anche se i ricercatori concordano nell’affermare che, con molta probabilità, i disturbi dello spettro autistico siano dovuti a fattori neurobiologici, costituzionali e psicoambientali acquisiti.
Incidenza del disturbo dello spettro autistico nei bambini e negli adulti.
Il disturbo dello spettro autistico colpisce oltre l’1% della popolazione mondiale.
Secondo quanto riportato dal Ministero della Salute, si stima invece che in Italia il tasso di incidenza nei bambini tra i 7 e i 9 anni sia di 1 su 77, con una frequenza 4,4 volte maggiore nei maschi.
Sebbene il termine autismo sia stato introdotto per descrivere un disturbo presente e diagnosticabile principalmente nei bambini, gli esperti sono ora concordi che l’autismo non si limiti all’età evolutiva, ma sia una condizione permanente, che si protrae durante l’intero arco di vita della persona. Da ciò si può dedurre che il tasso di diffusione del DSA nella popolazione adulta non sia molto dissimile rispetto a quello registrato tra i bambini.