Tumori: a che punto è la ricerca sui vaccini terapeutici


I vaccini terapeutici sono pensati per pazienti che hanno già ricevuto una diagnosi di cancro: a che punto è la ricerca scientifica

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Una ricerca pubblicata su Jama (Journal of the American Medical Association) il 3 novembre scorso, ha riportato alla ribalta un tema importante: i vaccini terapeutici.

COSA SONO I VACCINI TERAPEUTICI

Sono vaccini pensati per pazienti che hanno già ricevuto una diagnosi di cancro. Il loro obiettivo è di facilitare il sistema immunitario nel riconoscimento e distruzione delle cellule tumorali. Nello studio clinico non randomizzato di fase 1 sono state coinvolte 66 pazienti con un tumore al seno HER2 positivo avanzato, che hanno ricevuto un vaccino a DNA (plasmidico). Una volta suddivise in tre gruppi, le pazienti hanno ricevuto tre somministrazioni sottocutanee. Il primo gruppo ha ricevuto un basso dosaggio del vaccino, il secondo una dose intermedia e il terzo il dosaggio più elevato. Le partecipanti sono state poi monitorate con un follow-up medio di quasi 10 anni. Il vaccino ha generato una risposta immunitaria citotossica, più robusta nei pazienti che hanno ricevuto la dose intermedia. Sebbene lo studio non sia stato disegnato per determinare differenze relative alla sopravvivenza, alcuni dati sono promettenti. Come il fatto che il 100% delle pazienti in stadio III e che hanno ricevuto la dose intermedia di vaccino erano ancora in vita all’ultimo follow-up. E’ attualmente in corso una sperimentazione clinica di fase 2.

IL COMMENTO DI CHIARA CORTI, DIPARTIMENTO DI MEDICINA ONCOLOGICA, IEO, ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA, MILANO

Finora, la maggior parte degli studi che hanno testato vaccini terapeutici per il tumore al seno hanno fornito solidi risultati di sicurezza e tollerabilità, a fronte tuttavia di risultati di efficacia limitati. Basti pensare che nel ventennio 2000-2019, tutti gli studi condotti in questo ambito hanno documentato modesti tassi di riduzione delle dimensioni delle lesioni tumorali (risposte obiettive, ~9%), senza un chiaro vantaggio di sopravvivenza. Ciononostante, un razionale scientifico per ipotizzare in futuro l’introduzione in clinica di vaccini terapeutici è concreto. Benché  il tumore al seno, in generale, appaia meno “immunogenico” rispetto ad altre neoplasie quali il melanoma, l’immunoterapia – sempre associata a chemioterapia – è già entrata a far parte dell’armamentario terapeutico. Sia nel setting precoce sia in quello metastatico, almeno nel sottotipo triplo negativo (TNBC). Ormai è noto che alcune cellule del sistema immunitario, per la precisione i linfociti infiltranti il tumore (Tumor-infiltrating lymphocytes, TILs), sono in grado di infiltrare il tessuto tumorale mammario. Questo fenomeno è associato a una migliore prognosi. Uno studio recentemente presentato al Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO 2022), ha rivelato che la prossimità spaziale di specifici linfociti alle cellule tumorali e la risposta mediata da interferone gamma nel tumore primitivo sono associati a una maggiore probabilità di risposta ai trattamenti immunoterapici preoperatori. Quali sono dunque i tasselli mancanti? Certamente, gli studi condotti nello scorso ventennio raramente prevedevano combinazioni tra vaccini e altri agenti antitumorali. Solo sporadicamente prevedevano una selezione dei pazienti sulla base di specifici biomarcatori, allora non del tutto noti. I vaccini del passato sono stati progettati con tecnologie che sono state perfezionate negli anni, anche grazie alla recente spinta tecnologica sopraggiunta in corso di pandemia COVID-19.

LE SPERIMENTAZIONI SUI NUOVI VACCINI ANTICANCRO SONO IN AUMENTO

Attualmente, c’è un grande fermento di sperimentazioni che si focalizzano su nuovi vaccini anticancro. Di oltre 400 sperimentazioni in corso in tutto il mondo, ben 44 riguardano esclusivamente il tumore al seno. Pertanto il tumore al seno è al quarto posto tra le neoplasie oggetto di studi con vaccini terapeutici. Rispetto al passato, assistiamo ad un incremento degli studi di combinazione. Questi associano il vaccino sperimentale principalmente a chemioterapia, terapie a bersaglio molecolare, inibitori dei checkpoint immunitari (immunoterapia) oppure farmaci immunomodulanti. Inoltre, mentre nello scorso ventennio un considerevole numero di studi era focalizzato sulla malattia metastatica. Un numero crescente di trial è ora aperto a pazienti con malattia localizzata. In questo setting, il vaccino sperimentale si somministra in fase pre-operatoria, post-operatoria oppure in entrambe le fasi. Inoltre, notiamo un’evoluzione anche delle piattaforme tecnologiche utilizzate per mettere a punto i vaccini. Lo scenario attuale documenta che ben il 18.6% degli studi include vaccini a base di acidi nucleici (DNA o RNA), in aggiunta alle più storicamente note piattaforme che prevedono l’impiego di proteine o parti di esse (vaccini proteici o peptidici), oppure di composti a base di cellule di vario tipo (vaccini cell-based). Si stima che la spinta tecnologica offerta dalla corsa al vaccino anti-SARS-CoV-2, dovuta alla pandemia COVID-19,  comporterà nei prossimi anni un’onda lunga di avanzamenti scientifici anche nel campo dei vaccini anticancro.

IL FUTURO DEI VACCINI TERAPEUTICI

Realisticamente, cosa dobbiamo aspettarci? La strada per l’ingresso in clinica di vaccini terapeutici per il carcinoma mammario è da considerarsi tutt’altro che in discesa. Possiamo però permetterci un cauto ottimismo. In particolare, è pensabile sfruttare le potenzialità dei vaccini per coadiuvare l’attività e l’efficacia di farmaci già utilizzati in pratica clinica, quali le combinazioni di chemio-immunoterapia. Il vaccino potrebbe rappresentare “una miccia” per trasformare un tumore scarsamente riconoscibile dal sistema immunitario o con microambiente tumorale «freddo» in un tumore più facilmente individuabile grazie a un «microambiente tumorale caldo», poiché immuno-infiltrato. Continuiamo ad attendere fiduciosi i primi risultati degli studi che stanno impiegando vaccini con tecnologia ad acidi nucleici (DNA o RNA). Questi sfruttano come bersaglio i cosiddetti «neoantigeni tumorali». Si tratta di proteine anomale prodotte come risultato di specifiche mutazioni geniche. Poiché queste molecole sono prodotte soltanto dalle cellule tumorali mutate, ne consegue che l’attività di un vaccino che le abbia come bersaglio sia estremamente specifica. Sarà quindi in grado di risparmiare i tessuti sani. Il propulsore deve essere la stretta collaborazione tra clinici, aziende e ricercatori di base, per meglio comprendere le complesse interazioni tra sistema immunitario e cancro.

FONTE: EUROPA DONNA ITALIA