Linfoma del sistema nervoso centrale: i risultati dello studio MATRix


Linfoma primitivo del sistema nervoso centrale: la chemioterapia ad alte dosi seguita dal trapianto autologo di cellule staminali in consolidamento migliora la sopravvivenza

Il trapianto di cellule staminali da donatore è l’unica arma contro la leucemia mielomonocitica cronica, un tumore raro del sangue

Nei pazienti con linfoma primitivo del sistema nervoso centrale, la chemioterapia ad alte dosi seguita dal trapianto autologo di cellule staminali come trattamento di consolidamento migliora la sopravvivenza rispetto a un regime di consolidamento chemioimmunoterapico non mieloablativo. Lo dimostrano i risultati di uno studio internazionale di fase 3, lo studio MATRix, presentato all’ultimo congresso dell’American Society of Haematology (ASH), a New Orleans.

Infatti, nei 229 pazienti con malattia di nuova diagnosi che avevano risposto alla terapia di induzione, i tassi di sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 3 anni sono risultati del 79% nei pazienti trattati con la chemioterapia ad alte dosi più il trapianto come consolidamento, rispetto al 53% di quelli trattati con la chemioimmunoterapia non mieloablativa (HR 0,405; IC al 95% 0,252-0,650, P = 0,0002).

Inoltre, a un follow-up mediano di 45,3 mesi, era ancora in vita l’86% dei pazienti contro il 71% (HR 0,456, IC al 95% 0,256-0,812, P = 0,0077).

«Il trattamento del linfoma del sistema nervoso centrale primitivo è particolarmente impegnativo. Si tratta di una forma di linfoma aggressivo con una localizzazione unica», ha spiegato durante la sua presentazione Gerald Illerhaus, del Klinikum Stuttgart Hospital, in Germania. «La somministrazione dei farmaci in questo contesto è ostacolata dalla barriera ematoencefalica e il tessuto circostante reagisce in modo molto sensibile sia al linfoma stesso sia alla terapia, indipendentemente dal fatto che si tratti di chemioterapia o radiazioni».

«Questo risultato ha un enorme impatto e cambia la pratica clinica», ha dichiarato Joshua Brody, direttore del Programma di immunoterapia dei linfomi presso il Tisch Cancer Institute del Mount Sinai Hospital di New York, non coinvolto nel trial. L’esperto ha sottolineato che negli ultimi due decenni nessuno studio randomizzato aveva avuto un impatto significativo sullo standard di cura per i pazienti con linfoma cerebrale, mentre lo studio attuale ha dimostrato una differenza assoluta del 15% nel tasso di sopravvivenza globale (OS) a 3 anni con la chemioterapia ad alte dosi e trapianto, rispetto a un altro regime “accettabile”.

Le premesse
I pazienti con linfoma primitivo del sistema nervoso centrale candidabili approcci terapeutici intensivi sono attualmente sottoposti a un’induzione con una chemioimmunoterapia a base di metotrexate ad alte dosi, seguita da una chemioterapia di consolidamento ad alte dosi e dal trapianto autologo.

Tuttavia, ha spiegato, non è chiaro se il superamento della chemioresistenza e la conseguente eliminazione della malattia minima residua si possano ottenere anche con un’immunochemioterapia non mieloablativa a dosi convenzionali, in grado di attraversare la barriera ematoencefalica.

Illerhaus e i colleghi hanno dunque condotto lo studio MATRix per confrontare la chemioterapia ad alte dosi più il trapianto autologo con un regime di consolidamento non mieloablativo in pazienti con linfoma primitivo del sistema nervoso centrale di nuova diagnosi.

Lo studio MATRix/IELSG43
MATRix/IELSG43, (NCT02531841) è un trial multicentrico randomizzato, controllato, in aperto, e promosso dall’International Extranodal Lymphoma Study Group (IELSG), che ha arruolato pazienti in 79 centri di cinque Paesi europei (Germania, Italia, Danimarca, Norvegia e Svizzera) fra il 2014 e il 2019.

Potevano partecipare al trial pazienti immunocompetenti di età compresa tra i 18 e i 65 anni con qualsiasi performance status ECOG e quelli di età compresa tra i 66 e i 70 anni con un ECOG pari o inferiore a 2. I pazienti inoltre dovevano avere un linfoma a cellule B confermato, una lesione misurabile radiologicamente e un’adeguata funzione d’organo.

In totale, 346 pazienti hanno iniziato la terapia di induzione, costituita da quattro cicli del regime MATRix ( rituximab, metotrexate, citarabina e tiotepa). Il prelievo di cellule staminali è stato effettuato dopo il secondo ciclo. I pazienti che dopo due o quattro cicli erano in progressione sono stati trattati al di fuori dello studio.

Sono stati esclusi dal trattamento di consolidamento 53 pazienti a causa di un evento avverso, 40 per la mancata risposta all’induzione e 23 per altri motivi. Inoltre, si è registrata una mortalità correlata al trattamento del 3,8% (13 pazienti deceduti).

Commentando questi dati, Illerhaus ha spiegato che lo studio randomizzato OptiMATeopens sta attualmente valutando una strategia di induzione meno aggressiva, con la speranza di ridurre questi tassi di tossicità.

Successivamente, i pazienti che hanno risposto alla terapia di induzione (229) sono stati assegnati al trattamento di consolidamento con la chemioterapia ad alte dosi seguita da trapianto autologo di cellule staminali, oppure alla chemioimmunoterapia non mieloablativa con il regime R-DeVIC, che si è dimostrato efficace in precedenti studi e che utilizza agenti che non presentano resistenza crociata con quelli del regime MATRix.

I pazienti del braccio della chemioterapia ad alte dosi sono stati trattati con carmustina (o busulfano se non disponibile) e tiotepa seguiti da trapianto autologo di cellule staminali, mentre quelli del braccio di consolidamento non mieloablativo sono stati trattati con due cicli di R-DeVIC (rituximab, desametasone ad alte dosi, etoposide, ifosfamide e carboplatino).

Le caratteristiche dei pazienti
Tra i partecipanti randomizzati, l’età mediana era rispettivamente di 59 e 60 anni e il 20-24% aveva almeno 65 anni, le donne rappresentavano il 43-46% della popolazione e tre quarti del campione aveva un performance status ECOG di 0 o 1.

In quasi tutti i pazienti (97-98%), Il linfoma diffuso a grandi cellule B rappresentava l’istologia primaria, circa un terzo presentava livelli aumentati di colesterolo-LDL, il 41% un aumento delle proteine nel liquido cerebrospinale, il 4% un coinvolgimento delle meningi e circa il 60% aveva lesioni multiple.

Vantaggio di PFS anche nei sottogruppi
La combinazione di chemioterapia ad alte dosi e trapianto autologo ha mostrato un vantaggio di PFS rispetto al regime R-DeVIC in tutti i sottogruppi, ha detto Illerhaus.

Inoltre, ha spiegato l’autore, sia la PFS e sia l’OS sono risultate significativamente superiori con la chemioterapia ad alte dosi seguita dal trapianto autologo rispetto al regime non mieloablativo, nonostante tassi di remissione simili dopo il consolidamento. Infatti, dopo l’induzione, i tassi di risposta completa e parziale sono stati rispettivamente del 40% e del 60% per ciascuno dei due bracci, e anche i miglioramenti nella risposta durante il periodo randomizzato sono stati simili per i due bracci (risposte complete: 67,5% contro 65,2%; risposte parziali: 21,1% contro 15,7%).

I dati di sicurezza
Gli eventi avversi di grado 3/4 sono stati più frequenti nel braccio assegnato alla chemioterapia ad alte dosi e al trapianto autologo rispetto al braccio sottoposto alla chemioimmunoterapia non mieloablativa.

Fra questi, si sono registrati trombocitopenia (95% contro 83%,), neutropenia (75% contro 56%), anemia (75% contro 69%), neutropenia febbrile/infezioni (63% contro 15%), infezioni (53% contro 14%) e mucosite orale (55% contro 0%). Inoltre, sono stati segnalati eventi avversi vascolari (9% contro 3%), cardiaci (3% contro nessuno) e tossicità renale (5% contro 0%). Non si sono viste differenze riguardo ai disturbi del sistema nervoso (5% in ciascun braccio) o la neurotossicità.

Durante la randomizzazione, il 3,4% dei pazienti è deceduto nel braccio sottoposto alla chemioterapia ad alte dosi e al trapianto autologo a causa della tossicità correlata al trattamento, ma nessuno nel braccio assegnato al regime R-DeVIC.

Data la maggiore tossicità della combinazione di chemioterapia ad alte dosi e trapianto autologo, durante la discussione Illerhaus ha suggerito che il trapianto potrebbe non essere un‘opzione appropriata per i pazienti fragili.

Limiti e prospettive future
Una limitazione dello studio è rappresentata dalla giovane età della popolazione in studio. Infatti per lo più erano pazienti di 65 anni o meno, e i pazienti fino a 70 anni erano inclusi solo se in buone condizioni.

Sempre durante la discussione, l’autore ha dichiarato che sono stati raccolti campioni dei pazienti sui quali saranno condotte ulteriori analisi per valutare potenziali marcatori di risposta a lungo termine.

Inoltre, ha concluso Illerhaus, negli studi futuri si dovrebbe verificare se l’analisi del DNA tumorale circolante possa essere di aiuto nell’evitare un trattamento superfluo in questi pazienti.

Bibliografia
G. Illerhaus, et al. Effects on survival of non-myeloablative chemoimmunotherapy compared to high-dose chemotherapy followed by autologous stem cell transplantation (HDC-ASCT) as consolidation therapy in patients with primary CNS lymphoma — results of an international randomized phase III trial (MATRix/IELSG43). ASH 2022; abstract LBA-3. Link