Sindrome da fatica cronica, l’associazione AMCFS lancia un appello alle istituzioni: “Noi pazienti troppo spesso dimenticati anche tra le patologie rare”
Le persone affette da Malattie Rare sono ‘rare’ ma sono anche tante, e ognuna vive e lotta per il riconoscimento dei propri diritti, come un’adeguata assistenza domiciliare/scolastica, il riconoscimento della figura del caregiver, l’abbattimento delle barriere architettoniche, l’inclusione, i progetti di vita indipendente, ecc.
Pur essendo una moltitudine, le malattie rare presentano dei punti in comune che consentono alle varie associazioni che le rappresentano di lavorare ed agire in sinergia sui temi principali. Al contrario, ci sono patologie e associazioni di categoria che, seppur aderenti ai gruppi in cui confluiscono le diverse organizzazioni di pazienti, si trovano in realtà ad essere ‘sole’ e a cercare un percorso in autonomia, in quanto le peculiarità di determinate malattie limitano fortemente un percorso comune, come accade ad AMCFS (Associazione Malati di CFS).
La CFS/ME (sindrome da fatica cronica/encefalomielite mialgica) è una patologia grave e invalidante, riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Servizio Sanitario Nazionale, che nel 2014 ha anche emanato un Documento d’Indirizzo sulla CFS, edito da Agenas. Tuttavia, questa sindrome non gode di marcatori diagnostici e di terapia specifica, e quindi neppure di esenzione ticket per patologia e, soprattutto, non gode di centri di riferimento specifici in Italia (mentre in Europa ci sono centri dedicati) né di presa in carico e, cosa ancor più grave, non viene riconosciuta come “patologia” da una buona parte della classe medica.
Tutto ciò comporta innanzitutto ritardo diagnostico, indagini e terapie inutili, se non dannose, e veri e propri pellegrinaggi per tutta Italia alla ricerca di un medico che dia un senso, un nome, al ‘corteo sintomatico’ di cui soffrono i pazienti; espone al rischio di incappare in professionisti ‘poco professionali’, che promettono facili guarigioni con le terapie più disparate; crea tensioni familiari, in quanto il medico, spesso, liquida la situazione come “psicosomatica”, nel migliore dei casi; spinge alcuni malati a documentarsi da sé e all’automedicazione, con tutti i pericoli del caso.
La mancanza di presa in carico implica poi il mancato riconoscimento dello status di malato, la frustrazione insita nel non sentirsi accolti e attenzionati, un forte sentimento di abbandono che, unitamente alla sofferenza causata dalla CFS/ME e alla disperazione di non riconoscere più un corpo che, seppur integro e sano, non è più in grado di compiere gli atti della quotidianità (alzarsi, lavarsi, lavorare, studiare, ecc.), rischia di causare effetti ancor più deleteri della malattia.
Anche in ambito sociale le ripercussioni sono notevoli, in quanto l’abbandono del malato a sé stesso si ripercuote sulla famiglia che, impreparata e senza supporto, si trova a gestire la situazione; la solitudine e l’esclusione sociale diventano compagne di viaggio; i problemi lavorativi e scolastici, per i malati più giovani, raggiungono vette inaspettate in un silenzio sociale e istituzionale che amplifica il tutto. I sintomi della CFS/ME (spossatezza immane, dolori muscolo-scheletrici, cefalea, febbricola, dolorabilità dei linfonodi, problemi di memoria e concentrazione, ipotensione ortostatica, difficoltà a reperire le parole, per citare i più invalidanti) mettono a repentaglio l’attività lavorativa, portando anche alla totale perdita del lavoro e quindi di un reddito, così come la frequenza scolastica, compromettendo il percorso di studi. In questi casi, se il paziente è nell’età della scuola dell’obbligo e non ha le dovute certificazioni, la famiglia corre il rischio di essere attenzionata per presunto abbandono scolastico, con l’incremento di preoccupazioni e tensioni emotive. Tenuto conto che la patologia colpisce la popolazione dei giovani adulti, con alcuni casi di pazienti giovanissimi, è facile comprendere l’entità del suo impatto sociale.
Attualmente, con l’avvento della pandemia di COVID-19, la CFS/ME gode delle luci della ribalta in quanto sempre più esperti, a livello internazionale, sovrappongono questa patologia al Long COVID, condizione che insorge a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2 e che perdura anche dopo la negativizzazione con sintomi tipici della CFS/ME, che limitano fortemente la quotidianità di chi ne è affetto. Se inizialmente la sovrapposizione di queste due malattie veniva interpretata dai malati e da AMCFS come un riconoscimento dell’esistenza della CFS/ME da parte della comunità scientifica, facendo sperare in una presa di coscienza, il trascorrere del tempo senza che nulla sia stato fatto per la presa in carico dei malati di CFS/ME e Long COVID, testimoniato dal fatto che diverse persone che soffrono di Long COVID si rivolgono ad AMCFS per indicazioni sui medici a cui rivolgersi, porta a pensare che la storia non insegni e che, più semplicemente, la pandemia abbia ingrossato le file di malati lasciati in balia di sé stessi.
Ed è così che nell’oblio istituzionale e sociale, un buon numero di persone e di famiglie, unitamente a un limitatissimo numero di medici che, già oberati da un Servizio Sanitario allo stremo, cercano di offrire una risposta di salute anche a questi malati, paga lo scotto di essersi imbattuta in una patologia che non ha marcatori diagnostici, che non ha una paternità (cioè non è di competenza di uno specialista specifico ma richiederebbe un approccio multidisciplinare) e per la quale le istituzioni preposte, pur esprimendo condivisione e vicinanza, non mettono in atto azioni concrete.
Nonostante le innumerevoli difficoltà, nella Giornata delle Malattie Rare AMCFS rinnova il proprio impegno a sostenere malati di CFS/ME e familiari, a informare gli operatori sanitari e ad instaurare un dialogo con le istituzioni preposte per difendere e far riconoscere i diritti dei pazienti.
Il Direttivo AMCFS