Statine: un approccio treat-to-target non è inferiore alla strategia ad alta intensità raccomandata dalle linee guida
Da quando le linee guida sulle statine sono state riviste per sollecitare i medici a prescrivere statine ad alta intensità piuttosto che trattare uno specifico obiettivo LDL, il dibattito è continuato: il primo approccio, cosiddetto “fire and forget it” (spara e dimentica), è davvero migliore (o peggiore) rispetto al portare il colesterolo LDL a una soglia specifica (“treat-to-target”)? La risposta, secondo lo studio LODESTAR, i cui risultati sono stati esposti all’incontro annuale dell’American College of Cardiology/World Congress of Cardiology (ACC/WCC 2023) e pubblicati in contemporanea su “JAMA”, è che – quando si tratta di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE) – un approccio treat-to-target non è inferiore alla strategia ad alta intensità raccomandata dalle linee guida.
«A nostra conoscenza, questo è il primo studio randomizzato che confronta i risultati clinici a 3 anni di una strategia treat-to-target con un livello target di colesterolo LDL tra 50 e 70 mg/dL rispetto a una strategia con statine ad alta intensità in pazienti con malattia coronarica (CAD)» ha detto il ricercatore principale Myeong-Ki Hong, dello Yonsei University College of Medicine di Seul (Corea del Sud).
Più precisamente, ha specificato, «la strategia treat-to-target non è risultata inferiore alla strategia con statine ad alta intensità in termini di un endpoint composito a 3 anni di morte per tutte le cause, infarto del miocardio, ictus o qualsiasi rivascolarizzazione coronarica».
Le precedenti linee guida statunitensi sul colesterolo del 2001 raccomandavano ai medici di trattare un target specifico di LDL a seconda del rischio basale del paziente, tipicamente inferiore a 70 mg dL nei pazienti ad alto rischio con malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD).
Tuttavia, le linee guida statunitensi sul colesterolo del 2013 si sono allontanate da quell’approccio, raccomandando ai medici di prescrivere semplicemente una statina moderata o ad alta intensità, a seconda del rischio del paziente. Nei pazienti con ASCVD, in particolare, si consigliava ai medici di iniziare con una statina ad alta intensità (o con la dose massima tollerata) allo scopo di ridurre i livelli di colesterolo LDL di almeno il 50%.
L’allontanamento dalla strategia treat-to-target è stato controverso un decennio fa e lo è ancora oggi. Non più di un mese fa, la National Lipid Association (NLA) e l’American Society of Preventive Cardiology (ASPC) hanno rilasciato una dichiarazione che sollecita la reintroduzione delle misurazioni LDL come metrica delle prestazioni, piuttosto che prescrivere ciecamente statine ad alta intensità senza misurarne l’efficacia.
Come sottolineano Hong e colleghi, l’approccio attuale – trattare con una statina ad alta intensità – è più semplice perché evita di regolare la terapia statinica nel follow-up in base ai livelli di LDL, ma solleva preoccupazioni sulla risposta individuale al trattamento.
«Un approccio alternativo è quello di iniziare con statine di intensità moderata ed effettuare una titolazione verso uno specifico obiettivo di colesterolo LDL» scrivono nell’articolo. «Questa strategia treat-to-target potrebbe consentire un approccio su misura e facilitare la comunicazione medico-paziente, la quale a sua volta può migliorare l’aderenza alla terapia. Tuttavia, tale strategia non è stata ben valutata in studi clinici randomizzati e quindi manca di prove sufficienti». Di qui il razionale per l’effettuazione dello studio LODESTAR.
Il disegno e i risultati dello studio
Hong e colleghi hanno randomizzato 4.400 pazienti (età media: 65 anni; 28% donne) a una colesterolemia LDL target tra 50 e 70 mg/dL o al trattamento con una statina ad alta intensità senza un obiettivo specifico di colesterolemia LDL.
Al basale, i gruppi dello studio LODESTAR erano ben abbinati, con livelli di colesterolo LDL di 86,5 mg/dL. Nel gruppo treat-to-target, il 17% ha ricevuto la dose di farmaco titolata, il 9% la dose ridotta titolata mentre il 73% è stato mantenuto con la statina corrente perché i livelli di LDL erano nella zona ottimale. Complessivamente, il 92% dei pazienti nel gruppo statine ad alta intensità ha ricevuto una statina ad alta intensità, mentre solo nel 54% di quelli inseriti nel braccio treat-to-target si è resa necessaria una statina ad alta intensità.
In termini di abbassamento delle LDL, il 55,7% del gruppo treat-to-target aveva un livello di colesterolo LDL inferiore a 70 mg/dL a 6 settimane rispetto al 61,6% di quelli nel gruppo ad alta intensità (P < 0,001). Nel corso del tempo, il divario si è gradualmente ridotto in modo tale che nell’arco di 3 anni non vi fosse alcuna differenza significativa nella percentuale di pazienti con livelli di LDL inferiori a 70 mg/dL: 58,2% nel braccio treat-to-target contro il 59,7% nel braccio ad alta intensità (P = 0,41).
A 3 anni, l’endpoint primario di mortalità per tutte le cause, infarto miocardico, ictus o rivascolarizzazione coronarica non differiva tra le due strategie, essendosi verificato rispettivamente nell’8,1% delle strategie treat-to-target e nell’8,7% delle strategie ad alta intensità (P < 0,001 per non inferiorità). In particolare, non ci sono state differenze significative in nessuna delle singole componenti dell’endpoint primario. La sicurezza era simile tra i gruppi, sebbene il diabete di nuova insorgenza fosse numericamente inferiore nel gruppo treat-to-target (5,6% vs 7,0%; P = 0,07).
Per quanto riguarda il motivo per cui così pochi pazienti nel braccio treat-to-target avessero livelli di LDL nella zona inferiore a 70 mg/dL, Hong ha affermato che ciò potrebbe trovare spiegazione nella relativa mancanza di terapia combinata nello studio LODESTAR. Il protocollo di studio in particolare non consigliava ai medici di aggiungere ezetimibe perché i ricercatori erano concentrati sulle due strategie con statine.
Inoltre, la terapia combinata è stata enfatizzata maggiormente nelle linee guida statunitensi del 2018, ma meno quando questo studio è stato avviato nel 2016. Inoltre, i pazienti avrebbero potuto essere stati riluttanti ad aggiungere un altro farmaco al loro regime con statine ad alta intensità, aggiungono i ricercatori.
Tra benefici clinici, praticità d’uso e cautela nei dosaggi
Uno dei discussant durante la sessione dell’ACC/WCC 2023, Eugene Yang, della University of Washington di Bellevue, ha affermato che c’era qualche accenno di beneficio con l’approccio treat-to-target e si chiedeva se un follow-up più lungo avrebbe potuto tradursi in un beneficio clinico.
«Dal mio punto di vista, quando si considera uno studio come questo, anche se è in aperto, ci si chiede se questo avrà implicazioni cliniche» ha detto Yang. In alcune cliniche, ha proseguito, dove i medici potrebbero vedere molti pazienti in un solo giorno, prescrivere una statina ad alta intensità è più agevole, in quanto si deve semplicemente monitorare la funzionalità epatica e, a volte, altri effetti collaterali.
Tuttavia, ha sottolineato che ci sono prove che supportano l’esigenza di raggiungere livelli di colesterolo LDL ancora più bassi nei pazienti ad alto rischio, come quelli con ASCVD. Infatti, in Europa, le linee guida più recenti hanno fatto un ulteriore passo in avanti, raccomandando il trattamento dei pazienti ad alto rischio con ASCVD puntando a un obiettivo inferiore a 55 mg/dL. Non è noto però, ha precisato Yang, se questo obiettivo più aggressivo possa produrre un beneficio rispetto alla semplice prescrizione di una statina ad alta intensità.
Hong ha infine osservato che i pazienti potrebbero essere recalcitranti all’idea di iniziare una terapia con statine, in particolare se a dosi elevate. Esistono infatti timori per i sintomi muscolari associati alle statine o per il potenziale rischio di diabete mellito. La strategia treat-to-target, ha affermato, consente ai medici di iniziare con statine di intensità moderata, per poi aumentare la dose solo se necessario.
Bibliografia:
Hong SJ, Lee YJ, Lee SJ, et al. Treat-to-Target or High-Intensity Statin in Patients With Coronary Artery Disease: A Randomized Clinical Trial. JAMA, 2023 Mar 6. doi: 10.1001/jama.2023.2487. [Epub ahead of print] leggi