Un anticorpo monoclonale sperimentale mirato all’interferone beta ha comportato sostanziali riduzioni delle lesioni cutanee associate alla dermatomiosite
Un anticorpo monoclonale sperimentale mirato all’interferone beta ha comportato sostanziali riduzioni delle lesioni cutanee associate alla dermatomiosite con entrambe le dosi testate, secondo i risultati di uno studio di fase II in doppio cieco e controllato con placebo presentati al congresso 2023 dell’American Academy of Dermatology (AAD).
«Questi risultati supportano l’inibizione dell’interferone beta (IFN-beta) come una promettente strategia terapeutica nella malattia con predominanza cutanea» ha affermato il relatore e ricercatore principale Aaron Mangold, professore associato di dermatologia alla Mayo Clinic di Scottsdale, in Arizona.
La dermatomiosite è una malattia infiammatoria di origine autoimmune. È caratterizzata da un’infiammazione dei muscoli che causa debolezza, e da lesioni tipiche della pelle. In alcuni casi sono coinvolti anche organi interni come polmoni e esofago e, di conseguenza, possono comparire difficoltà respiratorie e problemi di deglutizione e digestione. La dermatomiosite può colpire anche il cuore. È una malattia rara (4 casi su 100mila persone), colpisce più donne che uomini con un rapporto di circa 3 a 1 e può manifestarsi sia negli adulti che nei bambini. Negli adulti di solito compare tra i 40 e i 60 anni di età, mentre nei bambini compare più spesso tra i 5 e i 15 anni.
Gli agenti immunosoppressivi e immunomodulatori sono stati usati con alterne fortune per gestite la componente muscolare (miosite), ma le manifestazioni cutanee, che comprendono eruzioni papulari, rash eliotropico, fotoeritema, bruciore e prurito, sono spesso le più fastidiose e le più difficili da controllare. Le altre opzioni di trattamento mirate al coinvolgimento cutaneo, tra cui steroidi, emollienti e fotoprotezione, sono generalmente modestamente efficaci.
Targeting di una citochina elevata
L’interesse per l’IFN-beta, che è presente a livelli elevati nel sangue delle persone affette da dermatomiosite, è stato innescato dall’evidenza che questa citochina svolge un ruolo importante nel guidare l’infiammazione della pelle, ha spiegato Mangold, e che le sue concentrazioni ematiche sono positivamente correlate con l’attività e la gravità della malattia cutanea.
Il farmaco sperimentale, al momento denominato PF-06823859 (dazukibart, Pfizer), è un anticorpo neutralizzante IgG1 umanizzato potente e selettivo diretto contro l’IFN-beta. Uno studio di fase I di dose-ranging pubblicato due anni fa ha fornito evidenze di farmacocinetica e sicurezza accettabili in soggetti sani a supporto degli studi per il trattamento dei disturbi associati a livelli elevati di IFN-beta che, oltre alla dermatomiosite, includono il lupus eritematoso sistemico.
Valutazione di due diverse dosi del farmaco
Nel trial di fase II presentato al congresso, i pazienti le cui condizioni non erano migliorate con almeno una terapia standard per le manifestazioni cutanee della dermatomiosite, erano ammissibili se presentavano una malattia da moderata a grave misurata con il CDASI (Cutaneous Dermatomyositis Disease Area and Severity Index). Durante lo studio i pazienti potevano continuare ad assumere un farmaco antireumatico modificante la malattia (DMARD) e/o prednisone se erano stati trattati con dosi stabili e non avevano modificato la dose.
Dopo un rodaggio di screening, il trial prevedeva due fasi in cieco. Nella fase 1, 30 pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 600 mg di PF-06823859 o placebo, entrambi somministrati per via endovenosa ogni 4 settimane. Nella fase 2 una seconda coorte di 25 pazienti è stata assegnata in modo casuale al placebo o a PF-06823859 alle dosi di 150 mg o 600 mg.
L’endpoint primario valutato a 12 settimane era una riduzione superiore a 5 punti del punteggio CDASI o un miglioramento del CDASI superiore al 40% rispetto al basale, entrambi associati a una risposta clinicamente significativa in termini di miglioramento della qualità della vita.
Vantaggio molto significativo rispetto al placebo con entrambe le dosi
Nei risultati della fase 1, la riduzione media del CDASI a 12 settimane dopo tre dosi della terapia assegnata è stata di 18,8 punti nel gruppo di trattamento attivo rispetto a 3,9 punti nel gruppo placebo. Nei dati aggregati della fase 1 e 2, le riduzioni sono state rispettivamente di 16,6 punti, 19,2 punti e 2,9 punti per i bracci 150 mg, 600 mg e placebo. Entrambe le dosi hanno ottenuto un vantaggio molto significativo rispetto al placebo, ha sottolineato Mangold.
In entrambe le fasi e con entrambi i dosaggi le curve di risposta dei gruppi di trattamento attivo e del gruppo placebo sono state divergenti quasi immediatamente. Entro 4 settimane, entrambe le misure di riduzione del CDASI con PF-06823859 erano significativamente migliorate rispetto al placebo e le curve di risposta avevano una costante pendenza verso il basso fino al termine delle 12 settimane previste.
La maggior parte dei pazienti ha risposto a uno dei due criteri dell’endpoint primario. Per una riduzione del CDASI >5 punti, i tassi di risposta sono stati rispettivamente del 100% e del 96% con le dosi da 150 mg e 600 mg di PF-06823859, rispetto al 35,7% con il placebo. Per la riduzione CDASI >40%, i tassi sono stati rispettivamente dell’80%, 82,1% e 7,1% per i bracci 150 mg, 600 mg e placebo.
«Non si sono verificati grandi problemi di sicurezza. La maggior parte degli eventi avversi emersi dal trattamento erano lievi e non erano correlati alla dose» ha riferito Mangold. «In particolare non ci sono stati casi di herpes zoster e le infezioni di qualsiasi tipo sono state poco frequenti in tutti i gruppi di studio».
È in programma uno studio di fase III con la dose di 600 mg, anche se in precedenti studi su terapie per la dermatomiosite le autorità regolatorie hanno generalmente richiesto endpoint sia per le manifestazioni cutanee che muscolari. Finora gli studi si sono concentrati sulla risposta cutanea, anche se non è da escludere un beneficio significativo nella componente muscolare della malattia, che non stata ancora ben studiata.
Referenze
American Academy of Dermatology (AAD) 2023 Annual Meeting: Late-breaking Research Session S042. Presented March 18, 2023.