Loriga&Associati: la settimana corta piace, ma non convince proprio tutti. Servono riflessioni approfondite su retribuzioni e carichi di lavoro
Settimana corta sì o no? Lavorare un giorno in meno può davvero sbloccare il mercato del lavoro e dare una mano alle persone sempre più attente al bilanciamento vita professionale – vita privata e al proprio benessere? La risposta sembrerebbe sì, ma con una serie di riserve che aziende e candidati non possono trascurare.
“La 4 Day Week – precisa Orazio Stella, senior partner di Loriga&Associati, società di ricerca e selezione di personale – può certamente portare benefici ad aziende e lavoratori, ma ci sono alcuni aspetti che dobbiamo tenere in considerazione perché, se mal gestito, anche questo nuovo modo di lavorare, che ha certamente una serie di vantaggi, può trasformarsi in boomerang, soprattutto per le persone. Gli ultimi tre anni, lo sappiamo, hanno stravolto del tutto il nostro approccio al lavoro e anche la settimana corta rappresenta un ulteriore cambiamento, soprattutto a livello organizzativo e culturale perché non basta chiudere gli uffici il venerdì, occorre ridisegnare completamente i modelli organizzativi, riflettere sulla suddivisione dei carichi di lavoro e, soprattutto, fare una serie di valutazioni a livello retributivo”.
Settimana lavorativa di 4 giorni? Forse sì, ma riflettiamoci: il sondaggio di Loriga&Associati. Da un sondaggio condotto tra più di 300 persone in Italia – di ogni età e professione – emerge un quadro molto chiaro: il 73% accetterebbe di lavorare un giorno in meno alla settimana. Il 52%, però, non accetterebbe decurtazioni di stipendio e lo farebbe solo dopo una attenta revisione dei processi aziendali perché il timore è che, se non cambiasse l’approccio, si rischierebbe di avere carichi di lavoro eccessivi nei quattro giorni in ufficio (o da remoto), senza quindi un reale vantaggio. Pochissimi (23%), infatti, sarebbero disposti a lavorare un’ora in più al giorno per averne uno totalmente libero.
“Se analizziamo le scelte di candidati giovani e meno giovani – aggiunge Orazio Stella – percepiamo una netta differenza: i lavoratori con meno anni di esperienza, probabilmente più abituati a modelli di lavoro ibridi che garantiscono maggiore flessibilità, sono assolutamente favorevoli alla settimana corta e sono più disposti a rinunciare a una minima parte del loro stipendio a favore del proprio benessere (42% vs 24%). Non c’è, invece, una distinzione così marcata tra uomini e donne, a parità di età, segno probabilmente che qualcosa sta cambiando e che quasi nessuno, indipendentemente dal genere, sul work-life balance è più disposto a negoziare”.
Benessere e produttività: due aspetti non in conflitto tra loro. Abbiamo visto quanta attenzione ci sia verso tutti quegli elementi che, a vario titolo, possano contribuire a semplificare la vita di chi lavora ed aiutino a preservare il benessere. Le discussioni sulla validità o meno della settimana lavorativa di 4 giorni si inseriscono – insieme a tanti altri elementi che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli ultimi tempi, come ad esempio il full remote, lo smart working o il lavoro ibrido – in un mercato del lavoro che fa della flessibilità, unita all’esigenza di non scendere a compromessi in fatto di produttività, l’elemento chiave.
“Le aziende – conclude Orazio Stella – devono iniziare a mettere in atto cambiamenti che possano davvero fare la differenza nella vita delle persone e questo nuovo modello (che nei fatti è ancora in fase totalmente sperimentale) va proprio in questa direzione. Gli ultimi anni ci hanno mostrato che è sempre più difficile scindere completamente vita lavorativa e vita privata, soprattutto quando si lavora da casa e, di fatto, si è potenzialmente sempre connessi. Fare proprio questo pensiero significa avere aziende più efficienti e produttive, ma anche lavoratori più sereni e soddisfatti”.