“Fabrizio Fontana: parole per jiokare…”: alla Galleria Orizzonti Arte Contemporanea prosegue il terzo progetto all’interno della neonata project room
La Galleria Orizzonti Arte Contemporanea ospita il terzo progetto all’interno della neonata project room. La mostra, parole per jiokare, parole per creare, parole per distruggere, è una personale dell’artista Fabrizio Fontana curata da Gianmaria Giannetti, altro artista rappresentato dalla stessa galleria. Si tratta di un ‘gioco’ che entrambi hanno ideato sensatamente e che, con serietà ludica, propongono intrecciando e invertendo il ruolo del curatore artista e dell’artista curatore, come previsto nella personale di Gianmaria Giannetti, in programma a giugno, curata da Fabrizio Fontana.
Ecco come il curatore artista Gianmaria Giannetti introduce il lavoro di Fabrizio Fontata (F.F.):
Il Gioco. Jiokare o Giocare?
Fabrizio Fontana usa degli espedienti materici e letterari, prospettici per darci delle visioni nuove, tridimensionali. Rimasi colpito da ciò che Fabrizio una volta mi disse: voglio dare un pugno allo spettatore. Attraverso cosa? Attraverso diversi linguaggi – strati di linguaggi. Apparentemente il lavoro/lavorio di Fontana sembra solo un Giocare. Invece, usa proprio e, non propriamente le sorpresine Kinder, per giocare col gioco. Le sorpresine che verrebbero subito abbandonate dal bambino, l’artista le utilizza. Quelle sorpresine Kinder sono quindi inutili, e questa inutilità è come l’arte. Quindi, l’arte è inutile proprio come quei giochini Kinder abbandonati dai bimbi. L’arte in quanto arte deve essere inutile. Perché in fondo non possiamo paragonare l’arte a un utensile, l’arte non è un martello: è qualcosa di nascosto, di misterioso.
L’arte è da scoprire all’interno dell’arte stessa; si potrebbe paragonare all’ingresso in una piccola grotta dove sono nascoste eterne stalagmiti, stalattiti e miracoli. Si entra piano. Gli esseri umani-artisti tentano di fare arte: devono tentare, e tentare è il loro miracolo. Gilles Deleuze diceva – bisogna tentare di far entrare nella filosofia l’arte, la letteratura, il cinema e il teatro per creare concetti nuovi, parole nuove. Ed è proprio quello che Fabrizio Fontana sta provando a fare, creare concetti e parole nuove.
L’opera d’arte diventa opera d’arte quando la vita e l’opera dell’artista sono la stessa cosa, coincidono. Quei tentativi e sforzi vitali devono coincidere, creare qualcosa sfruttando la necessità interiore dell’artista tanto cara a Kandinsky. In questo modo l’arte, per sua intrinseca natura, si deterritorializza, delira. L’artista deve quindi sentire la propria creatività e musicalità all’interno del proprio corpo, della propria anima e dell’anima del mondo o di Dio, e usando questa forza misteriosa (indefinita/ indefinibile/ inconciliabile) essere il tramite fra Dio e Terra.
Fabrizio Fontana non usa la logica ma delira per approdare a nuove possibilità. Egli propone un suo vocabolario e con questo vocabolario, Jiokabolario, ci fa capire il senso delle parole, le contraddizioni delle parole stesse. Quindi, superficialità tridimensionale diventa altro mondo a cui approdare. Lo spettatore, apparentemente, solo con gli occhi entra nell’opera ma in realtà, entra nell’opera solo attraverso il suo istinto: l’istinto della ragione e del cuore con la K.